PIETRO MASSA NATO A GENOVA IL 25 MAGGIO 1893 LICENZIATO DALLA SCUOLA MAGISTRALI DI GENOVA S. TENENTE DI COMPLEMENTO NEL 8° REGGIMENTO ARTIGLIERIA DA FORTEZZA MORTO IN SEGUITO A FERITE IL 13 APRILE 1917
Zona, di Guerra 17 Settembre 1915
Il sole calava dietro i monti ultimi inondandoli dell'estrema luce ancor viva e colorando di tenua rosea quelli ad oriente. Da una gola profonda appariva la pianura vicentina bella ma indefinita. Più bella mi apparve adagiata in riva all’Adige la città di Rovereto e, lontano, Trento. Trento era, completamente illuminata. Appena appena, però. La vidi e fu per me una, visione che mi rimarrà sempre impressa nella mente. Intanto gli Alpini, quasi tutti volontari trentini, intonavano l'inno di Mameli e quello di Oberdan. Si era in discesa. Io ero profondamente commosso. La colonna procedeva solenne-mente al canto sublime di Mameli. Sembrava il procedere di una falange greca che cantasse i canti di Tirteo, e invece era il procedere di una colonna trainante un pezzo. Gli alpini sembrava che avessero un'anima di noi più grande; erano felici, e lo dimostravano in mille modi, di avere quel 149 che finalmente avrebbe efficacemente controbattuto il fuoco austriaco. Giunti dove i pezzi andavano piazzati, tutti facemmo una grande ovazione ai cari alpini e, fra la massima allegria, tornammo all'accampa-mento. Cosi terminò il traino della mia compagnia. Essa ritornò poi a . . . ... Io fui aggregato ad altra che era per istrada, con altro traino. Foci per altri cinque giorni una vita assai rude. Ho visto altri paesi e paesaggi che mi ricordano i quadri del Segantini. Ho sofferto od ho goduto, ma sono sempre stato di buon umore e continuo ad esserlo. Ora, ti saluto te tutti i conoscenti. Scusa lo stile la, calligrafia e le bestialità Al padre
Zona di guerra 2 Febbraio 1917
Rispondo alla tua ultima del 27 n. s. Ho scritto ieri una lettera a Mario augurandogli di poter godere presto qualche po' di giorni di convalescenza a Genova, e facendogli coraggio. Da Vittorio non ho ricevuto alcuno scritto. Speriamo che presto possa andare a Roma. Contrariamente a quanto tu credi qui abbiamo avuto belle giornate, rigidissime, ma splendide! Di notte, nella, baracca, gela anche l'inchiostro nella penna stilografica. La temperatura scende a più di 20 centigradi sotto lo zero. Al mattino non si possono infilare le scarpe se prima non si sono bene ingrassate e messe vicino alla stufa. Questo per darti un'idea del mio paesaggio. Eppure vi sono dei giorni in cui non rimpiango affatto il fascino della riviera. La solenne calma che regna quassù, rotta solo ogni tanto dal crepitio delle mitragliatrici, da un sordo colpo di mina o da quello lacerante di un cannone, ti imbeve l'animo di una dolcezza infinita. Come si purifica lo spirito; come si diventa migliori! Mi convinco ognora più che se la guerra, mi risparmia saprò godere la vita ed essere buono. Potere trovarsi uniti ancora per l'avvenire; tu e la mamma vecchierelli vegeti, io e i fratelli buoni figli intenti al lavoro per procurarvi una vita tranquilla. A volte penso se ci sarà proprio convenienza ad abbandonarvi, a lasciare cocesti siti tanto cari, per lanciarmi alla ventura nel grande limaccioso mare della lotta umana. Non troverei forse presso di voi, tra le cose note, quella felicità che tanti cercano lontano da ogni cosa cara? Vedi, di questi pensieri si diletta la mia mente qui, e di ragionamenti che vogliono essere profondi, e di letture. Sani esercizi dunque q del pensiero, più sani quelli del fisico alle aure purificatrici delle Alpi corro in islitta per le conche colme di neve gelata e a giorni faccio l'equilibrio sugli ski. Invidi la mia vita tu, chiuso nello sgabuzzino (non è tale, ma a me lo sembra pensandovi di qui) di palazzo Tursi, fra le carte e i libri poco simpatici? Scommetto di si. Ti bacio unitamente alla mamma che certo piange alla lettura che tu le farai della presente.
FILIPPO ZUCCARELLO NATO A PATTI IL 26 SETTEMBRE 1891 TENENTE BOMBARDIERE CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 23 MAGGIO 1917 DECORATO DI MEDAGLIA D'ORO AL V. M.
Io sono affaticato e stanco; ma non ci penso nemmeno. «Noi che combattiamo non apparteniamo più alla vita terrena, siamo figli della Patria il suo destino ci comanda; le nostre azioni e Ie nostre vite trascendono da noi stessi, siamo comandati dal al di là. Ma se sapesse quanto soffriamo e con quale serenità si affronta tutti i pericoli e le privazioni da 17 mesi e chi sa per quanti ancora. Alcuni paiono dei santi quando sono vicini alla morte, par che la sentano e si trasfigurano. «Per ora ci troviamo a riposo e ci ritempriamo le forze e l’animo per le lotte future, che saranno tremende. E' necessario esser forti quanto mai. Noi saremo i Titani della nostra Patria, il nostro sangue giovanile scorrerà caldo e possente nelle nostre vene, come mai prima d'ora. «E con la visione perenne della nostra bella Italia, nulla ci fermerà, sul cammino del martirio, della gloria, e della vittoria. E nostro destino è di percorrere la va trionfale.
EUGENIO CERVINI NATO A TORINO IL 20 GIUGNO 1888 RAGIONIERE TEN. DEL 59° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO AL COLBRICON IL 22 MAGGIO 1917 DECORATO DI MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
16 Maggio 1917
Dall'ultima lettera scritta per raccomandare la famiglia di un caduto Orbene questo povero figliolo è morto; io gli volevo molto bene, l'avevo fatto promuovere io da soldato a caporale, a Torino ha nella miseria moglie e figli; lui era uno dei tanti paria che qui lasciano la pelle, dopo stenti fatiche, umili e inconsci eroismi senza nomi, di ogni giorno e di ogni ora — così... semplicemente per fare il loro dovere, null'altro. Sporchi, intontiti, esausti, pidocchiosi, e sublimi; un fante come gli altri, un, povero fante infangottato, solo, ignorante, un eroe, come tutti questi che sono quassù. Chi è? « Ma non so, lo portano giù adesso » bene vediamo chi è ». Nel camminamento di galleria nella neve, piccola arteria giorno e notte percorsa senza, alcuna, traccia esteriore attraverso costoni e valloni) nel camminamento infatti transita un porta feriti che si trascina dietro per una cocca un telo di tenda - dentro v'è il povero morto - Se ne va così sballottato di qua, e di là, come un vaporino che il bambino si trascina per un terreno irregolare - né vi è altro modo di portarlo - Anche lui, come tanti senza una persona amica, d'accanto, senza una preghiera, senza una sola parola, muoiono soli, esalano il respiro ultimo senza che nessuno se ne avveda mentre due fanti invano sì affaccendano a medicarlo, con olimpica serenità, a preparare una, barella nel viavai solito e rumoroso della galleria in roccia, ove altri nel frattempo si armano, escono per andare a montare di vedetta, rientrano, fumano, parlano, dormono, consumano il loro rancio freddo e i minatori seguitano in fondo a picchiare le loro mazze sui pistolotti da mina... un morto e nulla più uno di più. Scusa la poco lieta parentesi, mi è venuto fatto di scriverla quasi senza, accorgermene e sono cose che ormai in Italia si dovrebbero sapere e invero forse le sanno ma forse non le sapranno mai, poiché soltanto chi vive questa vita comprende tutta l'amarezza, tutta la melanconia di certe spontanee riflessioni, di certi sfondi d'ambiente.
TIZIANO VECELLI NATO A THIENE IL 14 SETTEMBRE 1897 STUDENTE NEL R. LICEO GINNASIO DI ROVIGO S. TENENTE DEL 6° REGGIMENTO ALPINI CADUTO COMBATTENDO SUL MONTE ORTIGARA IL 10 GIUGNO 1917 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Zona di guerra, 13 Gennaio 1917
ZIA CARISSIMA, Grazie delle tue lettere e delle tue espressioni in esse racchiuse. Mi giungono gradite con un nostalgico profumo della mia Thiene lontana, qui tra i miei eroici alpini. Avendo cambiato Battaglione ed essendo passato al Battaglione Monte Baldo, sono ancora in prima linea. Però sto bellone e francamente mi spiacerebbe lasciare la trincea che da quasi due mesi abito, e la baracchina quasi sepolta tra la neve nella quale comincio a crearmi qualche piccola comodità. Vedessi che baracchina!. Ci si sta abbastanza, comodamente in piedi. In un angolo c’è un piccolo fuoco con vicino una tavola, fatta, con casse di galletta. Ho la mia branda col sacco a pelo, e ci si sta, più che discretamente. Abbiamo cinque o più metri di neve, però sì sta, bene o noi tutti, ufficiali e soldati qualunque disagio volentieri sopportiamo per la, patria, nostri cari. Credi cara zia, che questi alpini sono ragazzi meravigliosi! Sempre baldi, sempre fieri, sempre magnanimi, sempre eguali gli alpini d’Italia! E dalle bianche vette nevose, che il sole indora, Con bagliori d'argento, a te, ai cari tuoi un bacio affettuoso, un amplesso appassionato. Cerca di far coraggio alla mamma, alla mia mamma cara, e dille che un'altra mamma devo ora servire, una mamma grande che noi, alpini, faremo trionfare. Con tutto l'affetto ti bacio. Aff.mo nipote TIZIANO
GIANCARLO CONTI NATO AD ABBIATEGRASSO IL 25 OTTOBRE 1893 STUDENTE IN LEGGE S. TENENTE DEL 6° REGGIMENTO ALPINI CADUTO COMBATTENDO SULL’ORTIGARA IL 10 GIUGNO 1917 DECORATO DI DUE MEDAGLIE D' ARGENTO AL V. M.
10 Giugno 1917, ore 12,30
Rovesci di Cima Caldiera. AI MIEI DILETTI GENITORI, Fra qualche ora dovrò affrontare le vicende della gran battaglia odierna e guidare i miei buoni, baldi, affezionati soldati alla vittoria. Affronto i pericoli dei grande cimento colla più grande serenità, forte di quella fortezza che nasce dalla piena fiducia in Dio e nel completo abbandono ai suoi eterni decreti. Ho avuto nella mia vita tre grandi amori, l'un altro compenetrati e alimentati da un -unico affetto e da una sola fiamma Dio, la Patria, la Famiglia. A Dio protestando intera la mia fede, domando nuovamente Perdono della mia colpa; e Lo ringrazio di ogni bene ricevuto dalla sua Misericordia. Spero che il mio sacrifizio sia propizievole alla salute eterna dell'anima mia e alla vittoria decisiva delle armi nostre. Per la Patria muoio contento, augurando ad Essa ed a tutti i suoi figli giorni migliori. Alla famiglia, a voi Genitori soprattutto, mando il mio affettuoso, delicato saluto di devoto attaccamento, grato d'aver trovato in essa ogni gioia più pura e più intima. Per voi, Genitori; per voi sorelle; per te mio caro Alfredo io prego da Dio la rassegnazione dei divini voleri e la forza di sopportare cristianamente il dolore immenso del mio sacrifizio che io compio volentieri, per attestare con tanti altri miei fratelli, la giustizia e la nobiltà della causa per la quale abbiamo combattuto ed offerto i nostri petti. W. L'Italia! GIANCARLO
LICINIO FERRERI NATO A BIGANELLO (MANTOVA) IL 18 GIUGNO 1891 LAUREATO IN MATEMATICA NELL' UNIVERSITÀ DI PAVIA TENENTE DEL 1° REGGIMENTO GENIO LANCIAFIAMME CADUTO SULL' ORTIGARA IL GIUGNO 1917
9 Giugno 1917
Giungendovi questa lettera io non sarò più. Piangi, poiché perdi il tuo Licinio, ti consoli il pensiero ch'ìo ho sempre compiuto il mio dovere seguendo i tuoi insegnamenti. L' ultimo mio pensiero mamma, è per te che hai tanto sofferto por me e che tanto soffrirai per questa disgrazia. Perdonami i dolori causatiti, pensa che soprattutto, nonostante le mie leggerezze, tu sei stata per me la mamma buona e adorata alla quale io tanto ho voluto bene.
PERRON CARLO NATO A SAN SECONDO (PINEROLO) IL 18 GIUGNO 1899 LAUREATO IN GIURISPRUDENZA NELL' UNIVERSITÀ DI TORINO S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 5° REGGIMENTO ALPINI CADUTO COMBATTENDO SU L' ORTIGARA 11 GIUGNO 1917 DECORATO CON MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M. CARISSIMO ZIO,
Dicembre 1915
Sono a 2300 metri, soldati d'Italia. La mia compagnia sta per essere impegnata in un azione grandiosa, nella quale potremo coprirci di gloria, ma dovremo coprirci di martirio. E' ordine di andare avanti fino alla morte: è promessa nostra. Non lo scrivo ai miei genitori. Ad essi scrivo per contro che la tormenta — realmente infuriante — impedirà per più giorni la posta: certo, battendomi, non potrò scrivere. Fa tu di tenerli tranquilli, e se qualche cosa di grave succederà, fa tu di sostenere gli spiriti. Tu sai quanto li ami e quanto mi addolorino i dolori loro, tuttavia non piango in quest'ora. Ho fatto olocausto della mia vita alla, patria e raccomando la mia anima alla misericordia di Dio, alle tue preghiere. Se qualche cosa di bene ho fatto nel passato, mi soccorra in quest'ora al Tribunale di Dio; se nulla feci, ivi si abbia pietà di me. Ma soprattutto Dio assista i miei genitori. Addio, zio, in ogni caso assicura papà e mamma che l'ultimo pensiero mio è stato per loro e che li amo in questo momento quanto non li ho amati mai... !
MARIO TANCREDI ROSSI NATO A FOBELLO (NOVARA) IL 19 DICEMBRE 1893 CADUTO SUL MONTE ORTIGARA NELLA NOTTE DEL 15 AL 16 GIUGNO 1917 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
MADRE MIA E MIEI CARI, Vi scrivo di sotto al rombo delle artiglierie. Sono le otto e mezza del 10 giugno 1917. Alle ore due di oggi le colonne d'attacco italiane formate da 20.000 alpini, marceranno sull’Ortigara, su Campigoletti e ai Cima Dodici, poi !... Oggi, Madre e miei cari può compiersi il mio destino. Io sono preparato e forte più del mio; stesso cuore. A 23 anni e mezzo potrei essere al compimento della Arnia vita. Non rimpiangetemi! Ho sognato fanciullo la gloria, la poesia e l’amore. Forse oggi tutto si compie! Ho amata l’Italia sopra tutte le cose e per essa muoio, sono pronto a morire! Che Iddio eterno, in cui credo e con cui ho fatta ieri comunione di spirito in Eucarestia, possa consolarvi se mai io muoio. Sappiate che io sarò morto con negli occhi la visione d' Italia e di te, Madre, sovra ogni altra pura, e di te, Padre ammirabile e forte, e di voi sorelle dolci e di te, fratello faticato pur tu dalla vita. Sappiate che io sarò morto sereno e felice, con negli occhi la gloria, sotto l'azzurro cielo d'Italia, sull' alto delle montagne che amai sovra tutte le cose belle che il mondo mostrò. Ho vissuto 23 anni. Ho cercato la virtù e la purezza del cuore; peccato ho spesse volte, ma parli per mia difesa il rimorso e il giudizio cui sottoponeva ogni mia azione in nome di Dio che sa. «Chiedo, Madre, perdono e a te, Padre, e a tutti i miei cari se alcuna volta ho arrecato a voi dolori. Lascio la vita col solo dolore del pianto di mia Madre, della mia casa e di quella fanciulla che fu l’ultima mia speranza. Possa tu, Madre, baciarla per me in fronte e dirle che così era il destino e tale la volontà del Signore, epperò sarò esorto con lei accanto a voi nel cuore. Iddio vi benedica e vi consoli. Addio vi terga il pianto col pensiero che rosato è il mio sangue in terra d'Italia, per l’Italia e per l’umanità che tende alla redenzione solo per virtù del sangue. Ci rivedremo nell' eterno cielo. Non lascio per mio ricordo che a te, Madre, tutte le mie povere cose scritte, eredità del mio pianto solingo e triste. Non lascio che le mie memorie e il mio nome oscuro, io uno degli infiniti ignoti, che saranno morti che morranno per l'enigma del mondo. Ho desiderata la gloria dell'arte. Mi basterà quella d'esser morto per la Patria e di aver combattuto con indefesso cuore! Oh, Madre, Madre, in nome della mia memoria, ti scongiuro con tutta anima mia, reggi al colpo tremendo e sappi che ci rivedremo in Dio e sappi che tu devi restare per gli altri miei cari, o anima soave, gemma del mondo! Vado con la fede nella salvezza che tu mi hai promessa, ma se io non tornerò sappi che Cristo ha detto: sola salvezza é Iddio. Ti bacio infinitamente. Morirò con voi sul cuore. Dite addio a lei, a lei ultima immagine della primavera e della vita. Vi consoli la mia memoria e gridate con me Viva, l’Italia»
6 Luglio 1916 MAMMINA MIA, La tua ultima del 2 m' ha messo in cuore una tristezza piena, e insieme non so quale misteriosa fiducia. Prima quella che io devo tornare a te, poichè tu non potresti bere il calice amaro .... poi quella più sicura del sentirmi pronto a tutto, anche a morire, in nome della mia fede, del mio pensiero su Dio e sugli uomini: pensando che quella mia pacata e risoluta tranquillità del domani possa essere la tua consolazione anche nell'evento. Credimi, mamma, e fa come faccio io che ho totalmente messa la mia vita nelle mani di Dio, tanto che se lo invoco, non è che per te e per il dolore di tutta l'umanità, certo che io sono ben poca cosa di fronte ai destini del mondo. Innalza, madre, il tuo pensiero alle cause prime della vita e della morte; medita nel tuo cuore gl'ideali, e le speranze e il perché e il come delle umane cose; prova anche a trovarti impotente nel risolvere qualcuna appunto di quelle questioni e vedrai e vedrai, come di me è stato, che facendo ritorno al solo pensiero che può rimanere indiscusso. Iddio, ti persuaderai che anche avvenendo la morte di uno non è che un breve alito fuggitivo, e questo ti sarà come è a me di infinita consolazione e non pregherai più che per una sola cosa: di non dover soffrire troppo, morendo! Che se io ti parlo di morte e ciò può farti fremere, si è che tu non comprendi con quale serenità filosofica, sovrumana, divina io vada considerando l'evento, poichè sento in me la immortalità dell'anima e insieme così misera la carne, e il male e il peccato e la vanità delle terrene cose, che tutto ciò mi rende superiore al mio vivere presente e mi fa sorridere al varco fatale. Perchè, mamma, deve essere e sarà mio bisogno spirituale, qualora vivessi, il meditare più la vita umana a petto della immortale, che non le cose del mondo; ed ergermi sopra queste zolle per sprofondare il pensiero nell' Eterno in nome dell'arte e, per suo mezzo, forse allo scopo di far del bene agli uomini, o anche solo di raccogliermi nell'attesa d'un giorno estremo che pur verrà; e sentirmi compreso della soddisfazione che c'è nel pensare e meditare, pur dovendo rinunciare a un nome, o perchè mi mancasse l’ingegno ad esprimere ciò che pensassi o perchè non potessi altrimenti farlo o non volessi. Che se il tuo cuor di madre soffre dì non esser meco e di non potermi salvare, oh! innalza la, tua sofferenza al Dio in che tu credi, ed offrila piuttosto come un sacrificio per la redenzione comune che per la breve e oscura vita, del tuo figlio. Certo ebbe molta parte la volontà, umana in questa guerra, ma non tutta forse. Ed io per me credo che il secolo nostro, te ed io compresi, abbia meritato questo castigo divino. E tu sai che la maggior parte delle sventure che ci toccano sono dovute a nostra imprevidenza o a nostra colpa, così è forse di questa e però conviene subire tutti insieme la conseguenza e non maledire al dolore ed al sangue versato, sì bene sperare che da esso sorga miglior pianta nel mondo. Questo io credo e spero: in questo pensiero solo trovo la forza di lottare attendere e sperare. Gran Dio! Molto di ciò che ne ricorda è ignoto e la causa delle umane traversie, e delle lotte e delle vicende ci sprofonda e nel tempo e nelle generazioni ma un fine ideale a tutte le cose conviene che esista, poichè il cuore stesso immerso nel pianto si rifiuterebbe di pensarlo assente... Come mai, come mai tutto ciò avrebbe senza scopo? Ora se il perchè ultimo ci è ignoto, non malediciamo, madre, no, ma speriamo nel futuro che colla rivelazione ci porti anche la redenzione. Non posso parlare che così, mamma, come un credente, come un mistico, perchè perso che non vi sia altra via che tornare al passato. Non vedi il secolo nostro? Trovò sistemi filosofici, naturalistici, empirici, materialistici; s'arrabottò, s'affannò, derise, sprezzò, insultò, incensò se stesso e che concluse? che si trovò dinanzi alla morte uguale, terribile, eterna con l'eterno ignoto! Così ritroverà la fede e la vanità e la speranza! E verrà qualcuno, mamma, a dirlo, deve venire di qui a dieci e dì qui a cento anni, e ci sarà allora la fratellanza tra gli uomini nel solo nome di una cosa oltre umana. Potrei errare, o gettare parole a caso, ma le ripeto a te, perchè son le parole e i pensieri che mi tormentano di continuo il capo e pur mi rendono tranquillo sul mio conto, in quanto mi sento un nulla di fronte al problema umano. La Patria, Iddio, la gloria... sono follie — diceva il secolo nostro ostentando il suo amore novello per l'umanità! L'Umanità! Così essi la intendevano, frolla, materialistica e peccatrice! Bella umanità! Cristo medesimo non rinnegò la sua patria e pur nessuno mai ebbe più vero ed alto amore per l'umanità in cui ogni gente deve essere sorella! E mai non lo sarà finchè non si ritorni al passato, cioè agli ideali. Che ogni famiglia è fatta di più membri, e vi si è d'accordo se ciascuno si sente ed è uguale agli altri, od ubbidisce amorevolmente ad un riconosciuto e naturale comando. Così avverrà che quando ogni gente avrà preso o ripreso il suo posto nel mondo, e quando, (troppo arduo pensiero a risolversi!) saranno composti gli odii sociali, spunterà la pace universale tanto desiderata, non oggi solo, ma, per molti secoli già. Del resto mamma, che ne sappiamo noi di tutto questo? Che siamo noi, perchè siamo noi? E perchè pretenderemo di viver quieti tutta la vita come se la vita fosse l'ultimo fine per cui venimmo dall'ignoto e ad esso andremo? Io non ho studiato molto mamma sui libri profondi, ma ho molto pensato, e non posso comprendere come certi pensatori non si siano chiesti l'eterna domanda: perchè siamo noi? quando hanno inventate le loro teorie da gettare in pasto allo scetticismo e alla indifferenza moderna. Perchè se molte volte ho pianto parendomi vano e triste il mondo, e se ancor oggi non so spiegarmi certe cose, ad esempio quella necessità per l'uomo di vivere tra i dolori sognando la pace e la quiete, pur sempre trovo riposo nel pensiero di Dio, il qual pensiero non certo imputabile di bigottismo, o di paura, o di superstizione, è il solo che mi dà forza di affrontare la morte e mi fa creder essa una sì natural cosa e sì poca che se tu ciò intendessi appieno, e saresti al certo infinitamente consolata. Lo sento anch'io il dolore, mamma, e a volte disperatamente, ma finisco per essere consolato da quell'affanno stesso. Rinnegheremo una patria, l’Italia, Roma, l'ideale, la bellezza di morir giovane, la gloria, il sacrificio stesso considerato come olocausto alla umanità futura.., per pochi miseri anni forse oscuri ed avviliti ? No, mai! e poi mai! Se questo pensiero mi mancasse non ani sentirei io... e spezzerei me stesso! La vita potrebbe non servire; la morte servirebbe certo. O quella o questa è cosa che Iddio solo vorrà. Perciò sono tranquillo e devi esserlo pure tu; ho fede e devi averla tu pure, ma non una, fede che è scampo alla disperazione, ma, una fede che ammette anche l'evento... (questa è la sola e vera, fede, o mia, madre santa, che vuoi di più o mamma t'abbraccio con infinito affetto e spero d'averti consolata Tuo figlio MARIO
ADOLFO FERRERO NATO A TORINO IL 3 GENNAIO 1897 STUDENTE IN LETTERE NELLA R. UNIVERSITÀ DI TORINO S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 3° REGGIMENTO ALPINI CADUTO COMBATTENDO SULL' ORTIGARA IL 19 GIUGNO 1917 DECORATO DI MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Ortigara, 18 Giugno 1917 Ore 24.
CARI GENITORI, Scrivo questo foglio nella speranza che non vi sia bisogno di farvelo pervenire. Non ne posso fare a meno. E pericolo è grave imminente. Avrei un rimorso, se non dedicassi a Voi questi istanti di libertà, per darvi un ultimo saluto. Voi sapete che io odio la retorica... No, no, non è retorica quello che sto facendo. Sento in me la vita che reclama la sua parte di sole; sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa ma orrenda .. Fra cinque ore qui sarà un inferno. Fremerà la terra, s'oscurerà il cielo, una densa caligine coprirà ogni cosa, e rombi e tuoni e boati suoneranno fra questi monti, cupi co u e le esplosioni che in questo istante medesimo sento in lontananza. Il cielo si è fatto nuvoloso, piove. Vorrei dirvi tante cose... tante... ma Voi ve l'immaginate. Vi aro. Vi amo tutti tutti... Darei un tesoro per potervi rivedere.. Ma non Posso... il mio cieco destino non vuole. Penso, in queste ultime ore di calma apparente, a te, Papà, a te, Mamma, che occupate il primo posto nel mio cuore; a te, o Beppe, fanciullo innocente, a te, o Adelina. Che vi debbo dire? Mi manca la parola un cozzar di idee, una ridda, di lieti e tristi fantasmi un presentimento atroce mi tolgono l’espressione. No, no non è paura. Io non ho paura! Mi sento ora commosso, pensando a voi, a quanto lascio; ma so dimostrarmi forte dinanzi ai miei soldati calmo e sorridente. Del resto anch'essi hanno un morale elevatissimo. Quando ricoverete questo scritto, fattovi recapitare da un'anima non piangete, siate forti come avrò saputo esserlo io. Un figlio morto in guerra non è mai morto. Il mio nome resta scolpito nell'animo dei miei fratelli; il mio abito militare, la mia fidata pistola (se vi verrà recapitata), golosamente conservati, stiano a testimonianza della mia fino gloriosa. E se per ventura mi sarò guadagnato una medaglia, resti quella a Giuseppe,.. O genitori, parlate, fra qualche anno quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratellini, di me, morto a vent’anni per la patria. Parlate loro di me; sforzatevi di risvegliare loro il ricordo di me... Che è doloroso il pensiero di venire dimenticato da essi...
GINO CUCCUINI NATO A GREVE (FIRENZE) LAUREATO IN GIURISPRUDENZA NELLA R. UNIVERSITA’ DI MODENA CAPITANO DI COMPLEMENTO DEL 36° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL COLBRICON L' 8 AGOSTO 1917 DECORATO CON MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
Dalle lettere alla famiglia. Io parto contentissimo e in qualunque evenienza vi conforti il pensiero di avere un figlio, che, conscio dei suoi sacri doveri farà il possibile per meritarsi il plauso dei suoi superiori. Non dico della Patria, che sono troppo piccola cosa per pronunziare sì alto nome ma, se l'avvenire della mia Patria ha bisogno di me, nessuno più di me è orgoglioso e fiero di offrirle tutto. Finalmente è giunto il turno del mio battaglione. Questa notte dormirò in terra in compagnia delle stelle. La trincea mi attende con tutta la poesia che può offrire; i soldati veglieranno col fucile spianato, io sarò con loro in cerca del nemico. Quale felicità se per il primo sarò salutato dall'avversario! Sono ansioso di poter menare una buona volta le mani. Contribuirò anch'io questa volta alla nuova vittoria? Me l'auguro con tutto il cuore. Anche per noi è giunto il giorno della vendetta. I morti della compagnia ci chiamano e noi soldati sentiamo il loro grido.
ENZO VALENTINI NATO PERUGIA IL 29 NOVEMBRE 1896 STUDENTE NELLA R. UNIVERSITA’ DI ROMA SOLDATO VOLONTARIO DI GUERRA DEL 51° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL COL DI LANA IL 22 OTTOBRE 1917
22 Luglio 1915
ALLA MADRE. Stamane mentre andavo al ruscello a lavarmi coll'acqua gelida e salubre della montagna, mi è stata consegnata la tua lettera. Grazie mille volte! Non puoi credere quale sia la nostra gioia quando riceviamo lettere da casa: è una cosa che non si può immaginare, bisogna provarla per concepirla. Se tu vedessi che splendidi fiori su questi prati! Le orchidee, gli anemoni, le saifraghe gialle, le genziane color del cielo e le campanile violette, i semprevivi, i myosotys, le viole gialle, mughetti nascondono il verde dell'erba sotto le loro corolle. I massi coperti di museo son coronati di cespugli di rododendri densi e ramosi, carichi di fiori a mazzetti del più bel roseo che si possa pensare; tutto il campo è piantato in mezzo ai rododendri; io ne colgo a mazzi e ne adorno la mia tenda all'intorno se potessi vorrei mandartene, perchè poche piante da serra fredda possono gareggiare in grazia con i rododendri delle nostre Alpi. Se vuoi, mandami un taccuino perchè vorrei prendermi degli appunti e seccarvi dei fiori alpini. Oggi ho lavorato un'ora a scavare col piccone nella costa del monte il posto per la baracca dove presto tutti avremo ricovero e staremo benissimo. Le granate austriache continuano a piovere sul colle del passo senza risultato. Oggi un nostro cannone ha aperto il fuoco contro l'osservatorio austriaco; ad ogni colpo tutta la montagna e il ghiaccio risuonano come un organo dalle mille gole. Bacia con affetto papà e Carlo ai quali non scrivo perciò tutto quello che dico a te vale per loro, pari essendo per tutti e tre il mio affetto, anche se di diversa natura.
Agosto 1915.
(Ad un amico) Quassù si respira, nelle pause dei cannoneggiamenti, un’aria satura di misticismo francescano, in nessun luogo come quassù sora acqua è pura et humele et casta, quassù sora luna e le stelle, non che clarite, son fulgide di bagliori adamantini, sora madre terra, quassù, carica di nevi e coperta d'erba e di fiori, si leva verso il cielo in forme di bellezza nello cui linee divine è il sogno certo del Pensiero Eterno; e in qual luogo se non quassù, sora nostra morte corporale, risplende di splendore inestinguibile sul cielo dell' Anima? La montagna col suo immenso ghiacciaio si leva, enorme contro il nostro accampamento, alta sopra i pascoli verdi, e le ore che passano sui cielo, Io tingono successivamente dei più fantastici colori. Certi tramonti accendono le roccia come carboni, o le placcano d'oro, o le arroventano alla, sommità, o le fioriscono di violette cupe, finchè la cenere color di giacinto, della sera, non spenga nel suo uniforme mantello ogni altro colore. Nelle notti di luna la valle è di smeraldo, la roccia è di lapislazzuli, e il ghiacciaio di madreperla scintilla, tacito e freddo sotto il mistero concavo e profondo del cielo d'oltremare. Se tu fossi qui! Artista, fratello, oseremmo noi di dar mano a qualche tela?
1 Settembre 1916.
Che giornata deliziosa ieri, nel discendere dalla montagna fino alla Malga (dove mi accampai, se ti ricordi, il giorno che arrivai quassù) ho rivisto le belle foreste che mi avevano reso lieve lo zaino e piana la salita. La luce del mattino trionfava nel cielo sgombro, i prati dolcissimamente scintillavano d'uno splendore di smeraldo, trapunti dalla fiamma rosea dei colchici autunnali che mi riportavano con la mente a Laviano, e al dolce nostro settembre. Ho visto il cimitero con le sue croci e le sue corone secche, immerso nella gran luce, tacito e austero, fiorito di colchici rosei, fra i grandi abeti che levano sullo sfondo della montagna i loro rami leggeri come ricami di luce glauca. Ho rivisto le gole selvagge di Sottoguda dove il fiume gelido e limpido s'ingolfa spumando in tumulto fra le pietre coperte di museo odoroso chiuso fra le muraglie eccelse che i boschi coronano di verde, cerulo nell'ombra, iridescente nel sole che scende in bande dall'alto, spettacolo sublime ed inimmaginabile. Ho rivisto Sottoguda col suo campanile nero, coi suoi tetti di scaglia di legno lucida come l'antimonio, e la valle serena, e i boschi profondi, e il fiume fra ,le ghiaie luminose, e i campi biondi, e le donne chine a falciare, e i cani e le rondini, e i bambini, biondi e pallidi, distesi nei prati a giuocare, e in mezzo a queste tranquille immagini di pace il tramestio guerresco dei rifornimenti, i camions, i muli, i soldati di tutte le armi, i carri, cannoni che vanno, che vengono, si fermano, con apparente confusione, e con ordine perfetto. E poi sulla via di Rocca Pietore, ci siamo ingolfati nei boschi profondi dove il sole e l'ombra ricamano l'oro e l'azzurro in mezzo al verde degli abeti. Giunti a Caprile, siamo (parlo al plurale perchè sono col mio sergente maggiore) andati a trovare il Capitano Colagè, e l'incontro è stato tenerissimo. — E' un uomo d'oro — Abbiamo fatto colazione in un'osteria sotto il camino nel cui centro arde il fuoco, e in fondo a cui (se tu vedessi come carina), una lunga e stretta finestra s'apre sui pascoli verdi, fiorita, di gerani e di garofani. Verso la fine della colazione l'oste con gli occhi fuori della testa per Io spavento, ci ha scongiurato di fuggire, perchè piovono le granate sul paese. Ridendo di lui e del suo spavento siamo usciti a bere e mangiare sulla piazza con il fiasco e con le frutta. Passavano correndo le donne con le caratteristiche gerle piene di masserizie da porre in salvo, e uomini spaventati e bambini mezzi stupiditi, mentre sui tetti di legno i pallini imitavano la grandine, e nel cielo purissimo scoppiava qualche shrapnel. A noi non fa impressione ma ai buoni caprilesi una cannonata fa perder la testa tanto che l'oste non ci ha neppure fatto pagare nella fretta di mandarci via. Una granata ha esploso nel parco dei muletti, e ne ha feriti alcuni in modo orribile. Uno ha la guancia scavata e grondante, e uno sguardo così disperato, che solo per quel muletto ho odiato tutta la malvagia razza degli austriaci. Siamo tornati passo passo, carichi di provviste e sempre più felici. Alla Malga le guardie ci hanno invitato a pranzo sull'erba, mentre la cerchia dei monti s'accendeva di fuochi rosei nel grande opale azzurro dell'aria vespertina. Non c'è gente più semplice e più buona di questi rudi soldati delle alpi; la montagna dà un pò della sua austera serenità alla loro anima che la espande in delicata bontà. Figurati che uno in nome dell'amicizia nostra, che data da stasera, mi ha regalato un fascio di stelle alpine fresche e di una ricchezza incredibile, è un maresciallo veneto. Un altro un caporal maggiore di Montepulciano, che ha ucciso un alpino austriaco sulla montagna, e l'ha portato a spalla al campo mi ha regalato la penna di fagiano di monte che ornava il cappello del morto è un ricordo bellissimo della guerra. Al calar della notte mentre nel grande azzurro i fuochi rosseggiano accanto alle baracche di legno, riprendiamo il cammino. Alle dieci giungo alla tenda stanco morto e felice, convintissimo che il mondo è bello.
4 Ottobre 1916
Ieri fu una giornata un pò movimentata; Si stette sempre pronti, con le giberne addosso, aspettando un ordine che non venne, mentre un inferno di cannonate svagliava l'eco della montagna dal lato del Col di Lana. Ancora una volta abbiamo respirato all'orlo di una battaglia senza parteciparvi; noi siamo come una nota sul margine d'una pagina d'un poema. ...Certo io mi ricordo dei luoghi lontani e cari c'è nella pace della nostra campagna autunnale, qualche cosa dell'affetto calmo e sereno che la madre ha per i figli; il luogo che per il primo i miei occhi hanno contemplato ha qualche cosa di materno, e non può sparire dalla sfera del mio ricordo e del mio affetto.
Il 27 di Giugno 1915 prima di partire per la guerra lascio:
A MIA MADRE pel giorno della mia morte corporale le mie ultime novità MAMMA MIA, Fra qualche giorno partirò per il fronte. Scrivo per te questo saluto che tu leggerai solo se io morrò, e valga anche per Papà, e per i miei fratelli e per quanti nel mondo mi amarono. Poichè, nel mondo, a te il mio cuore offrì sempre le cose migliori per l'amore e per la riconoscenza che sentivo verso di te, a te voglio far conoscere le mie ultime volontà: 1° Tre, tu io sai, sono state le gioie della mia vita terrena: la poesia, l'arte e la scienza. Nella mia solitudine laboriosa, la mia anima cercò la sua via traverso la natura e a traverso l'arte. Di questa ricerca voglio che resti nelle tue mani fedeli qualche ricordo, qualche oggetto materiale, che ti rammenti quale fu la vita della mia anima finchè fu prigioniera del mio Corpo. Per questo ti lascio: 1° I miei libri cari, quelli in cui il cuore canta, quelli in cui lo Spirito ricerca, quelli in Cui l’Anima comprende l’Universo. 2° La mia collezione d'insetti, che m’ha valso tante ore di gioia pura. Curala, affinché i tarli non la distruggano; per essa il tarlo è come per il corpo il verme; è la fine. Anche il catalogo ti lascio, senza cui la Collezione non ha valore. 3° Tutti miei tentativi artistici, disegni, acquarelli, pastelli, olii, acqueforti, con le loro lastre ed anche le acqueforti e i disegni originali di altri artisti che posseggo. Pensa che l'arte è stata una delle mie gioie più grandi. 4° Tutte le bazzecole eleganti, che adornavano le mie stanze e riempivano i miei cassetti, segnalibri, vasi da fiori, posa carte, sopramobili, vestiti, tutto insomma che mi apparteneva e cosi i ferri del mestiere, dal microscopio ai colori, dal retino alle pinzette. Tutte queste cose vorrei che tu trasportassi nella mia, camera a, Laviano; ve le distribuirai come meglio ti piacerà. 5° Molte persone mi hanno voluto bene a ciascuna di esse tu darai un nonnulla che mi abbia appartenuto, per mio ricordo, un nonnulla, scelto da te tra le cose che meno ti premono. Voglio che qualche cosa resti anche a loro dell'amico scomparso per salire sempre, come la fiamma, oltre le nuvole, oltre la carne (et ultra! ricordi il mio motto?) nel sole, nell' Anima del Tutto. Ti accludo dunque una lista di nomi. 6° Cerca, se puoi di non piangermi molto. Pensa che, se anche non torno, non per questo muoio. Lui, la parte inferiore di me, il Corpo, soffre, si esaurisce, muore. Io, no, Io, l’Anima non posso morire, perchè son da Dio, ed in Dio devo tornare sono stato creato per la gioia, e attraverso la gioia, che in fondo ad ogni dolore, alla gioia eterna debbo tornare. Se alcun tempo fui prigioniero del Corpo, non perciò io son meno eterno; la mia, morte corporale é una liberazione, è il principio della, vera vita; è il ritorno all'infinito. Perciò non mi piangere. Se tu penserai alla immortale bellezza delle Idee cui la mia anima ha voluto sacrificare il mio Corpo, non piangerai. E se il tuo cuore profondo di Madre piangerà, versale pure le tue lagrime; saranno sante, sempre, le lagrime di una madre. Che Iddio le conti saranno stelle per la tua corona. Sii forte, Mammina dall'aldilà, ti dice addio, a te, a Papà, ai fratelli, a quanti mi amarono, il tuo figlio che dette il suo corpo per combattere chi voleva uccidere la luce. ENZO
COMINETTI GIOVANNI NATO A VARALLO IL 29 NOVEMBRE 1896 STUDENTE DI LETTERE NELLA UNIVERSITÀ DI TORINO S. TENENTE MITRAGLIERE CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO NEL 1917
Carso, Giugno 1917
E' l'ora della tregua; l'ora che in cielo sgorgano le lagrime sopra il nostro dolore lacrime d'oro per l’Eternità. Valanghe d'ombra cadon nelle trincee, nelle doline e nei camminamenti. Lo spasimo che fu, che fu l'urlio dei combattenti, andò a morire a fondo del Vallone. E' l'ora dei ricordi che attanagliano il cuore e lo torturano. Poter dimenticare quella che, un giorno, fu la nostra vita, la madre, il focolare, ogni memoria più soave e santa. Virtù di dileguare nella inerte materia delle cose. Sotto l'immenso palpitio stellare essere Nulla... E' l'ora dei rimpianti. La vita che spezzai; che, serio, serio anch'io, curvo sui banchi della scuola, derisi, tra pedagoghi fatui; ora mi avvince colle rosee braccia, mi alita in faccia tutto il calore delle sue passioni. Ansia, struggimento, rimpianto amarissimo di ciò che fu goduto non assai, non assai... Oh rimpianto del frutto che mi s’offerse, e Cui, folle, non morsi! Tra breve il riflettore dell’Hermada ci inonderà della sua luce candida, scrutatore insolente nel tondo occhio lucente tutta trepiderà, l'ansia codarda dei clavigeri insonni. Una beffarda, danza parranno intessere i cadaveri impigliati entro il groviglio dei reticolati al chiarore dei razzi i cadaveri avranno gesti pazzi. Ora i soldati dormono, poggiato il viso nella palma. Essi hanno tirato qualche telo da tenda sopra i sacchetti del trinceramento per le granate e le fucilate (dicono loro) cosa non v'ha che meglio li difenda. Sotto il gran pianto stellare i morituri sognano; soffi di vento, gemiti di cose salgono dalla dolina dei «Morti». Rannicchiati, adagiati, morituri sognano assorti. Sognan la casa, sognano il podere questi figli abbronzati della invitta Calabria; e la foresta sognano della Sila, ed il Busento, Vedon la madre sopra, il limitare severa ed adusta le mogli floride e i figlioletti. I loro volti, i loro corpi stanchi un paion chiedere a Dio Perchè? Perché? Forse tra breve un portatore d'ordirli giungerà trafelato, sbalzando dì buca, in buca, le mani insanguinate, e scuoterà ì soldati «Dov'è il vostro Tenente?» Poi dalla tasca interna della giubba trarrà un biglietto. Si leveranno ansiosi sui gomiti, i soldati che sognavan la madre, e la lontana foresta della Sila ed il Busento. Il portatore d'ordini reclamerà la firma; disparirà nell'ombra confusa della notte, e tra breve la, linea sarà tutta di fuoco. Per te, o Italia, Madre delle nostre madri, che hai nel nome la freschezza delle fonti, la dolcezza dei frutti, la bellezza delle albe e dei tramonti, Italia! Ancora ancora, per Te, sapremo udire l'adunata della Morte. Per te, stanotte, domani, e sempre irromperemo, fiumana grigio-verde. Stanotte, domani e sempre sapremo abbeverare col nostro rosso an e la calva arida quota. Sapremo ancora intessere aerei ricami di morte colle mitragliatrici. E sempre per te il taciturno scaglione dei porta-munizioni inasterà le baionette per l'ultima difesa, per la, più bella morte. Domani sera, chi sarà ancora vivo tornerà a sognare tornerà a fissare il pianto d'oro nell'azzurrità.
Zona di Guerra, li 10 Giugno 1917.
CARISSIMA MAMMA, Tu riceverai questa mia lettera dopo quattro o cinque giorni dal tuo onomastico, e penserai che tuo figlio non si sia ricordato di te nel giorno sacro del tuo nome. E forse penserai che egli non abbia, per te quell'affetto che si deve e ti troverai mal corrisposta, te, povera madre, che preghi lunghe ore per lui, ché non sai dove sia! Oh mamma! io ti ho sempre nel cuore, io penso sempre a te, anzi non voglio pensare alle volte troppo a, lungo perchè allora mi sentirei debole e non può mai sentirsi debole chi difende la Patria. Tutte le novità e i mutamenti seguiti nei giorni dall'uno ad oggi mi hanno, dirò cosi annebbiato un poco la mente ma oggi tutto d'un tratto, mentre riposavo, (perchè quassù si riposa di giorno) mi è balzato il ricordo del tuo onomastico, e ho provato un dolore acuto che tu do-vessi poi credere in una trascuranza. Oh, come ti ripeto mamma che tuo figlio ti adora che pagherebbe metà del suo sangue per poterti stare insieme un'ora, e poterti dire quello che non ti ha mai detto, aprirti una volta il suo cuore chiuso, che ti ha sempre amato tanto e che non l'ha mai detto, chi sa perchè forse per un falso pudore. Essere con te, col babbo, le sorelle, Enrichetta, Virgilio... oh, questa sarebbe la maggior gioia della mia vita! Sono le quattro del pomeriggio, è domenica, ed io riposo nella mia galleria. Fuori è sole cocente e il rombo delle cannonate che passano assai alte. Noi siamo troppo vicini agli Austriaci, perché il cannone si fidi a battere. E gli austriaci li abbiamo respinti due notti fa si avvicinano come i lupi, con le bombe a mano i vigliacchi; ma noi vigilavamo, ed è stato l'inferno; oh Come Cantava la, mia mitraglia, come passavano rapide e precise le nostre cannonate; la nostra artiglieria è divina! i miei soldati furono leoni « Soldati, c'è qui il vostro Tenente!» — Viva il nostro Tenente!» Vecchi soldati di una brigata premiata con medaglia d'oro, per loro la guerra é un giuoco; sparavano, gettavano bombe e dicevan cose che facevan morire dal ridere. E gli austriaci... via. Ora non caccian più fuori il naso. Questa è la mia prima vittoria, non veramente mia, ma dei miei. E la fanteria, più sotto ci gridava su: bravi mitraglieri, viva la mitraglia, ta ta ta ta! oggi é il tuo onomastico, mamma, ed io ti offro questa vittoria come il miglior dono. Che sia la ricompensa? mi è arrivato in questo momento un avviso privato, ma sicurissimo, che stanotte scendiamo dalla quota inviolata e Contesa. Questa lettera la imposterò laggiù, nel paesello che ci attende per il riposo. Addio, saluti e baci a tutti. GIOVANNINO
FULCIERI PAOLUCCI DE' CALBOLI NATO IN FORLI' IL 26 FEBBRAIO 1993. TENENTE DEL REGG. SAVOIA CAVALLERIA MORTO IN SEGUITO A FERITE RIPORTATE PER LA TERZA VOLTA SUL CARSO IL 18 GENNAIO 1917 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ORO AL V. M.
Dalle sue lettere
Gennaio 1915 Torno ora dal Duomo, dove sono rimasto a lungo pregare e dove son riuscito a chiedere con la speranza di essere esaudito, la forza necessaria per trovare sempre in ogni modo qual'è la via giusta, eh' io devo eseguire... Sono stato sul punto di lasciarmi andare a piangere per la disperazione di non sentire fra le vie che si aprono dinanzi, quale sia quella della verità e della vita.... »
Maggio 1915
Quando si ha una posizione, un nome, della tradizione, bisogna far più degli altri, fa di se stesso una bandiera. Da noi ufficiali la Nazione ha diritto di chiedere più di quello che pare umanamente possibile.
Luglio 1915 C’è nel soldato italiano una magnifica stoffa di combattente, una meravigliosa tempra di uomo buono, solido, inconsciamente eroico. La guerra, egli la combatte per oscuro senso del dovere, senza saperne ragione... Come materia prima, moralmente, di prim'ordine. Ha un senso della moralità, per esempio famigliare, che altri popoli non hanno. Ma non è stato educato...
Dal Trentino 30 Maggio 1916
Ho visto gli austriaci scappare precipitosamente giù per il pendio inseguiti i nostri che urlavano dei «Savoia» che dominavano le cannonate. E' stato un momento indimenticabile. Dalla gioia nessuno ha più fatto caso delle cannonate Questa nostra difesa, specie quella di Passo Buole, sarà tra le più belle pagine della guerra.
Da Monfalcone ...1916
Alla sera, protetti dai cadaveri che i superstiti avevano ammucchiati per massa coprente. 40 uomini sparavano ancora disperatamente. Quando un'altra compagnia potè salire a dare il cambio... il capitano era morto. Sui taccuino aveva lasciato l’ultimo rapporto per il colonnello la posizione è sempre in nostro potere ma custodita dai morti. Su cinquemila uomini circa, ben 3500 sono caduti, morti o feriti, non uno prigioniero. Evviva!
Dal Trentino... 1916
Mentre ti scrivo una granata ha ucciso qui l'ultimo ufficiale di una batteria che tornava indietro ferito. L'hanno portato qui... Sorrideva. E d'orgoglio sorrido anch'io sentendomi fratello di questi nostri eroi, anche nella divisa.
26 Ottobre - 1 Novembre 1916 (Quando era già stato due volte ferito e rimasto zoppo).
«Sono sceso per non far vedere che avevo le lagrime agli occhi. Pensavo che all'assalto di quota 77 fu lasciato andare — due mesi or sono un mutilato, (l'eroico Toti) e che oggi non si lascia andare in pattuglia, dalle stesse parti, me, che pure sto bene. Sentivo che probabilmente si è ritenuto che io non avessi le qualità morali che bastarono al Toti per supplire a quelle fisiche; e mi sono sentito così abbattuto, così così inutile che sono corso al mio tavolino per avere l'impressione di esserti vicino... e di piangere così, dolcemente silenziosamente i bei sogni di eroismo e di gloria ahimè svaniti!». A quanti erano stanchi, sfiduciati, soli, ho gridato il dovere della fede, della certezza della vittoria, della fierezza del dovere, compiuto. E il mio zoppicamento triplicava il valore delle mie parole».
Senza data.
«Ch'io debba dire «un ave e un requiem» prima di uscire (dalla trincea) è un rimpicciolire l'idea della divinità. E' un ridurla a far d'amuleto. Si riduce invocazione della divinità prima del pericolo, all'altezza dello scongiuro». Fra i soldati io mi sento oggi con una fede che i momenti di dubbio hanno fatta più sicura. Ne ricordo uno, straziante fra tutti giorno 18 giugno 1916 poco prima che io venissi ferito per la seconda volta sul monte Zovetto, il macabro «monte dei cadaveri» Per riattivare la nostra fronte sfondata eravamo stati slanciati all'assalto. Di balzo in balzo si era giunti fin sotto la strada militare. Ma qui le raffiche delle mitragliatrici ci avevano inchiodati a terra. Mentre a pochi centimetri sopra, di noi fischiavano le pallottole, io mi trovai vivo accanto a un caporale morto. Strisciando gli fui addosso per togliergli Ciò che ai suoi avesse potuto mandare. Gli provai in tasca una lettera della moglie in cui gli diceva del premio toccato in scuola al figlio maggiore ed il bambino fiero del suo successo, aveva scritto dopo la mamma con la sua calligrafia grossa: Io sono contento e penso al mio papà che fa la guerra. Confesso dì avere dubitato, in quegli istanti, se io non fossi un fuorviato, se io a quanti avevano voluto la guerra e avevano provocato questa e altre morti non fossimo di esse responsabili. Mi sono detto Ma questo caporale, non l'ho forse a poco a, poco avvelenato moralmente io, fino al momento in cui l'ho assassinato portandolo qui a morire? Non sono io il ladro infame che ha rubato a sua madre anche la speranza, uccidendo colui che solo poteva mantenere acceso al figlio il focolare? Non sono io l'apportatore di miseria e di fame ad una famiglia colpevole soltanto di essere felice? Davanti a un simile disastro che cosa resta dei miei sogni di grandezza, sogni che quest'uomo neppure capirà? E se ho pagato io di persona, se potevo essere io ora al posto di lui morto, basta forse questo a giustificarmi davanti a quegli occhi eternamente fissi che sembrano chiedere: E mia moglie? e mio figlio? Ho vissuto in quel momento l'ora mia più angosciosa. Mi sono risollevato e sono partito in avanti straziato dal terribile dubbio cui non sapevo rispondere. Soltanto vari giorni dopo ebbi la gioia di sentirne l'inanità. Ritornato sullo Zovetto con la nostra controffensiva vittoriosa ho ritrovato sotto la strada militare il mio caporale ancora insepolto. Fra i mille cadaveri sparsi ed abbandonati ho voluto che quello fosse subito composto in pace. Quando fu reso alla terra, alla grande madre che egli aveva custodito anche da morto col suo corpo, nell'attesa del nostro ritorno, sentii entrare in me la pace che avevo dato a quei miseri resti; sentii che quella morte come le altre rientrava in un grande ritmo la cui melodia è al di fuori e al dì sopra di noi. Sentii con un altro morto, Eugenio Vaina, che passò per la stessa angoscia, che «qualcosa di più grande di me, di nostra esistenza riassorbiva quella morte nella sua immensità; sentii la grande legge che vuole il progresso attraverso il sacrificio. Ero giustificato: sua morte sullo stesso piano della mia vita come domani la mia morte per altre vite, per il trionfo dello stesso ideale, sopra uno stesso piano provvidenziale ascendente la morte del padre per la vita del figlio: per il bambino che forse ne sognava il ritorno, che pensava al suo papà che fa la guerra.
SARDELLA LUIGI RAGIONIERE TENENTE DEL 222° REGG. FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 14 MAGGIO 1917
Zona di Guerra, 5 Maggio 1917
TERESA MIA Oggi per ordine improvviso, si parte da questo breve riposo ed io muovo ad affrontare l’incognita! Parto col cuore tranquillo e con l'animo sereno. Teresa mia dilettissima. Sono contento! Parto per là ove danza, sinistramente la morte, ove l'entusiasmo disperato dell'ultim'ora incute il più assoluto disprezzo della vita che per la grandezza della Patria, per il nostro decoro, per il buon nome dei nostri figlioli, perde tutto il valore. La morte sul campo di battaglia viene fulminea, senza sofferenze fisiche o morali, perchè quando la granata che contro di noi lanciò la mano del destino insuperabile che nacque con noi, il passaggio dall'una all'altra vita avviene in un istante senza avvedercene. Una sola preoccupazione mi fa soffrire, una sola ansia, mi opprime: il vostro dolore! No! non mi piangete, nè maledite al destino, ma siate orgogliosi di me: questo solo desidero, io soddisfatto di aver compiuto un dovere, di aver combattuto per la Patria. Esaudisci, esaudite tutti la mia preghiera! Pietrino e Gino saranno i tuoi, gioielli, essi saranno da te educati e si renderanno utili a loro stessi, alla Società, alla Patria: essi non saranno men degni del loro amato padre, il cui ricordo li renderà orgogliosi. Vincenzina sarà tua sorella: tu la seguiterai ad amare certamente con un amore più intenso: ricordati ch'io le ho voluto bene come una figlia. A Ninuzzo, a Pietrino non mancheranno le vostre valevoli protezioni e farete certamente la mie veci per assicurar loro un'avvenire scevro da qualsiasi preoccupazione. Lo zio Luigi sarà per voi un secondo padre: amatelo come tale come l'ho amato io: egli farà il suo dovere verso la mia famiglia. Che l'armonia regni perennemente fra, voi e la sua famiglia: compatitevi, a vicenda. Annetta; che tanto mi ha amato ed altrettanto è stata da me amata, farà le mie veci. Lei dev'essere rassicurata ch'io sono stato fidente in Dio e che mi son dato nelle sue santissime braccia.
MARIO NONNIS MARZIANO DI ALIGHIERO NATO IN ANCONA IL 18 FEBBRAIO 1897 STUDENTE DELLA SCUOLA TECNICA DI ASCOLI PICENO SOLDATO VOLONTARIO DEL 17° REGG. FANTERIA CADUTO A SELZ IL 23 APRILE 1917 DECORATO DI MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
Alla vigilia della morte:
MIEI CARISSIMI, A voi la buona Pasqua. A me il fervore della lotta. E se la fortuna dovesse abbandonarmi, a te papà, a te mamma, a Dora, a Zilla, a Tina, al piccolo Oleno, alle zie, tutti i miei baci, tutti. Il vostro MARIO
RICCARDO MORZENTI NATO A SANT' ANGELO LODIGIANO IL 17 GIUGNO 1898 STUDENTE DEL IL CORSO DELL' ISTITUTO TECNICO DI LODI S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEGLI ALPINI CADUTO COMBATTENDO SUL VODICE IL 17 MAGGIO 1917 DECORATO DI MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
L'ultima sua lettera alla famiglia. Mulino di Miscek, 2 Maggio 1917 ore 23
AMATISSIMI BABBO E MAMMA Prevedo la mia morte e prevedendola raccomando a voi questo: «Non maledite mai l’Italia, non imprecate alla «Santa Guerra» per cui morii non dubitate, morrò contento in testa al mio plotone. Chi muore da prode non deve essere pianto, ma vendicato. Sappiate che io feci tutto il possibile per vivere, ma per compiere sacro dovere morii. Io v'amo e v'amerò anche oltretomba; prima di morire ho pronunciato il vostro nome e quello della Patria. Adorate l’Italia, riversate su di essa l'amore che sempre nutriste per me. Benedite e baciate Palmiro, ditegli che l'ho amato tanto. Bacio questo foglio non potendo baciar voi. Arrivederci nell'Etere. Riccardo
ALFREDO DE RISO NATO A CALTAGIRONE (CATANIA) IL 14 DIC 1897 TENENTE DI COMPLEMENTO DELL’11° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO SUL CARSO IL 23 MAGGIO 1917 DECORATO DELLA MEDAGLIA D ARGENTO AL V.M
Il giorno della morte.
AMATISSIMI GENITORI, FRATELLI E SORELLE, Poco tempo ancora e ci lanceremo all'assalto delle posizioni nemiche. Eccomi ora, carissimi, sul punto di compiere un'altra volta il mio dovere; ed il mio ultimo pensiero non alterato dall'ansia, vola a voi ed a mia sorella Rosina che trovasi a Roma. Papà, mamma, fratelli, sorelle e parenti, raccomando, non abbandonarvi al dolore. Vi lascio poveri, ma onesti ed orgogliosi e potete dire di aver dato alla Patria, tutto quanto avevate di più caro su questa terra e su cui poggiavate le speranze per l'avvenire - Lascio ai miei fratelli l'esempio mio che è quel di aver lavorato, se bene non mi fu dato conseguire il mio scopo. Io non voglio avere tristi presentimenti, ma è bene che non mi lusinghi. Ora che vi ho esposto lo stato dell'animo mio, mi sento più tranquillo, perchè ho pensato a darvi il mio bacio, e rivolto a voi, miei carissimi, il mio pensiero, in previsione, di tutto ciò che potrebbe accadere. Smetto perchè ho da pensar ai miei compagni e soldati che tanto amo. Pregovi perciò gradire tutti, parenti ed amici, il mio saluto ed i ringraziamenti, per il conforto che darete ai miei cari e per la memoria che serberete di me. Alfredo de Riso
FERDINANDO CASELLA NATO A CANTU' (COMO) IL 27 FEBBRAIO 1893 LICENZIATO DAL R. ISTITUTO TECNICO DI COMO S. TENENTE DI COMPLEMENTO MITRAGLIERE CADUTO COMBATTENDO SUL SAN MARCO IL 14 MAGGIO 1917 DECORATO DI MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
25 Settembre 1915
CARISSIMI GENITORI Dirvi quanto volentieri e con qual gioia io vi abbia riveduto mi è impossibile. Le brevi ore che fui a Peschiera con voi mi furono d'infinito godimento e spero che il fatto di avermi trovato bene vi avrà lasciato consolati e senza alcuna afflizione. Il distacco è stato doloroso pure a me, ma immaginate quanti soldati, quanti sconosciuti eroi d'Italia, darebbero un giorno della loro vita per salutare e rivedere un istante solo i loro cari. La vista di quei poveri feriti ed ammalati che parve essere di chiusura al nostro breve e felice incontro vi avrà forse fatto pensare e vedere la guerra solo da quel lato infinitamente triste, ma grande e sublime, di un eroica sublimità. E quella lunga teoria di uomini sparuti, giovani, dianzi forti rosei, passò senza un lamento! Oggi nessuno si lamenta. Solo si innalza grandioso il grido di vittoria. Ed è alla visione della vittoria che bisogna mirare, e verso quella tendere con ardore indefesso. La guerra non è un gran male, una sequela di dolori; è un grande ammaestramento la guerra non è dolore, è gloria, è il fuoco purificatore della nostra nazione, che da anni non trovava di meglio che commemorare il passato e coloro che operarono nel passato, con discorsi lunghi e noiosi e con banchetti. Oggi non commemoriamo il passato, non ne abbiamo il tempo, perché creano l'avvenire e chi opera non commemora: lavora e costruisce. Le commemorazioni sono dei deboli; i forti compiono i grandi fatti e Italia nuova in armi pugna e conquista, non a prezzo vile da mercante, ma col sangue dei suoi figli, dei suoi migliori figli conquista il suo impero, il suo diritto a dominare. E' la terza Roma che distrugge la nuova Cartagine e si apre la sua via. NANDO.
CARISSIMI GENITORI, Come avrete visto, il mio indirizzo è cambiato, Come sono cambiate le mostrine. Ora sono mitragliere completo e porto appunto le mostrine ed i fregi come Gino Marelli. Mi trovo attualmente a Gorizia, ma non in trincea e quindi mi raccomando di nulla temere per me, che sto bene e per l'avvenire andrò sempre bene, se non meglio... Ho appreso anche le altre novità di Cantù e vicinanze; mi meraviglio come mai vi sia della gente di così poco animo... da badare alle piccole sofferenze (se pur sono sofferenze) della loro vita quotidiana tanto da dimenticare quelle dei figli soldati, dei fanti gloriosi che soffrono continuamente, lottano e muoiono per una più grande patria ed anche per loro... Ma pongo fine a questo sfogo. Voglio solamente ancora una volta, alla vigilia delle prossime azioni, scrivere che il nostro fante per le continue sofferenze è il più grande soldato e dà continua prova dei più sublimi eroismi. E mi onoro e mi vanto di essere stato fante e di appartenere ora alla parte migliore dei fanti. I mitraglieri miei sono tutti soldati pro-vati alle più aspre fatiche di guerra conoscenti tutti i posti ed animati dai più forti sentimenti di patria. Anelano all'attacco nel quale si distingueranno. Ed ora baci a mille dal vostro NANDO
11 Maggio 1917
Due giorni prima della morte. Al Furiere CARO BARVITIUS, S’intende a pagamento mi mandi tre bottiglie di cognac e un pacco di candele. Qualora io cadessi sul campo, Ella si farà rimborsare da casa mia. In questo caso scriva dando la notizia della mia morte al seguente indirizzo: Casella Ragioniere Arturo, Via Broletto 7— Milano. Milano. Mi scuserà del disturbo; io sarò ben lieto di stringerle la mano al più presto. Ma se così non potrà essere, ritenga pure che io sarò caduto colle armi in pugno per il compimento del mio sacro ideale. Mi creda: suo CASELLA
AGATINO RUSSO COCO STUDENTE DELLA R. SCUOLA DEGLI INGEGNERI DI ROMA TENENTE DEL 247 REGG FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL VODICE IL 21 MAGGIO 1918 DECORATO DELLA. MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. PROSSO EFFETTIVO PER MERITO DI GUERRA
S. Lucia 25 Ottobre 1915 Ho già ricevuto il battesimo del fuoco, che dirvi? Non lo so nemmeno io, bisogna provare per credere. Certe cose non si possono descrivere non sembra nemmeno d'esistere in quei momenti, o meglio ci si crede immuni da ogni pericolo e si va come se vi fosse un fuoco che avvampa dentro di noi e che ci fulgida la nostra via che è la via della vittoria sempre...
Trentino 9 Maggio 1916
Ho avute le vostre rose, le rose della mia Sicilia benedetta. Sono arrivate come hanno potuto, si capisce, chiuse nella lettera, ma che importa? Comunque mi parlano di voi e della mia terra bruciata così cara, così bella, così calda di sole. Grazie ancora, sorelline care. Ho anch'io qui delle rose di questi luoghi, che il mio attendente, che i miei soldati mettono nei bossoli degli shrapnel austriaci, nella mia tenda. Dirvi quanto bene mi vogliano questi miei soldatini, non lo so proprio: il Colonnello ed il Maggiore dicono che li ho stregati. L' altra notte, per esempio, fui comandato a mandare col cannoncino delle bombe alla 6° compagnia. Alle dieci partii solo dalla mia baracchetta e andai a fare il mio dovere. Poco dopo uscii dalle trincee per poter osservare meglio l’effetto delle bombe sui reticolati nemici. Nel ritornare mi vedo dietro il mio attendente e due soldati, più in là altri sei. Avevano delle corde con degli uncini, perchè, temendo che restassi ferito dagli austriaci in un punto avanzato dove non potevano venirmi a prendere, mi avrebbero tirato con una corda per riportarmi qua. Li sgridai, perché avevano abbandonato il loro posto, perduto il loro sonno e rischiavano la loro vita per me, ma d'altro canto, poveri figlioli, dovetti ringraziarli. E sono tutti così questi cari soldatini, bravi, attenti, generosi ed affezionati, io non ho da augurarmi migliori soldati. Li vedeste come stanno al loro posto sicuri e fieri anche sotto il tiro delle artiglierie e come sono contenti d'avermi sempre con loro! Del resto facciamo tutti semplicemente il nostro dovere come bisogna farlo, ma io sono lieto d'avere i soldati istruiti da me e prestare con loro l'opera mia per l’Italia.
3 Agosto 1916
Certo che la morte di d'Agata mi ha fatto impressione, non par vero di poter morire quando si fanno tanti corti per l'avvenire. Pensavo a questo, aggiungete il pensiero a casa, il caldo tremendo e certo si è che non potevo prender sonno e sotto la mia tenda, nel mio letticciuolo, per modo di dire, mi voltavo e rivoltavo invano. La sera non poteva essere più bella. Dopo l’attacco dell'altra sera gli austriaci erano calmi e neppure sembrava serata di guerra. Le Colonne dei muli con le vettovaglie passavano ed i conducenti col loro caratteristico, iu, disturbavano la quiete notturna. I rifornimenti qui si fanno di notte, perchè di giorno l'artiglieria tira. L'accampamento dormiva tranquillo come se fosse tempo di pace, di tanto in tanto qualche raggio brillava nel cielo scuro. Ad un tratto da una tenda si alza un canto, è il prologo dei Pagliacci. Una voce che non ha studio, ma che canta con molto sentimento ne ripete le note nostalgiche. Ho sentito diverse volte i Pagliacci, ma mai il prologo mi è sembrato tanto bello forza delle circostanze e degli stati d'animo! Sarà un soldato che come me non può dormire e canta: «Un nido di memorie in fondo». Oh veramente, veramente! E non sarà debolezza confessare che l'ho ascoltato, l'ho seguito con l'anima e penso al tempo quando si suonava al pianoforte a casa nostra, in tempi diversi. Vi ricordate? Ho voluto illudermi di trovarmi al Cardillo, là; fra i monti e il verde che il canto venisse dalla nostra stanza da pranzo a perdersi, così, nella vallata. Come cambiano i tempi! E' appena finito il prologo che la stessa voce comincia «Ch'ella mi creda libero e lontano» della fanciulla del West e poi «Che diranno i vecchi miei» Oh la nostalgia dolcezza di quelle note. Perché canta proprio cosi, quei soldatino! Mi fa pensare a tante Cose, a troppe cose o vedo ancora quando eravamo all’Università, con Ettore d’Agata. E con lui quanti! E' come una sfilata di giovinezza che l'amor di Patria, spasimo e gloria, che il sentimento la religione dell'ideale, del dovere sprona e sprezza, perché veramente «perché Viva la Patria oggi si muore». E COSÌ alto e nobile il compito che tutta la vita assume un valore ben grande. E penso con orgoglio che gli studenti vi si sono dati con entusiasmo, confermando ancora una volta, come ricorda l'epigrafe del Carducci nell’Atrio dell'Università di Bologna che, scienza è libertà! Mentre l'accampamento riposa quieto, io mi vedo innanzi come una visione, tutta questa riunione di gente di diversi ceti, di diverse idee, di così diverse abitudini, affratellati e concordi in un unico sentimento di dovere. E dormono i soldatini intanto, sicuri delle vedette che vigilano, dormono loro che sono veramente gli umili eroi della gloria che senza di essi, senza la balda spensieratezza con cui vanno incontro ai pericoli, senza il loro impeto che è una fede, non si può affermare. Mi vengono in mente i versi del Carducci nello Cà ira Marciate, o della Patria incliti figli, dei cannoni e dei carmi all'armonia il giorno della gloria oggi i vermigli varani e la danza del valore apria. Vi ricordate con quanto entusiasmo li leggevamo? Come ogni cosa, ogni pensiero, ogni idea della mia mente, tutto si ricollega a voi! E il soldatino seguita la melanconica dolcezza della «canzone della nostalgia» La mia mamma che farà s'io non torno più. Là lontano, chi ti rivedrà?..... Ah veramente là lontano, tanto lontano... Deve essere tremenda la punizione contro gli infami che hanno condannata alle lacrime l'umanità! La notte d'estate è troppo calda e le canzoni ricordano troppe cose, esco dalla tenda e vado ad ispezionare le vedette, ecco uno sprone magnifico, il compimento del proprio dovere, è come un bicchiere vino caldo all'assiderato, rimette vigore. Avanti per la giustizia e per la libertà.
GIOVANNI ALBERTO CAVELLI NATO A FIRENZE IL 29 MARZO 1895 GIÀ STUDENTE NEL LICEO MICHELANGELO S. TENENTE MITRAGLIERE DEL 10 REGGIMENTO GRANATIERI CADUTO SUL CARSO IL 25 MAGGIO 1917 DECORATO DELLA MEDAGLIA in BRONZO AL v. M.
Zona di Guerra, 5 Maggio 1917
CARISSIMO GIGI, DOPO un lunghissimo periodo di riposo, è venuto oggi l'ordine di partire. Certo questa volta, non si va ad occupare vecchie trincee ben riparate dove minimo è il pericolo, ma con truppe d'assalto saremo impegnati, in una delle più difficili quote del nostro fronte. Benchè la notizia non m'impressioni, pure è da parte mia doveroso pensare al peggior caso, e per il peggior caso occupo gli ultimi momenti di libertà e di tranquillità per pensare alla mia famiglia, a voi tutti che con l'esempio e con la parola mi aiutaste sempre per portarmi a un'altezza morale che certo mi doveva aiutare nei momenti più difficili. Il momento è vicino ed io spero di non deludervi. Oggi non sento rimpianti di gioventù, di vita spensierata, di sorrisi, di carezze. Sereno, tranquillo, convinto di combattere per una causa santa e grande, mi accingo ad affrontare il destino, sentendomi orgoglioso e lieto di offrire il mio sangue alla patria, di potere con l'abnegazione della mia persona, salvare alla loro sposa tanti mariti, ai loro bimbi tanti padri. Il dolore che proverebbero babbo e mamma, e voi tuffi, alla scomparsa del figlio, mi fa triste, direi quasi angosciato, ma morte più bella mi potrebbe aspettare? Eppoi non é giusto che tutte le famiglie diano il proprio contributo alla patria, sacrificando una perla della collana, ornata per la vecchiaia meno triste, meno gravosa? Non posso più proseguire tant'è la commozione di questa ora, tarda, alla vigilia di partire. Chiedo perdono a tutti, specialmente a babbo e mamma; bacio tutti. A te un abbraccio forte, forte del tuo ALBERTO
ANGELO CESARINI NATO A PERUGIA IL 29 FEBBRAIO 1895 TEN. DI COMPLEMENTO DEL 153° ARMA DI FANTERIA MORTO IL 25 AGOSTO 1917 IN SEGUITO A FERITE RIPORTATE A CASTAGNAVIZZA DECORATO DELLA MEDAGLIA DI ARGENTO AL V. M.
MIA ADORATA MAMMA, DOLCISSIMA ora, quella in cui il sole indorando con il suo ultimo pallido raggio la terra sembra dirle «riposa». Dico dolcissima, perchè è questo il periodo della giornata nel quale come per incanto fioriscono alla mente i più dolci ricordi, e l'affetto stesso sembra che maggiormente si riaccenda. Forse perchè in quest' ora anche il più fervido lavoratore lascia la sua opera per prendere un breve respiro ed ha quindi agio di pensare alle cose sue. Anch'io a quest'ora, attratto da una forza occulta, apro la porta del mio tugurio e guardando il profilo delle belle montagne nevose delinearsi in un cielo di fioco, vago con la mente nell'infinito e con l'immaginazione, vedo la mia casetta tranquilla, i miei Cari raccolti intorno al focolare. Seguo a lungo queste care immagini che sembrano condurmi in un'altra atmosfera finchè il cupo rombo del cannone o il monotono e tragico —tac — pum di qualche cecchino mi fa, ripiombare nella realtà delle cose. Forse anche Loro in quest'ora, rivolgeranno a me il pensiero e i nostri sguardi s'incontreranno là sul cielo in fiamma. Al momento presente questa è l'unica consolazione che ci resta: poterci reciprocamente pensare; e creda che nella giornata molte sono le volte che alla mia mente richiamo la sua immagine adorata. Oh la mia bella Mammina può stare certa che suo figlio non la dimentica! Oggi, come il giorno che sono partito, sento d'amarla ardentemente, infinitamente. E sarà questo amore che finita la guerra sarà la sorgente della nostra felicità; nella certezza che presto Iddio vorrà concederci la realizzazione dì Si giuste aspirazioni, le invio milioni di baci. Le chiedo la benedizione. Il suo Dev.mo e aff.mo ANGIOLO
MIA MAMMINA ADORATA Eccomi a Lei dopo due altri giorni di silenzio, causato dal solito molto lavoro, giorni, che mi sono sembrati più lunghi degli altri perchè il mio animo non ha potuto avere quello sfogo, quel sollievo, che sebbene f tanto piacevole e risanatore. Ma in questi due giorni che la penna non ha potuto trascrivere i pensieri del mio affetto, questi stessi pensieri hanno ugualmente fiorito e sbocciato nel animo. La mia Mammina lontana è l’Essere che dà vita alla mia vita, è lo scopo della mia esistenza e come posso io stare senza rivolgerle pensiero? questi meriggi caldi, che la vita anche guerresca, sembra, di avere una sospensione per l’eccessivo calore, nell’attesa vigile e nella sorveglianza del nemico odiato, la nostalgia mi prende dei bei giorni passati all’ombra dei miei cipressi a lato della mia Mammina. Ed in queste ore, ed in questo stato di cose, ricordi si susseguono ai ricordi, le immagini alle immagini, desideri ai desideri, e i n questo avvicendarsi di sensazioni diverse, più forte, temprato, più imperioso ne esce quel sentimento d'affetto che mi lega a Lei e più cieca è la mia devozione. Che possa almeno questo mio affetto, farle un giorno dimenticare le brutte giornate presenti! Come è bella per me questa immagine, Mamma cara come sarò felice quando la vedrò felice! Speriamo che la SS. Vergine a noi porga sempre il suo aiuto, e che l'anima del nostro povero Babbino ci protegga e che vi sia ridata quella felicità che da due anni ci venne tolta. Dev.mo e aff.mo figlio ANGIOLO
ROTELLINI AMERIGO NATO A SAN PAOLO DEL BRASILE L'11 MAGGIO 1894 LAUREATO IN LETTERE NELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA TEN. DI COMPLEMENTO DEL 227° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SULLA BAINSIZZA IL 26 AGOSTO 1917 DECORATO DI MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
3 Dicembre 1915
Dalla Libia, al padre E la notizia degli amici miei morti al fronte non fa che aumentare il desiderio di partecipare alla guerra. Dove essi sono stati in pericolo e sono morti, io debbo essere assente? Povero Daretti! Povero Legni! Povero Asquer! Di loro ignoravo la morte: sapevo quella di Del Vivo e di Della Valle: tutti amici miei Carissimi. Povero Legni. Avevo quasi un presentimento alla sua morte. Lo rammento ancora all’università, lo rammento ancora su una Strada campestre di Modena, quando i diceva con una voce Che non dimenticherò mai, dei versi di Pascoli. Io rammento a Roma nei giorni del maggio a dirmi, io non sono uomo d'azione, ma sento, sento che in questo momento tutti dobbiamo agire. E Daretti ? Ho con me un piccolo gruppo che faremmo insieme in casa nostra l’ultimo giorno che egli stette a Roma, otto o dieci domeniche fa! E non posso pensare che sia morto. E non posso pensare che severino, Marcello e Alberto stanno e sono stati in trincea, mentre io son qui. Almeno là son tutti. Qui vi sono persone molto simpatiche, ma i miei amici sono pressochè tutti lontani. Dammi sempre loro notizie e dimmi sempre tutto... E nel fondo dell'anima vive sempre la speranza che presto potrò essere più lieto. Sono troppo giovane e pieno di troppa energia intima per perdere così rapidamente la speranza..
Giunto al fronte scrive ai padre.
«Dopo quasi diciotto mesi scioccamente e perfidamente perduti, posso finalmente godere un pò di serenità e di pace interiore... Sono profondamente sereno e più lo sarò quando sarò in trincea... Sto benissimo e non ho assolutamente bisogno di nulla. Non avevo bisogno che una cosa di venire qui, dove sono... Ricomincio a provare che cosa significa la parola piacere. Era tanto tempo ormai che non ero più abituato a godere della leggerezza d'una mattina, che i primi tempi non mi riusciva quasi possibile, Ho dovuto riabituarmi, a poco a poco, con una specie di gradevole stupore intimo. Sento di rinascere alla, vita, alla vera vita...».
21 Aprile 1916
Il Mazzini amava grandemente una massima del Goethe, che, si può dire, esprima tutto il lavoro della sua esistenza «senza transazioni; nell'integrità, nella plenitudine, nella bellezza, vivere risolutamente! Senza transazioni vivere risolutamente!» Questo si ricordare ai dilettanti di misticismo: richiamarli rudemente alla sincerità della coscienza. Come questo fatto sia stato possibile è stato esaurientemente spiegato da un filosofo moderno idealista. Ci sono due forme d'insincerità, egli dice la prima è l’insincerità propriamente detta, la falsità davanti agli altri che tutti conoscono — Ma c'è un'altra forma d'insincerità, l’insincerità con se stessi, più nascosta, inafferrabile quasi, e che s'abbarbica così tenacemente da guastare tutta la vita interiore. E' questa che ha prodotto in Europa il dilettantismo umanistico, prima per influenza degli slavi, poi il dilettantismo eroico, ed oggi il dilettantismo mistico, il misticismo sensuale ed estetico... Quest'ultimo ha prodotto tanti libri che è elegante, oggi, tenere nel boudoir, in mezzo agli oggetti di toilette. Tanta gente, che ha elegantemente smaniato per l'amore degli uomini o per la venuta del superuomo, oggi si avvicina all'ostia con un soave brivido, come un essere che nella vita ha provato tutte le tempeste e tutti i desideri e tutte le sensazioni si avvicina assetato e curioso a un'anima semplice e pura. Mai come oggi i veri cattolici e coloro che, non essendolo più, sfuggono gli infingimenti e le sincerità, e conservano la religione della loro coscienza e vivono nella realtà o nell'ansia d'una vita spirituale superiore, mai come oggi, possono concordemente ripetere la fiera massima goethiana: «SENZA TRANSAZIONI nell'integrità, nella plenitudine, nella bellezza, vivere risolutamente!
Sabato, 17 Giugno 1916.
Ho ricevuto la tua lettera. Ma, mia carissima mamma, che centra la fede con un mio scherzo? Dal punto di vista della fede ti risponderò che se Dio non fa ancora finire la guerra è segno che è necessaria, che duri. Sei o non sei credente? E allora perché protesti contro i decreti della Divinità? E' bene che tu abbia fede e io ne sono ammirato solo credo che la tua fede in una Divinità sorpassi l’ambito del Cattolicismo, anzi addirittura del Cristianesimo: ora, ciò che è comune a ogni religione, ogni fede, è la quintessenza della fede — (Tu parlando di religione dici tante, ma, tante eresie - in senso storico — che non basterebbero dieci concili per fulminarle!) Del resto è così gli esseri più religiosi, oggi, credono come te. Io penso che il senso del Cristianesimo sia quasi completamente esulato dalla terra. Credo di dire una verità incontestabile quando affermo, per me che è ma delle ragioni per cui sono cristiano è che mi manca in fondo il senso del peccato; ma chi, oggi, anche fra Coloro che sì dicono cristiani ha questo sentimento che ha reso la vita di tanti uomini dei Medioevo un'angoscia senza fine? Ché, ché oggi il Cristianesimo si accomoda con tutte le cose più estranee alla sua essenza, con tutte le forme di vita, con tutti i sentimenti. Quel che é rimasto è piuttosto un vago sentimento Cristiano — ciò che vi era di umano del Cristianesimo — che una credenza. Renato Serra dice che il nostro Cristianesimo ha perduto la fede e la speranza; ciò che gli è rimasto è la tristezza e il gusto dell'eternità. E non ha torto. Per ì migliori, s'intende gli altri nel Cristianesimo non vedono che le pompe cattoliche, gl'incensi, le cerimonie, ecc., tutte cose assai suggestive, senza dubbio ma che cosa v'è di meno cristiano che lo scambiar le forme con lo spirito? Alberto poi è in riposo? non è stato ferito? così mi dice Emma in fine della sua lettera. Io vorrei essere dove è lui; o meglio dov'è la mia brigata che s'è coperta di gloria, come avrai visto. Mille volte meglio soffrire ora qualche disagio che vivere poi con questo eterno rimpianto, con questa invincibile nube. Questione di sentimento. Quasi nessuno mi capisce; del resto non è per me una cosa nuova. La maggior parte della gente prende tutto alla leggera io, invece prendo sul serio le cose mie. E il desiderio di combattere questa guerra è in me fino dalla fanciullezza. Se non prendessi parte ad essa, sarei un fallito per tutta la mia vita: dato che potessi continuare a vivere. Saluti da Sua Eccellenza. Ti bacio con affetto.
Dal Fronte, 11 Giugno 1917
MAMMINA CARA, Meno male che riconosci che il mio modo di ragionare, per quel che mi riguarda, è rigorosamente esatto! Credi, meglio sopportare dei disagi e dei pericoli, anche gravi, adesso, che avere per tutta la vita una pena e un rimorso feroce che mi rodessero l'anima — che, dato il mio carattere, si può facilmente immaginare quel che diventerebbe. Per carità : meglio mille guerre, non una ! E questo non ti dovrebbe meravigliare, credo... Gli altri ragioneranno altrimenti, non so che farei: io ragiono così. Del resto, non tutti ragionano altrimenti: tu conosci qualche ufficiale che è al fronte dal principio della guerra, che è stato ferito due o tre volte, e che, malgrado sia inabile, è tornato su volontariamente. E che cosa ho fatto io, rispetto a questi? Che cosa ho fatto? Sono stato a dilaniarmi l'anima sotto il sole africano: ecco tutto. Quindi, mia cara, credi che tutto va nel miglior modo desiderabile. E sii tranquilla. Ti bacio affettuosissimamente.
14 Agosto 1917
Del resto, preferisco combattere, invece che con la polemica, con le mie pistole mitragliatrici. Credo che siano più efficaci di qualunque parola e di qualunque atto che non sia di guerra. In questo periodo la nostra opposizione si concreta in un solo supremo atto nell'essere soldati. Nell'epoca ancora lontana in cui la guerra potrà finire, la nostra vittoria avrà reso vana qualunque polemica. E un felice parallelismo, che di rado si trova nella storia, avrà fatto della nostra anche una vittoria spirituale. Torneremo allora ai nostri musicisti, ai nostri grandi dimenticati: a Scarlatti, a Gabrieli, Palestrina, a Monteverde, a Durante, a Leo, come siamo ritornati nei tempi passati ai nostri vecchi poeti e ai nostri vecchi pittori. E non ci sarà bisogno che deprimiamo nessuna arte e nessuna forma spirituale — alimento dello spirito è la libertà perchè la nostra arte e il nostro spirito splenderanno in tutta la loro invincibile gloria. Per il nostro spirito moderno dovremo solo continuare ciò che si era fatto — la guerra non muta nulla di queste cose; è inutile illudersi, la guerra per sé stessa fa soltanto scrivere dei brutti versi e provoca dei discorsi reboanti. E lo spirito moderno italiano aveva già raggiunto un punto d'intimità e di pienezza che non può essere negato. Ma questo dopo la guerra — in quell'epoca ancora lontana. E allora verrà alla luce anche il lavorio occulto che c' è stato indubbiamente in questo periodo. Per ora solo una cosa: combattere. Scusa la lunga chiacchierata. E se non è molto concludente, accusane le mie occupazioni che sono davvero molteplici — ti basti pensare che ieri, per esempio, a una difficile istruzione di reggimento, seguì un gran rapporto assai lungo a questo, nel pomeriggio, il tiro colle pistole-mitragliatrici, e poi il tiro di tutta la compagnia, oltre duecento uomini col fucile. Ti assicuro che ieri sera non ero precisamente nello stato migliore per scrivere. Sono contentissimo della medaglia data a Bacchiani. Gli manderò una cartolina. Saluti a tutti. Ti abbraccio e bacio con grandissimo affetto.
ALBETO ESDRA NATO A ROMA IL 29 OTTOBRE 1893 STUDENTE NELLA R. SCUOLA DEGLI INGEGNERI DI ROMA TEN. DI COMPLEMENTO NEL 78° BATTAGLIONE GENIO ZAPPATORI CADUTO COMBATTENDO PRESSO KOSITE IL 4 SETTEMBRE 1917 DECORATO DI DUE MEDAGLIE DI BRONZO AL V. M.
Dalle sue lettere
Partecipiamo come tutti i popoli degni di questo nome ad una grande crisi, passerà, e fortunati; malgrado tutto, quelli che avranno vissuto e anche quelli che morranno in una illusione, in una visione ideale. Forse per questa ragione, e perché non vedo solo il lato doloroso e pietoso della nostra guerra, mi sento molto, molto sereno, anche se male dovesse succedere a me o a molti vicino a me... L'altro ieri a notte sono stato con nove miei soldati a far saltare un rudero di casello ferroviario in cui gli austriaci avevano costruito una galleria. Son contento di averlo fatto, non per il premio ma per l'opera in sè, ma perché insieme coll'opera dì distruzione ne ho fatto una buona. Uscito con la pattuglia dalle nostre linee, ci siamo avvicinati con precauzione, perciò ci avevano avvertiti che il casello doveva essere occupato da undici austriaci e l'abbiamo circondato. Io ho messo prima di tutto tre uomini col fucile spianato su quella che sembrava la porta e sono andato a mettere gli altri uomini intorno. Quelli sulla porta mi mandano a chiamare, e mi avvertono che sentono gli austriaci nell'interno. Allora con un Caporal Maggiore ardito di Fanteria sono entrato con la pistola in mano per prenderli. Avevo già premuto sul primo tempo dello scatto per far fuoco, avendo sentito parlare, quando una mano ha accarezzato dolcemente la mia. L'ho afferrata e ho domandato chi fosse. Erano due poveri feriti nostri del mattino che non avevano potuto rientrare nelle linee non ti dico come ci hanno benedetti. Li ho fatti portare in trincea e abbiamo cominciato l'opera di distruzione. Ci hanno servito con i Gas, con l'artiglieria, ma noi stavamo come in casa nostra. Finita l’opera do fuoco alla miccia e via a gambe. Gli austriaci ci hanno tirato due granate ancora; io sto facendo l'appello in trincea quando è successo il botto e tutta la galleria austriaca, è andata per aria. Credo che mi daranno un encomio, mentre terrei un poco più ad avere una licenza premio. Ho poca speranza che la diano ai soldati a cui é stata promessa.
ARMANDO PANESSA NATO A FORLI' IL 5 DICEMBRE 1893 S. TENENTE DEL 248° FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL SAN GABRIELE IL 9 SETTEMBRE 1917 DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
Zona di Guerra, il 14 Luglio 1917
Erano verso le dieci di sera, quando si scatenò un violento temporale. I piccoli miei posti messi a vigili guardiani, per evitare sorprese e opporre massima resistenza, erano nel fondo valle senza trincea, senza ricoveri, annidati fra rocce. L'acqua in breve tempo ci inzuppò i panni. Si pensava che il nemico si trovasse nelle medesime condizioni e quasi quasi si escludeva la possibilità di un attacco. Ma invece non fu così; ebbi appena il tempo di ispezionare le mie vedette, raccomandando loro la massima vigilanza, data la insidiosa notte, quando il nemico con violento e terribile bombardamento tambureggiante, cominciò a far cadere sulle nostre posizioni ogni sorta di proiettili. Fu talmente fulmineo il bombardamento che scommetto tutte le loro bocche da fuoco incominciarono a vomitare nello spazio di un quarto di minuto. Coll'arme in pugno, pronti al sacrificio stavano i miei fantaccini. Feci loro quattro urla d'incoraggiamento; poscia; ritto sopra un macigno, ormai rassegnato alla morte, gridai: Viva l’Italia! Guai a chi si muove! (Vi era presente uno di Forlì). Era tanta la responsabilità, e avevo quasi tutti ragazzi della classe del 98 novellini al fuoco! Non credevo di scamparla; ebbi un momento solo in cui pensai a voi tutti, poi raccomandai l'anima a Dio. Una granata scoppiò a pochissimi metri da me, proiettandomi una quantità di sassi e terra; rimasi quasi ricoperto e riportai leggerissime ferite, quasi scalfitture. Colla bava alla bocca, gli occhi puntati verso il nemico, sotto quella tempesta, mentre gli scoppi e i lampi illuminavano accecando e il fumo della polvere soffocava, stettero fermi al loro posto con serena fierezza i miei uomini. Dove sarà l'attacco delle fanterie? Dalla fucileria, m'accorgevo che era, sulla mia destra. Avanti ai miei piccoli posti si presentarono delle pattuglie forse con attacco dimostrativo e per attirare forze furono prontamente ricacciate con lancio di bombe a mano. Intanto la meravigliosa artiglieria nostra, formando una zona d'interdizione, impediva che ogni rincalzo loro raggiungesse le nostre posizioni. Dico la meravigliosa artiglieria nostra, perchè realmente fu una meraviglia notare come, quantunque sorpresi, in men di 10 minuti, tutta era in azione con intensissimo fuoco. Immaginate che musica trovarsi in mezzo a tanto uragano. Sventato l'attacco, il nemico rinunciò, mentre il bombardamenti andava man mano diminuendo fino a far ritornare la calma. Il temporale passò e il tempo si schiarì. Gelavo dal freddo! Non avevo battuto i denti dalla paura, dovevo batterli dal freddo. E così anche questa volta ringraziai Iddio! Bacioni. ARMANDO
PANICUCCI RAMBALDO ASPIRANTE UFFICIALE NEL 22° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTEND SULL' ALTIPIANO DELLA BAINSIZZA IL 5 SETTEMBRE 1917 DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
Il nostro bombardamento non ebbe termine che alla sera: proprio allora, allorché stavamo dando le disposizioni per disporre tutti gli uomini alle feritoie della trincea per fare azione dimostrativa (giacche il mio battaglione non doveva, fare l'azione, ma gli altri) venne un ordine dal colonnello che richiedeva alla nostra, Compagnia un ufficiale per porlo a capo della Compagnia d'assalto (la quale come dice il nome, costituisce la, prima ondata) giacchè tutti gli ufficiali di essa erano morti o feriti. Si fa il sorteggio: di quattro ufficiali (due, tenenti io e un altro aspirante) toccò a quest'ultimo un certo Giannuzzi, pisano. Io essendo il più giovane e volontario mi offersi spontaneamente di assumere il comando. Dopo viva insistenza ottenni di andare io. Senza porre tempo in mezzo lasciai allo stesso Giannuzzi il mio portafoglio l'indirizzo di casa, nella possibilità, di una disgrazia, abbracciai tutti e mi recai a prendere ordini dal Colonnello. Per farla breve, erano le 9.30 di sera, io con i miei uomini attraversai un tratto battutissimo, ove molti sono caduti e le granate piovevano come la grandine, gli austriaci sparavano furiosamente; eravamo in un mare di fuoco, che momenti, cara mamma! Io ormai avevo dato l'addio a lei, a Gino, a tutti! mi pareva impossibile scampare. Ma, non mi sbigottii, no; anzi mi sono accorto come in quei terribili frangenti, l'uomo che non ha paura, acquista una calma e una freddezza da non avere l'idea; la morte fa molto più paura, quando è lontana che quando ci troviamo a faccia a faccia con lei, Proprio al varco (aperto nella trincea per poter lasciare uscire le fanterie) stava un morto e non lui solo purtroppo! Io ho preso le sue cartucce il suo fucile, la sua baionetta, e sono uscito con gli uomini, in mezzo ai fuoco infernale dei nemici. Anche questa volta un temporale con un grande acquazzone è venuto ad ostacolare l'azione. E noi per tutta la notte siamo stati fra la nostra trincea e la nemica, sdraiati nel fango sotto l'imperversare della bufera oltre la lotta con l'uomo anche quella con gli elementi! E' stata una notte terribile: a intermittenza gli austriaci lanciavano razzi che illuminavano il terreno come di giorno subito dopo micidiali scariche di fucileria, mitragliatrici, shrapnell. In questo frangente mi è stata utile la mia, borraccia piena di cognac con cui mi ristoravo ogni, tanto. Versa la mattina è venuto il momento di andare avanti sotto il rinnovato fuoco nemico, ci siamo spinti molto sotto i loro reticolati, appiattandoci dietro blocchi di pietra che fornivano un riparo abbastanza sicuro. Con il sorgere del giorno è ricominciato l'inferno shrapnell, granate, bombe, fucileria e soprattutto mitragliatrici che facevano un micidiale fuoco d'interdizione. Gli austriaci (si vedevano benissimo) in piedi sulla trincea sparavano; uno dei loro proiettili a questo punto, mi ha colpito il ginocchio: attraversando la coscia un pò sopra all'osso fortunatamente. Già, la sera avanti prima ancora di uscire dalla trincea ero stato contuso al braccio destro da una scheggia in seguito allo scoppio di un grosso calibro. Alla meglio mi sono trascinato dietro le rovine di un acquedotto (a mezza strada fra le due trincee) e da li con l'aiuto del portaferiti sono giunto al posto di medicazione da dove sono stato mandato alla sezione di sanità, da qui all'Ospedaletto da campo, a Breganze da Breganze a Vicenza, da Vicenza a Padova.
IGNAZIO LANZA DI TRABIA NATO A PALERMO IL 26 AGOSTO 1890 TENENTE PILOTA AVIATORE CADUTO NEL FRIULI NEL NOVEMBRE 1917 DECORATO DI TRE MEDAGLIE D'ARGENTO E DI UNA DI BRONZO AL V. M.
MANFREDI LANZA DI TRABIA NATO A PALERMO IL 4 DICEMBRE 1894 STUDENTE DI MEDICINA DELL'UNIVERSITÀ. DI ROMA S. TEN. DI COMPLEMENTO DEL REGGIMENTO PIEMONTE REALE CAVALLERIA CADUTO IL 21 AGOSTO 1918 GIÀ GRAVEMENTE FERITO IN ALTRO COMBATTIMENTO DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Testamento trovato tra le carte del caduto.
Se dovessi morire facendo il mio dovere desidero che non si pianga la mia, morte. L’ultimo mio pensiero sarà d'affetto per mia madre, mio padre, e per tutti i miei cari, sarà di speranza e di fede per la Patria. Credo in Dio. IGNAZIO LANZA Desidero che tutto il mio assegno mensile continui ad essere corrisposto alle famiglie povere dei richiamati e dei morti in guerra e che si pensi all'avvenire del mio bravo attendente.
Dalle lettere di Manfredi alla famiglia
La guerra è dolore per tutti: dolore di tutti i corpi. Il corpo umano soffre degli sforzi eccessivi e del logorio intenso, gli animali soffrono e deperiscono per le indicibili fatiche alle quali sono sottoposti. Gli alberi soffrono di essere mozzati, lacerati, calpestati, decorticati; il minerale soffre di fornire all'uomo un mezzo così terribile di esplosione e si lacera, esplodendo, con dei rombi e degli squarci nei quali si sente la sofferenza della distruzione la terra soffre e subisce degli squarci, delle alterazioni, delle trapanazioni che sembrano meravigliose a noi come soldati e orride quando vogliamo sentire l'amore vero e puro della natura. Le trincee sono piaghe profonde della terra, scavate con uno sforzo doloroso e oscuro... Pur facendo queste tristi considerazioni su questo dolore immenso che vedo intorno a me, sento per istinto che il dolore genera il bene e lo sforzo disciplina lo spirito, che il sacrifizio santifica ogni pensiero. E la guerra mi appare ora un mare di dolori che darà dei frutti di verità e di purezza.... La guerra Europea è forse solo lo scavo che conterrà la mina per il dopo guerra. Sottratto l'ideale resta l'egoismo dominante col quale si vive malamente in se e non si può fare, nè tanto meno vincere una guerra...
AURELIO CAPUCCI NATO A NAPOLI IL 26 FEBBRAIO 1895 STUDENTE NEL R. POLITECNICO DI NAPOLI S. TEN. DI COMPLEMENTO DEL 2° REGGIMENTO ART. DA MONTAGNA MORTO IL 3 DICEMBRE 1917 IN SEGUITO A FERITE RIPORTATE COMBATTENDO SUL MONFENERA IL 19 NOVEMBRE DECORATO DI UNA MEDAGLIA D'ARGENTO E DI UNA DI BRONZO AL V. M.
Dal Trentino, senza data.
Nella mattinata ho diretto un tiro meraviglioso, e nel pomeriggio ho fatto il progetto, iniziata e portata a buon punto la costruzione di un ricovero blindato, meravigliosissimo di ardimento e di assistenza. Ecco un altro piacere che ritrovo nella vita di guerra e di cui non sospettavo la possibilità; dirigere piccole posizioni utili o trovarne l'esecuzione di un disegno concordi e collaboranti tutti gl'ingegni e le volontà esecutrici. Conosco bene adesso le attitudini dei serventi e mi piace disporne a seconda dei fini. Uno di essi è un stupendo esempio di minatore: a vederlo battere con ritmo largo e poderoso con la mazza la roccia o col piccone, mi par di vedere una di quelle artistiche figurazioni in bronzo che apparvero nell'anno del traforo del Sempione. Parla poco ed é docile come un bambino docile. Io credo che conosca, il fastidio e la stanchezza, ed ho la strana impressione che la larga fronte pallida, negli interminabili silenzi del lavoro, racchiuda chi sa quale profondità di pensieri. Un altro dei miei compagni di guerra è muratore ed ha conservato la passione architettonica del suo mestiere. I proiettili, i cofani, gli attrezzi, le pagnotte, le razioni di formaggio sono ordinati sempre da lui secondo un impeccabile disposizione statica, nella quale si sospetta lo squadro ed il filo a piombo. Egli stesso è ossuto, alto angoloso, rude, come una figura di pietra. E lavorano questi cari ragazzi in condizioni difficili, con una calma e una fermezza meravigliosa.
Da un'altra lettera senza data MARIA MIA, Tu non hai mai visto e non hai mai sentito, tu, così pia e gentile, quanto possa essere generosa l'anima nostra. Io sì, quest'oggi, qui alla guerra! Ho visto un prigioniero piccolino, giovanissimo, ferito. Ed ho visto delicatezze squisite di espressioni affettuose in tanti; ma ho visto il sublime in un mio rozzo e tozzo portaferiti! Ha fasciato con cura il nemico, gli ha offerta la sua pagnotta ed il suo pezzo di formaggio (non vi sono troppi vettovagliamenti qui!) ed stato a guardare l'affamato a lungo, a lungo, con gioia inesprimibile nello sguardo lucido; poi, bruscamente, lo ha preso nelle spalle e lo ha baciato sulle guance, più volte, con trasporto, con violenza, con la furia affettuosa di una madre. Raccontate, raccontate ai... maligni!
CARO PAPA' I nostri fanti, ed in generale i fanti moderni, sono eroi, di un eroismo che avrebbe spaventato anche i semidei di Omero, i paladini di Carlo, i guerrieri dell'epoca napoleonica, e tutti i guerrieri ai quali le battaglie di stampo antico hanno data fama. Stanno in un fosso o dietro un muretto, e il cielo li benedice con pioggia canicolare di fuoco o con pioggia torrenziale di tempesta; non possono stirare le gambe, non possono alzare la testa, non possono parlare a voce alta, non possono accendere un fiammifero; debbono strisciare nel fango o sulla scabrosità puntata e tagliente delle rocce per fare un passo, non hanno da bere, non da mangiare per tutto il giorno; e fischia insidiosamente ogni tanto il colpo di fucile e gravida sempre il terrore della granata che scoppia un po' avanti, un po' dietro della linea, spesso sulla linea, qualche volta ripetutamente sulla linea. A sera, anzi a notte, giunge il rancio e l'acqua. Quegli altri fanti che hanno portato le marmitte e i barili hanno camminato dei chilometri, e puoi pensare se, anche con la migliore organizzazione, si riesca a provvedere in abbondanza l'acqua che si attinge a tanta distanza dalle linee avanzate. E con la notte viene e domina l'inquietudine dell'ignoto. Ogni tanto si elevano razzi luminosi per gettare attorno uno sguardo, ogni tanto si spara, qualche colpo, il colpo della paura. Qualche volta a quel colpo, risponde un altro, e poi tutta la linea, tutt'e due le linee sparano con un crepitio sinistro che dà i brividi. E non si dorme mai. Quando un giorno le artiglierie sono preparate al concerto, o quando il momento è opportuno, comincia la musica terribile. Al culmine di esse il fante deve saltar fuori e correre verso la morte. Che cosa avviene se in quel terreno, che l'artiglieria ha sconvolto, rimane ancora qualche mitragliatrice, molte mitragliatrici, che al momento opportuno cominciano a falciare colle loro centinaia di colpi al minuto? E quando il fante ha conquistato la posizione, deve lavorare per fermarvisi, deve scavare, deve portar sassi e poi riprendere l'immobilità dell'accosciamento vigile e snervante, per dar tempo ai cannoni di sopravvenire. E attorno sta l'orrore dei cadaveri. Per chi sa quante settimane! Eppure il nostro fante resiste, e basta che egli si accorga della fortuna delle armi perché si riscaldi di entusiasmo. All'assalto è sempre meraviglioso. Anche il capitano giunse, e la sua presenza mi rallegrò subito per quella fiducia sconfinata, quasi puerile, che sì ha per il primo duce di guerra. Mancava, ancora, qualche ora all'alba, e decidemmo di riposare un poco. V’era nella dolina qualche asse sbruciacchiato, avevamo portato una coperta; ci allungammo tutti e tre vicini, ci coprimmo alla meglio fino agli occhi, ed aspettammo il sonno. Ma invece del sonno venne il freddo improvviso, che ci raggelò di brividi ogni fibra spossata. Mi abbracciai all'amico, e m'accorsi che egli batteva i denti con ritmo uguale. Anche io cominciai a battere i denti, e mi parve che quel movimento, mezzo volontario e mezzo involontario, mi riscaldasse un poco. Passarono dei fanti, ed uno disse — Guarda, qui c'è un morto, e qui — continuò tirandomi un delicato calcio in un fianco — ce ne debbono essere due o tre — Risposi una benedizione in quel patrio dialetto napoletano che mi vien sempre alle labbra in certi casi e mi alzai. Il fante aveva però la sua ragione: il capitano riposava col viso contro le ginocchia di un morto. Anche gli altri si alzarono non si poteva resistere al freddo. Ci movemmo. Intanto, bruscamente, nella calma tetra della, notte, un colpo, un altro, un altro, molti altri, e più vicini, e più vicini, e più numerosi uno nella dolina, tre o quattro sull'orlo, un secondo nella dolina a pochi metri da noi... Non so come, non so in quanto tempo, non so per quale abilità, istinto o provvidenza qualcuno, correndo nell'oscurità, trovò un buco, una caverna. E vi furono tutti in un momento. Io che entrai per ultimo, camminando su spalle, ginocchi e gambe premuti in strano groviglio, ero così incalzato dal fuoco, che l'ultima spinta mi fu data da una grossa falda di terra sbattutami sulla schiena. E il bombardamento, che imperversa sempre dopo le azioni, per impedire o molestare i rifornimenti ed i rafforzamenti, cominciò con furia ed intensità terrorizzanti sibili, muggiti, urli, schianti; tutte le voci molteplici e paurose della granata e dello shrapnell animarono la notte dell'anima, spietata della tempesta. E noi tacevamo come i naufraghi che il primo colpo di mare può inabissare. Nessuno si muoveva nessuno tremava. La scorza sottile di roccia che avevamo sulla testa, produceva, il solito, l'eterno effetto rassicurante, produceva la solita, cosciente illusione, produceva quella serenità fatalistica Che è l'unica saggezza dinanzi all'inevitabile. Certo un colpo in pieno, anche del piccolo calibro, mi avrebbe fatto strada, fino a quell’ammasso informe di umanità palpitante e gli artiglieri sapevano. Ma non si poteva che aspettare, e si aspettava. Non avevo quasi mai sentito un bombardamento così furioso. Gli scoppi si succedevano senza interruzioni, rabbiosi, accaniti, ed io sentivo che essi cercavano, cercavano con la tenacia disperata del vinto che vuole arrestare con ogni sforzo il vincitore, cercavano con la sapienza del vinto che ha abbandonato solo da qualche ora i luoghi che ora, abbatte, cercavano con la ferocia, del vinto che vuoi vendicarsi, che ha bisogno di far male, far molto male, per sfogare la rabbia dell'animo incrudelito dalla sconfitta. Quante ore durò ancora quella notte? Cominciavo a smarrire la coscienza nel sonno grave di stanchezza, quando il Capitano mi chiamò per andare a riconoscere la posizione. L'alba saliva lentamente nel cielo, scura ed accidiosa, come una bella che si levi svogliatamente.
Dall'ospedale dove giaceva ferito senza data
CARA LIDA, Lessi «La Passeggera» quando ero a letto ne l'ultima invernata trascorsa a casa. Ricordi? Ero infreddato e tu mi portavi le caramelle svizzere, e mi portasti una volta, anche una torta di latte, che avevi comprato alla latteria in via dei Mille. Lida mia, volevi inzuccherarmi per non farmi lagnare de la tua continua assenza: assenza che, le lezioni non avrebbero potuto giustificare, forse, del tutto. Silvia, invece, assai più buona di te, trasportò addirittura il pianoforte nella mia camera, e suonava, suonava per farmi piacere, con quell'appassionamento di ritornelli, con quel languore fine fine di modulazioni, che sono tutta l'espressione dell'anima sua sensibile. Quando mi alzai la prima volta, di sera, agitandomi tutte le energie rinnovellantisi con vigore di rinascenza, cantai la «Serenatella nella corsia accanto al letto, nell'angolo più buio della stanza larga e sonora, nella quale una striscia bianchissima di luna s'allungava dal balcone, e carezzava il busto de la suonatrice, eretto e flessuoso. Oh! Lida, Lida mia, non posso morire in guerra, sta sicura, perchè voglio morire sentendo come mai più il «notturno» mio e la mia Serenatella.
PIETRO BEGLIONI NATO A ZELBIO (COMO) IL 16 SETTEMBRE 1898 STUDENTE NEL R.° ISTITUTO TECNICO DI COMO ASP, U FF. MITRAGLIERE NEL 154° FANTERIA CADUTO COMBATTENDO IL 10 NOVEMBRE 1917
CARO PADRE, Italia!... Italia!... Ma di qui gli Austriaci non passeranno; è assurdo che possono passare, sarebbe disastroso se passassero, e non dovranno passare, questo no! no! Un italiano che ha sempre creduto nella forza, nella compattezza e nell'eroismo di un esercito valoroso guidato da capi sagaci, sapienti e consci della loro responsabilità, non può sopportare, e non deve, tutto ciò che è accaduto in questi giorni e deve volere per forza una rivincita e non può non pensare ad un riscatto. Io che sono nuovo della guerra, che ho già sentito la morte afferrarmi per i capelli e che appena appena sono riuscito a sfuggirle dalle mani, sopporto con dolore gli avvenimenti di questi giorni, chiedo e voglie e concorro con tutte le mie forze per ottenere la grande rivincita. Una strana ansia mi rende inquieto, e mi fa sembrare più grande il male, dopo che le prove han detto che tutti non fanno il loro dovere e non concorrono ad acquetare l'uragano che imperversa sull'uomo. Chissà se io potrò rivedere ancora la mia casa, se potrò ancora ritornare al mio paesello; ma se morrò almeno sarò morto per la vittoria, concorrendo a salvare l'onore e la terra d'Italia. Qui, su un isolotto del fiume Piave dove è appostata la mia sezione pistola-mitragliatrice, in un piccolo posto avanzato di osservazione, io mi sento vinto da sentimenti dei quali non avrei sospettato la grande forza. Però, quando penso a chi mi aspetta a casa, divento più prudente. Non, abbiate superiori timori; una disgrazia, si sa, può sempre capitare, ma può essere anche che fra i tanti fortunati ci sia anch'io, e finora ci son sempre stato; conviene quindi sperare sempre in bene, come ho sempre sperato io. Nella ritirata sono rimaste indietro tutte le cassette degli ufficiali. Io per fortuna ho salvato un pò di roba che avevo con me in trincea, dentro un sacchetto che mi son poi caricato sulle spalle e che ho portato per una Cinquantina di chilometri (1° tappa). Cercate se potete farmi pervenire qualche cosa, perché siamo sulla riva di un fiume e siamo tutti quanti, ufficiali e soldati, sprovvisti. Una grande concordia è tra di noi tutti e tutto ci dividiamo a vicenda. Sto benissimo di salute e non vi dimentico mai. Sta, tranquillo sul conto mio, che non credo esservi grande cagione di inquietudine. Affettuosamente tuo figlio PIETRO
EUCLIDE TURBA NATO A PALERMO COLONNELLO BRIGATIERE COMANDANTE LA BRIGATA PERUGIA CADUTO MENTRE GUIDAVA I SUOI SOLDATI ALL' ASSALTO IL 23 NOVEMBRE 1917 A CASTEL GOMBERTO (ALTOPIANO DI ASIAGO) DECORATO DELLA MEDAGLIA D'ORO E DI DUE DI BRONZO AL V. M.
Da una lettera alla moglie. Un’anima che sente forti affinità con ciò che ha oltre il sensibile, sente il bisogno di un piccolo mondo illuminato da un faro, la famiglia. Di un piccolo mondo in cui uno pensa sono stato sempre amato per purezza di sentimento, non per interesse; di quel piccolo mondo in cui un'altra anima pulsa all'unisono con la mia, con perfetta rispondenza, con perfetta somiglianza, con uguale profondità di sentimento. In quel piccolo mondo, si pensa, io posso astrarre da qualunque cosa, io posso vivere circoscritto senza sentire privazioni, posso vivere intangibile alla marea che monta, senza soffocazioni, senza sofferenze.
Da un'altra lettera
L'anima qui si affina, qui si vive come in un mondo nuovo, lo spirito sente diversamente, più in alto. Qui, potrei dire, si avverte lo spiritualizzarsi della materia; qui si ha la rivelazione quasi di un mondo superiore, qui ci sentiamo più ragionevoli, più buoni, più forti. Questo é un bagno vivificatore, che ha il solo difetto di farci capire maggiormente la miseria, la piccineria del nostro abituale modo di vivere.
Dall'Altopiano di Asiago, durante l'offensiva austriaca del 16
Il mio fatale andare a ritroso pare sia finito; da qui, puntando bene i piedi, speriamo di rifarci. Ti scrivo con una penna trovata su una scrivania abbandonata. E' come stanca; ad ogni momento si rifiuta di continuare, ed io la costringo. Mi pare quasi di forzare così il destino della patria mia, e di I portarla verso cose migliori. Spero, spero, spero, e tutta l'anima mia è in questa nuova opera, con entusiasmo, colla poesia del dolore. Sul pianoforte è spiegata una bandiera con vividi colori della terra nostra, penso che purtroppo in questo momento non i colori fiammeggiano sulla nostra bandiera, ma i dolori della patria.
CONSALVO COMERCI NATO A FRASCATI IL 20 MARZO 1893 CAPITANO DEL 4° REGGIMENTO ARTIGLIERIA CADUTO COMBATTENDO SUL PIAVE IL 23 NOVEMBRE 1917 DECORATO DI UNA MEDAGLIA D'ARGENTO E DI UNA DI BRONZO AL V. M.
Mortalmente ferito dall'ospedale da campo scriveva
MIEI CARISSIMI UFFICIALI, Io sto molto male e attendo la mia condanna da un momento all'altro. Pazienza! Sono contento però che abbiate portato via tutti e quattro i pezzi nostri. Vado avanti a forza d'iniezioni. Tanti baci affettuosissimi e buona fortuna per la nostra batteriola. Sempre forti per l'onore d'Italia. Vostro aff.mo CONSALVO COMERCI.
FRANCESCO GATTI NATO A FAENZA IL 21 FEBBRAIO 1895 STUDENTE SOLDATO NEL REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL GRAPPA L'11 DICEMBRE 1917
Zona di guerra, 18 Giugno 1917
La giornata è afosa. Anche sotto la tenda si bolle. Sono solo. Vado pensando a ciò che altre volte ho pensato e mi decido. Ecco. Qua si muore. Ebbene, se voi carissimi, doveste mai aprire questo foglio una cosa in prima vi raccomando e sì è di farlo a ciglio asciutto... Se ci fu chi non piange alla notizia di suo caro caduto per la patria, e solo per questo, altrettanto si deve da voi sapendomi non solo morto per la patria, Italia, ma ancora per la patria Celeste. Che val l'aver vissuto più o meno quando lo scopo si è raggiunto? Questo è stato, voi lo sapete, fin da principio il mio ideale... Non piangete! Pregate il Signore che abbia avuto misericordia di me, e mi abbia esaudito in Paradiso. La vostra ragione non sia accecata dal dolore: ma come stavate tranquilli quando mi sapevate lassù sano, senza bisogno di vedermi, uniti nel ricordo e nell'affetto, così ora sia di tutti voi. Credetemi salvo e non più lontano, ma con voi in ogni cosa che mi apparteneva. Nulla però io possiedo e non ho di che disporre. Pel resto, lascio piena libertà ai miei genitori. Non grandezza non onori; semplicità e severità. Siate forti. Altri vidi sopportare con spontanea fierezza i colpi della sventura!... che altrettanto sia di voi ! Sarà il miglior modo onde possiate fare piacere a chi tanto è stato con voi! Per un pò se n'era allontanato, ed ora è ritornato e rimarrà. Il Signore vi aiuti, vi sostenga sempre. Perdonate a me tutto ciò che feci di male, i dispiaceri di cui fui causa, i sacrifici che avete dovuto fare come io perdono fin d'ora a tutti. Genitori, fratelli e sorelle, parenti, amici arrivederci. FRANCESCO
GIUSEPPE GARRONE NATO A VERCELLI IL 10 NOVEMBRE 1886 PROFESSORE DEL R. LICEO DI VERCELLI CAPITANO DI COMPLEMENTO DELL’8° REGGIMENTO ALPINI CADUTO COMBATTENDO SUL COLLE DELLA BERRETTA IL 14 DICEMBRE 1917 DECORATO DELLA MEDAGLIA D'ORO AL V. M.
Da una lettera a un superiore.
E assicuro che da quando ho imbracciato le armi nulla ho fatto che possa permettermi il vanto di autorizzarmi a scrivere di me. Ho tanto la coscienza di quello che dobbiamo alla Patria in questi momenti e tanto bisogno di sentirmi degno di quell'ideale che mi son fatto che l'attribuire un valore qualsiasi alla mia condotta di guerra, Come m'è stato possibile di svolgere fin qui, mi sembrerebbe una menomazione di ogni mio valore morale. Non mi riesce di pensare a quelli che hanno fatto meno e Ottenuto di più penso ai moltissimi che hanno fatto di più e ottenuto molto di meno.
Ad un amico
Pensa che alle volte, nei momenti di riposo, studio un pò d'arabo. Ridi quanto vuoi: uno degli stati d'animo più strani che io abbia notato alla fronte è quello per cui nella vita ed in quello che ce la rende più cara si trova delle fonti più grandi di serenità e di energia, una delle forze più intime e convincenti ad una, calma preparazione al distacco dalla vita.
1 Novembre 1915
Dopo la ritirata sul Piave alla famiglia. Ho vissuto intera la recente bufera in 15 lunghi giorni di passione che non dimenticherò mai più in vita mia. Sono triste se pur sempre fidente e pieno della stessa coscienza di un tempo, del nostro dovere d' Italiano. L'unico conforto mi viene dalla coscienza di aver fatto tutto quello che umanamente era possibile per il mio onore e per quello del mio reparto e di essere riuscito ad ottenere quello che non speravo dai miei soldati che per me han saputo dare tutte le loro energie, tutte le loro forze! Sono vivo per miracolo! Non riesco a capire come la fortuna continui ad assistermi così! Mi sono salvato con pochi uomini del mio battaglione e ho avuto la consolazione dì essere incaricato della ricostituzione della 60° compagnia del mio battaglione (Tolmezzo) cogli uomini che mi devono la vita e che sono felici di Costituire il numero di questo reparto che presto ritornerà in linea a difendere un retaggio di tradizioni gloriose a vendicare tanti morti tanti sacrifici.
ROMANINI RICCARDO NATO IN ROMA STUDENTE DEL R. LICEO TORQUATO TASSO IN ROMA S. TENENTE Di COMPLEMENTO DELLA 486 COMP. MITRAGLIATRICE CADUTO ALL’ASOLONE IL 18 DICEMBRE 1917 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Ultima cartolina del 17 Dicembre, vigilia della sua morte.
ADORATA MAMMA MIA, Ieri la tua dell'11 venne a far felice una giornata di... guerra. Sia lieta, fa cuore, che mai come ora mi sono inteso superbo della mia virile volontà. Spero come te, amo come te, quello che tu ami, ma devo concepire il mio dovere in modo diverso dal tuo. Ripeto, sta lieta per me, per il sacrificio che compio. Ti chiedo troppo? cerca di comprendermi. Intanto comincio ad augurarti buon Natale. Saluta gli amici. Io per ora non posso. Vi bacio con immenso affetto. RICCARDO
Da una lettera del 19 Novembre 1917
Ed ecco il nostro atto di fede: che nostri soldati rinvigoriti nell'animo e nel corpo, consci della propria forza aumentata dall'offesa subita, memori dell'indiscutibile recente valore, guidati da capi di loro degni e da loro amati, possano dapprima infrangere e poi ributtare i flutti di questo esercito nemico, armato di un lungo odio accumulato in silenzio, premuto dalla necessità di ottenere successi definitivi sul nostro suolo, erroneamente da loro creduto e pensato difeso da un popolo certo gli strapazzi fisici, l'incubo morale dei tristi giorni ebbero una mala influenza sull'organismo dei soldati e degli ufficiali, ma sono bastati pochi giorni di riposo, e una calma più fiduciosa perché la salute rifiorisse più florida di prima quasi che la Natura volesse compensarci e prometterci nuove forze per l'avvenire.
Da un'altra cartolina del Novembre 1917
Mamma, fin dal 29 cominciava a scrivermi lettere disperate, che mi giungono ora a rinnovare i dolorosi pensieri della famiglia che si aggiungevano a tutto il resto. Non parliamone più; tutto è passato; resta solo e per sempre la grande e disgraziata vergogna di tutto il nostro povero Popolo. Che qualche forza, sovrumana faccia il miracolo e ci rialzi al limite raggiunto ieri con tanto sangue!
CARLO GALLARDI NATO A VERCELLI GIORNALISTA S. TEN. DI COMPLEMENTO MITRAGLIERE DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 22 AGOSTO 1917 PROMOSSO TENENTE PER MERITO DI GUERRA E DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ORO AL V. M.
16 Settembre 1916
Ai piedi del Monte Sei Busi. E via, in fila, per uno, su un dorso di montagna, obliquando, per raggiungere la cima. Il nemico ci vide partire e fece un tiro d'interdizione, a shrapnells d'una intensità straordinaria. Un proiettile seguiva l'altro a pochi secondi, qualche volta arrivavano a tre o quattro insieme fischiando sinistramente; ci passavano bassissimi sul capo... e scoppiavano venti metri più in là. Il nemico ci aveva visti partire, ma poi eravamo sfuggiti alla sua vista; così fummo salvi. Se avesse accorciato il tiro di venti metri, non uno di noi avrebbe raggiunto la cima del monte che era il nostro obbiettivo. Io, che mi ero mantenuto tranquillissimo fino allora, la vidi brutta al principio; capii poi, con intuizione non certo data dalle mie cognizioni militari, ma dall'impressione del momento, lo sbaglio del nemico e nel salire ebbi cura di, tenere gli uomini in modo che non si profilassero sulla costa del monte in vista del nemico. In cima, ci buttammo a terra fra le rocce. Appena riavutomi un poco dalla affannata corsa, alzai il capo, vidi il sottotenente Scrinzo, gli fischiai il nostro richiamo di Vercelli —note Wagneriane - e ne ebbi la risposta; vidi i miei uomini sparsi intorno, incollati a terra, e poi... mi accorsi d'un tratto che il terreno attorno a me era sparso dei più bei ciclamini che mai abbia visto... Ne raccolsi uno, pensando ai nostri della finestra, a voi tutti.,. e ne trassi buon augurio. Giunse poi l'ordine di ripartire, e ci incamminammo di corsa verso a nostra posizione, una dolina occupata dai bersaglieri. Qui si preparava l'attacco alle trincee nemiche con un ordine ammirevole. Ogni plotone prima di uscire, appello e guai a chi mancava, erano tutti tranquilli e quasi sorridenti. Noi facevamo parte della sesta ondata, della quale dovevamo precedere le ali avanzando per battere d'infilata la trincea, terza o quarta che fosse in cui si facesse ancora resistenza. Gli austriaci non avevano ancor dato segno di vita. Si slancia la prima ondata, si conquista di colpo la prima trincea, dopo resistenza si prende la seconda, escono altre ondate, ma alla terza l'attacco è fermato alla destra. Gli uomini nostri, stesi a terra senza ripari, sono presi d'infilata da fuochi di, mitragliatrici sulla destra, che con i loro tin — tin tin — tin, acuti e squillanti impediscono l'avanzata. Si mandan fuori gli scudi per proteggerli, ma l'avanzata in questo punto è fermata. Infatti, bisogna fare tacere le mitragliatrici sulla destra ed i bersaglieri usciti a quello scopo, non vi riescono. Si sospende l'avanzata, e noi non usciamo. Il fuoco austriaco infittisce, cominciano ad arrivare bombarde e proiettili sulla dolina. Molti feriti che si lamentano in modo impressionante. Nessun morto; gli ufficiali magnifici di calma. Le trincee prese si devono abbandonare i bersaglieri rientrano si teme un contrattacco e si infittisce la linea dei tiratori ai ripari. Le nostre mitragliatrici si piazzano alla destra, dietro ripari improvvisati con sacchi pieni di pietrame. Sempre tutti incolumi, ma le armi tacciono perchè lo sparare, ora senza scopo, vorrebbe dire saltare tutti in aria senza fallo sotto le granate nemiche. Le nostre artiglierie battevano senza tregua il terreno interposto fra noi e il nemico, le altre facevano altrettanto; il terreno pareva ribollire ed il frastuono era intollerabile. Ed ormai calava la sera. Seppimo notizie: alla sinistra l’avanzata era stata molto efficace. Non avevo nulla in corpo; mi ricordai d'aver del pane e ne sbocconcellai un Poco. Per metter a posto i miei uomini rifornitori viaggiavo continuamente dalla dolina alle nostre armi dove trovavo il sottotenente Scrinzo sempre calmo e sorridente. Alla notte tutto è tranquillo; solo si battono e controbattono le artiglierie. Venne l'ordine di arretrare. Il sottotenente, stanco e affamato mi lascia la sezione e scende a valle in cerca di qualche cosa da mangiare, poichè anche lui non ne poteva più. In quel momento arriva un battaglione di bersaglieri a dare il cambio. La cosa è difficile in quelle strettoie. Ed intanto un temporale si scatena con furia terribile, io inzuppato fino al midollo sudato e tremante per il freddo tengo i miei come meglio posso; gli altri graduati, sono ammirevoli per calma. In quella, gli austriaci contrattaccano decisi. Le fucilate si riaccendono e finalmente le mie mitragliatrici funzionano. Il picchiettio del fuoco rapido mi suona dolce all’orecchio; le mie armi le riconosco alla voce, attendo a rifornirle. Però il momento é grave e temo assai l’attacco in quel buio. Doveva essere la mezzanotte. E sottotenente al basso mi aspettava, ed io non potevo andare. Non sento nè fame ne sete; sento solo la preoccupazione della responsabilità del momento. Ma me la cavai bene. Respinto l'attacco, assicuratisi gli ufficiali dei cessato pericolo ebbi il permesso di partire. Nel buio pesto, nel silenzio, per non, tradire il movimento, ci avviamo dopo raccolto tutto il materiale. E sempre sotto la pioggia, con solo un poco di pane in corpo da quasi 36 ore scendo con la sezione a valle dove arrivo alle quattro del mattino. Non trovo nessuno. In mancanza di ordini, vado al posto di prima, ove avevamo fatto una baracca e c'era la cucina. Per la via mi sorrideva, l'idea di svegliare i cucinieri; una bella fiammata, il caffè, una fetta di carne, vino e cognac. La roba ci doveva essere tutta e mi consolavo mentre avevo l'acqua al ginocchio in certi momenti, il fango rosso del Carso fino ai, capelli... e la barba di otto giorni. Dovevo essere spaventevole. Arrivo e trovo... nessuno. La cucina è spiantata e tutto è deserto. Chiamo e nessuno risponde. Vado alla baracca... è un lago di fango. Finalmente alle mie chiamate risponde un soldato che non conosco, che esce da una buca e mi avverte che ci è stato un bombardamento, che il caporale di cucina é ferito, e che son tutti fuggiti a Doberdò con tutta la roba. C'era da disperare. I soldati brontolavano, si lamentavano. Io avevo riacquistata energia qualcuno consolai, qualcuno minacciai e li alloggiai alla meglio con i piedi nel fango in questo fango così viscido e ributtante... Poi feci l'appello al lume dei fiammiferi che stentavano ad accendersi. Constatai che mancavano cinque uomini evidentemente smarritisi nella discesa. E poichè il buio era un pò meno pesto, per non star fermo in quell'umido salii a cercarli. Al mattino alle sette li avevo riuniti tutti e trovammo il sottotenente Scrinzo anche lui ridotto come un bandito ed affamato. Si ebbe, a mulo, il caffè. Poi si dovette mettere a posto il materiale, perchè ci aspettavamo di tornare in trincea. E niente rancio, niente pane. Un soldato pietoso mi si avvicinò e mi diede di nascosto un pezzetto di cioccolato. Mi rianimò ed ebbi grande riconoscenza per quel poveretto, che divideva con me ciò che in quel momento era un tesoro. Io non avrei mai creduto di possedere tanta energia.
CAPPA FRANCESCO NATO A CASAL MONFERRATO L' 11 GIUGNO 1888 TENENTE DI VASCELLO PILOTA AVIATORE CADUTO SUL CIELO DI VENEZIA IL 5 NOVEMBRE 1917 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Venezia 28 Ottobre 1917
MAMMA CARISSIMA, Di qui seguiamo con ansia il tragico e precipitoso svolgersi degli avvenimenti, coscienti della gravità del momento, ma più che mai fiduciosi che sapremo validamente resistere. Si preparano per noi i giorni forse più critici ed occorre quindi non avere neppure un attimo di debolezza. Io ho preso parte alle azioni del giorno 23 e prevedo che nei prossimi giorni avremo da lavorare se il tempo non sarà cattivo. State tranquilli e di animo sereno.
2 Novembre
CARISSIMA MAMMA, Io sto bene, facciamo anche noi quanto si può per contribuire alla, comune salvezza; occorre che la fede più grande ci accompagni sempre. La battaglia si avvicina sempre di più a noi e nelle nostre continue esplorazioni vediamo ora il movimento nemico e di notte osserviamo i lampi delle cannonate e il rosso degli incendi. Col cuore stretto stretto e con un senso di sbigottimento pensiamo all'abbandono di posti la cui conquista era costata tanta fatica e tanto sangue. Occorre aver la forza di rialzarsi dall'abbattimento momentaneo ed è necessario che i nostri soldati si convincano della volontà ferma e decisa che ha tutto il paese di vincere a costo di qualunque sacrificio. E noi ci auguriamo di poter sempre fare tutto quanto ci è possibile. Un abbraccio affettuoso. Tuo CECCO
GIOVANNI OTTOLINI NATO A PALLANZA IL 6 NOVEMBRE 1893 TEN. DI COMPLEMENTO NELL’ARMA DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL MONTE SALAROLO IL 18 DICEMBRE 1917 DECORATO DI UNA MEDAGLIA D' ORO E DI UNA D' ARGENTO AL V. M.
Zona di Guerra 10 Novembre 1917
CARISSIMI Grazie infinite degli auguri che voi mi fate e spero che la buona stella e le nostre baionette sapranno aver ragione di chi si è spavaldamente permesso di farci arrossire, noi fanti che abbiamo cercato di far sempre il nostro dovere, non limitandoci solo ad esso, ma dando alla patria anche quello che fa parte dell'orgoglio personale. Battuti! Saranno battuti nel cuore e nell'anima e nella coscienza quelli che non hanno fatto il loro dovere, quelli che con mezzi leciti o illeciti si sono tenuti lontano dalla prima linea, quelli sì che soffriranno, e se tiranno quella voce vecchia e famosa che sussurrerà: «Io non ci sono stato, io non ho fatto nulla, io sono stato un vile». Noi, miei cari, sappiamo di aver perso, ma sappiamo anche che possiamo fare quello che ha fatto il nemico, e lo faremo. Il sangue è tumultuoso nelle vene, si stringono i pugni, i denti, si freme. La famiglia, la fidanzata, la casa sono cose care ma oggi non si sente che la patria, oggi non sento che l'ultima strofa dell'inno a Trieste « o vincere o morire» e vi giuro su quanto ho di più caro al mondo, che la vita che faccio oggi è una vita d'inferno, è opprimente e sferzante il pensiero, sento che il nemico ride, sento che villaggi e città bruciano, che migliaia di italiani piangono, sento che su questo Piave io resterò facendo parte della selva di reticolati che io giornalmente dissemino, resterò senza retrocedere di un passo, resistere od avanzare, nessun'altra via di mezzo é concessa altrimenti, le vestigia del nostro onore Si frantumerebbero anch'esse, altrimenti non sarei più capace di vivere. Non invoco i: miracoli di S. Gennaro, invoco soltanto la salvezza delle anime, la fiducia in noi stessi e poi si mostrerebbe al nemico che non occorre avere una testa quadra per vincere, o la mazza, od i gas asfissianti, o l'elmetto a punta... Vinceremo, lo sento, torneranno i giorni felici e le corone d'alloro, forse non torneremo noi, ma il non tornare significa che il nostro sangue si è versato per lavare un onta, per calmare le grida di protesta dei nostri poveri morti sul campo... Ora si sente l'amore per la patria, ora su queste pianure venete ricche di piantagioni e di viti e di sole, ora che vediamo e ci rendiamo conto di quanto costi una ritirata d'uomini, di materiale, di suolo nostro. Il nemico si fa ardito, innalza al cielo i suoi Drachen, i suoi areoplani scendono a basse quote, i suoi cannoni rombano incessanti, i suoi esploratori vengono fin sotto le nostre linee... hanno vinto una volta! E' una vittoria che segnerà il principio della loro disfatta, vogliamo ricacciarli e ci sentiamo forti di farlo... La scorsa notte passavano lungo il Piave i corpi di parecchi soldati loro rigonfi come carogne, putrefatti, morti chi sa dove, morti in una maniera come vorrei farli morir io, ed intanto si sentiva in lontananza un grido straziante, prolungato di donna che gridava ancora come notti fa «Vigliacchi, vigliacchi, aiuto italiani, aiuto!» Chi non freme è perchè non ha cuore, chi non freme è perchè non sente d'essere uomo e d'avere una volontà. Penso a voi se foste qua, penso che vi ucciderei piuttosto di lasciarvi in mano loro, penso che i nostri padri hanno cacciato più volte i barbari... li ricacceremo anche noi. In Italia si comprende la situazione? In Italia ci sono ancora dei vigliacchi che non fanno nulla, che si sbizzarriscono a leggere i giornali e a fare piani strategici e rimproveri a noi? Bastonateli, fate propaganda contro gl'imboscati. Vorrei avere l'autorizzazione, vi assicuro che parecchie ernie ritornerebbero a posto, che parecchi sciancati saprebbero correre, che parecchie migliaia, centinaia di migliaia di soldati guarnirebbero il fronte appoggiando e cooperando chi fa già il limitatissimo suo dovere di soldato e il grandissimo dovere d'italiano. Bacioni affettuosi dal vostro sempre Giovanni GIUSEPPE BARBERINI NATO A PONTE A SIGNA (FIRENZE) NEL 1880 CAPORAL MAGGIORER DEL 226° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO IL 22 DICEMBRE 1917
29 Novembre 1917
MIA CARA SORELLA, Ieri sera ho ricevuto la tua cara lettera, e pur troppo ho compreso anche dalla semplicità del tuo scritto quanta angoscia, quanta ansia, per il disastro nato, hai dovuto avere durante i lunghi giorni che sei stata priva delle mie nuove. Povera sorella mia! Forse sarai l'unica, che avrai sofferto tanto per conto mio... Assunta, pure essa, stette dieci o dodici giorni senza ricevere posta e approvo che fece male, malissimo a non scriverti subito appena che ebbe mie nuove. Insomma possiamo ringraziare Iddio tutti insieme che anche questa volta mi trovo in salute sano e salvo e auguriamoci che così possa essere fino alla fine di questo immane conflitto. Vuoi sapere a quale armata appartengo, me ne immagino la ragione... Appartengo alla valorosa terza armata, sì, alla valorosa e lo dico forte! La mia brigata è la brigata Acqui che trovatasi in linea sul Carso sotto il Fait non cedendo di un sol passo agli ostinati attacchi del nemico fino alla indimenticabile sera del 27 che dietro un ordine superiore alla nostra volontà dovemmo ritirarci. Infame sciagura! ti giuro che piansi dalla rabbia a dover abbandonare quei monti a noi tanto cari e sacri, espugnati con, tanto valore, bagnati di sudore e del più nobile sangue italiano. Non per questo sorella mia dobbiamo avvilirci, verrà il giorno della riscossa e della vittoria, e così potremo ritornare alle nostre case colle fronti alte e contenti di aver fatto il nostro dovere. Se avrò questa fortuna allora potrò raccontarti liberamente i miei dolori e le pene provate in questa sfortunata ritirata, che certo non posso descriverteli in questo momento. Per adesso ti sia di conforto sapermi sano e salvo, lo stesso auguro che sia di Cosimo di te e dei tuoi cari figlioletti. Ora mi trovo vicino a Treviso sui Piave. Ho ricevuto una lettera dalla Giulia e gli ho risposto subito, pure essa sta bene, solo stava in pensiero per me. Saluta Cosimo, ricevi tu e i tuoi bambini i più affettuosi baci dal tuo indimenticabile fratello. GIUSEPPE
LEANDRO SACCANI NATO IN ROMA IL 20 AGOSTO 1898 STUDENTE NELLA SCUOLA DEGLI INGENIERI DI ROMA S. TEN. DI COMPLEMENTO DEL GENIO ZAPPATORI CADUTO A VAL MELACO (ALTOPIANO DI ASIAGO) IL 28 FEBBRAIO 1918 LAUREATO AD HONOREM DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
Mestre 22 Giugno 1915
Mi sento contento, forte di un vivo e potente entusiasmo che mi avvince ormai all'Italia, a questa bella patria che tanto sento di amare. Perdonate il mio atto che vi avrà certo procurato chissà quali ansie. Perdonatemi, che non potevo farne a meno. Erano partiti molto più giovani di me ed io, che mi sentivo atto a compiere qualche cosa di più utile che non fosse l'impiego della «Mobilitazione civile» non potevo restare nè potrò mai rassegnarmi a retrocedere. Non tentate dunque nulla che sarebbe inutile e lasciate che anch'io, nell'ora del supremo cimento, possa battermi a fianco degli altri figli d'Italia...
14 Novembre 1917
L'ho scampata bella sai! Se non era un pò di presenza di spirito di otto di noi tra cui tre ufficiali a resistere su una piccola altura (Monte Longara) coi tedeschi che ci accerchiavano a tre o quattro passi di distanza con mazze ferrate, con le bombe a mano ecc. ora non sarei qui, ma... in Austria. Dei due plotoni che erano con noi in linea, si son salvati solo undici uomini compresi due ufficiali (un sottotenente ed io) gli altri... feriti, morti o prigionieri. Poi per venir qui quante granate, schrapnel abbiamo scampati di corsa Dio solo lo sa!... II pericolo è passato e io ti comunico Con piacere che mi son portato bene..
24 Novembre 1917
...Vedo che non ti impressioni anche nel sapere che sono in pericolo; del resto è logico che sia così, se no dimostreresti di essere poco intelligente e fiduciosa. Per ora sto sempre benone; sono addetto da solo ad un lavoro d'interruzione di strade. Come apprenderai dai comunicati Diaz di qui non c'è troppo buon successo per i nemici, anzi, qui non avanzano di un passo malgrado i loro bombardamenti e i loro tentativi. Guarda, io ho la convinzione che se in questo momento ogni italiano farà il suo semplice e modesto dovere, gli austro-tedeschi, non verranno oltre, ed un giorno non lontano potrebbero assaggiare le batoste di un riorganizzato esercito italiano. E' tutto da affidarsi al coraggio del soldato, alla fiducia del popolo italiano, alla pronta riorganizzazione per parte dei capi. Del resto ho imparato a conoscere quanto valga il nostro soldato se ha un poco di fiducia, non dico neanche d'entusiasmo. Vidi sul Monte L.... dove combattei e dove passai i miei brutti quarti d'ora che gli austriaci che ci avvicinavano puzzavano di alcool che facevano ribrezzo. Alcuni, per quanto erano ubriachi, vennero fin sotto a due passi da noi e sparammo loro a bruciapelo - venivano come pazzi senza precauzioni agitando le paurose mazze ferrate.