Nicola “Emilio” Ricci nacque a Porto Maurizio il 13 Marzo 1884, quinto e ultimo figlio di Giobatta, un commerciante e di Teresa Martini detta “la bella di Vasia”, una località non lontana da Porto Maurizio.
Dopo un’infanzia serena, Emilio si dedicò con dedizione allo studio, fino a una laurea in Giurisprudenza all’Università di Torino. Appena laureato iniziò la carriera in magistratura, peregrinando fra varie sedi di lavoro, in giro per l’Italia. All’inizio della Grande Guerra, si distinse per una forte convinzione interventista che lo vide autore di vari scritti e di discorsi pubblici. Richiamato nel corpo degli Alpini nel 1914, divenne presto ufficiale e all’inizio della guerra seguì un corso di addestramento per l’uso delle mitragliatrici FIAT che furono poi molto utilizzate su vari fronti della guerra. Dopo l’intervento italiano partecipò al conflitto con il grado di tenente combattendo in Carnia. Ferito, torno in licenza a casa nel 1916, ma alla fine di quell’anno partì per il fronte macedone con il grado di Capitano, al comando della 507a Compagnia Mitraglieri. Il 15 Maggio 1917 fu ferito nella battaglia di Quota 1050 e fu quindi ricoverato all’Ospedale 107 di Salonicco. Rientrato in Italia nell’autunno del 1917, ebbe vari incarichi gestionali e di coordinamento e prese parte al Corso pratico sul servizio di Stato Maggiore (1917-18) insieme a molti illustri italiani, tra cui Ferruccio Parri, futuro partigiano, Presidente del Consiglio e membro dell’Assemblea Costituente e Giovanni Gronchi, futuro Presidente della Repubblica Italiana. Dopo la guerra tornò al suo lavoro ma fu presto chiamato a Roma come consulente della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle Spese Militari della Prima Guerra Mondiale (1921-23) occupandosi soprattutto della complessa questione delle commesse all’industria siderurgica ILVA. Dopo anni di impegno presso i tribunali di Varese Ligure, Sanremo e Genova, nel 1936 fu nominato Presidente del Tribunale di Harar, in Etiopia. Rientrò in Italia nel maggio 1937 per stare accanto all’amatissima moglie Luisita Nocetti colpita da una grave forma di leucemia. Dopo la morte di lei tornò ad Harar con i due figli Maura “Dida” di anni 15 e Raimondo di 17 che rientrò in Italia dopo due anni per iniziare gli studi universitari. Nel 1941, quando l’Etiopia era ormai controllata dalle truppe di occupazione britanniche, gli fu scoperto un grave tumore allo stomaco e dopo poco morì nell’Ospedale locale, assistito dalla figlia. Oggi la sua salma riposa nel quasi abbandonato “Cimitero degli Italiani” di Argoberri ad Harar.
Il Cap. Ricci ebbe per tutta la vita l’abitudine di conservare, pur disordinatamente, tutta la corrispondenza ricevuta, le fotografie ed altre carte. Dopo la morte e in sua assenza, fu la sorella Giuseppina a conservare quei documenti nella casa di Caramagna Ligure (Imperia). Più tardi, nel secondo dopoguerra, l'insieme fu approssimativamente catalogato da una cognata e una nipote, che le suddivisero in pochi gruppi, impacchettando il tutto in fogli di giornale e in diversi scatoloni di cartone, poi abbandonati in un magazzino per oltre cinquant'anni.