Nella seconda parte del 1916 l’Italia inviò in Macedonia un contingente di oltre 50.000 uomini che assieme agli alleati francesi ed inglesi costituì la cosiddetta Armata d’Oriente. Il loro compito fu di impedire l’occupazione del porto di Salonicco da parte delle truppe bulgaro-tedesche e la conseguente creazione di un unico blocco tra le potenze centrali e la Turchia, loro alleata. Per durata, oltre 36 mesi, e per risorse impegnate, fu questo il più importante impegno italiano all’estero. La 35° Divisione era così composta:
tre Brigate di fanteria:
la Sicilia con il 61° ed il 62° Reggimento;
la Cagliari con il 63° e il 64° Reggimento;
la Ivrea con il 161° e 162° Reggimento;
dal 2º Reggimento di artiglieria da montagna (articolato su 8 batterie armate ciascuna con 4 pezzi da 65 mm.);
dal 1º Squadrone di cavalleria Lucca;
dalle Compagnie di bersaglieri 228°, 229° 374° 375° 512°, 513° mitraglieri e mortaisti;
da una mezza dozzina di battaglioni del genio zappatori e pontieri, della sanità, delle trasmissioni, della sussistenza e servizio aereo.
Krusa Balkan Il primo impiego delle fanterie italiane avvenne alcuni giorni dopo il loro arrivo in Grecia, quando le Brigate Cagliari e Sicilia diedero il cambio ad una divisione francese nella zona cosiddetta Krusa Balkan al confine tra Grecia e Bulgaria. La linea di fronte si sviluppava per oltre 40 chilometri all’interno di una zona in parte aspra e montagnosa e in parte cosparsa da vaste e malsane paludi, dove i soldati italiani erano costantemente esposti al tiro nemico trincerato sulle antistanti creste montagnose. Nelle settimane successive, alle perdite inflitte dal nemico si aggiunsero la malaria, la dissenteria amebica, il tifo. Monastir Nell’ottobre 1916 il contingente italiano venne trasferito in Macedonia e dopo aver partecipato attivamente alla presa di Monastir (oggi Bitola) fu destinato al settore di cima 1050. Quota 1050, o semplicemente “la quota”, una montagna alta poco più di 1.000 metri, priva di qualsiasi vegetazione, costituiva una delle più difficili ed importanti posizioni del fronte: il suo controllo era per entrambi gli schieramenti di capitale importanza, in quanto assieme a quota 1248, rappresentava uno dei due contrafforti naturali a difesa della pianura di Pelagonia, che collega la Grecia al centro della Macedonia. Per questo il nemico vi posizionò i reggimenti prussiani e le migliori artiglierie che riuscirono a neutralizzare tutti gli attacchi alleati fino al settembre 1918. Dalla quota il nemico poteva osservare l’intero fronte e le linee di approvvigionamento alleate: non si muoveva un passo senza essere visti, quindi qualsiasi movimento di truppe e/o di rifornimenti doveva essere effettuato di notte. Pure i feriti, contro i quali il nemico non esitava a fare fuoco, potevano essere evacuati solo di notte. Battaglia del 9 maggio 1917 Per alcuni mesi i due schieramenti combatterono una guerra di posizione: avvenivano solo modesti scontri di artiglieria tra Italiani, Francesi, Tedeschi e Bulgari. Nella primavera 1917 il comando alleato pianificò una grande offensiva su tutto il fronte Macedone. Secondo i suoi piani gli Inglesi dovevano conquistare le posizioni della 9° Divisione bulgara ad ovest del lago di Dojran e puntare verso Sofia, mentre gli Italiani, Francesi e Russi dovevano sfondare le linee bulgaro-tedesche di quota 1050 e proseguire verso il centro della Macedonia. In tutti i settori coinvolti, l’offensiva alleata non portò ad alcun risultato apprezzabile, mentre le perdite negli attacchi frontali furono pesantissime. Su cima 1050 gli attacchi alleati furono neutralizzati dai battaglioni bulgaro-tedeschi trincerati in posizioni inaccessibili, dotati di moderne mitragliatrici e sostenuti da una formidabile artiglieria. a. Nella sola battaglia del 9 maggio la divisione italiana perse quasi 3.000 uomini, quella francese quasi 3.500, le due brigate russe furono annientate. Offensiva finale Dopo le pesanti sconfitte alleate della primavera del 1917, fino all’offensiva finale, l’attività bellica su tutto il Fronte Macedone diminuì d’intensità limitandosi ad azioni di pattugliamento, colpi d’artiglieria ed a sporadici attacchi dimostrativi che però, non assunsero mai i caratteri della battaglia. I fanti della 35° alternarono periodi di trincea a periodi di riposo durante i quali costruirono ponticelli (ne esistono ancora due), nuove strade, sistemarono le zone degli accampamenti deviando le acque, costruirono casette e baracche per la truppa. Assidua fu l’assistenza alla popolazione locale: furono somministrate le vaccinazioni ai bambini, forniti consigli medici e medicinali e, dove necessario, furono disinfettate le case e le zone infette. L’opera svolta dalle truppe italiane in favore della popolazione greca fu fondamentale durante lo spaventoso incendio che nella notte del 17 agosto del 1917 distrusse l’ottanta per cento delle abitazioni di Salonicco. Quasi 100.000 greci rimasero senza casa. Nel settembre 1918 gli Alleati riuscirono a superare le difese bulgare a Dobro Pole penetrando a fondo nel territorio nemico. Anche nel settore di Monastir, per evitare l’accerchiamento i bulgari abbandonarono le proprie linee e ripiegarono verso nord. Le fanterie italiane, dopo 26 mesi, occuparono le trincee nemiche di quota 1050 e superate le ultime resistenze della retroguardia nemica, proseguirono nell’inseguimento delle truppe bulgare in fuga. Il 30 settembre arrivò l’ordine di sospendere le ostilità; la Bulgaria si era arresa. Alle truppe bulgare venne concesso l’onore delle armi.
I Caduti Italiani Sul Fronte Macedone l’Italia perse quasi 10.000 uomini, quasi 3.000 dei quali sono seppelliti nel cimitero militare di Salonicco e circa 170 in quello di Sofia. Il cimitero militare di Salonicco Il cimitero militare internazionale di Salonicco (Zeitenlik), venne istituito nel 1919 in una zona periferica della città che ospitava un grande ospedale militare. Oggi Zeitenlik comprende la sezione francese (8.000 salme), serba (7.550 salme), inglese (2.000 salme), russa (400 salme) ed italiana (2.758 salme). La sezione italiana Il settore italiano (oltre 16.000 mq) è suddiviso in settori/riquadri delimitati da file di cipressi. Le sepolture sono individuali, a terra, ed ogni tumolo è identificato da una croce bianca che riporta il nome del caduto. Una Cappella custodisce nella cripta i Resti di altri 468 Caduti ignoti.