GIOVANNI GHERSI NATO A SIENA IL 25 AGOSTO 1895 S. TENENTE Di COMPLEMENTO DEL 13° REGGIMENTO FANTERIA MORTO IL 5 FEBBRAIO 1916 IN SEGUITO A FERITE RIPORTATE IN COMBATTIMENTO NELLA CONCA DI PLEZZO DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
14 agosto 1915
Ai GENITORI, Prima del combattimento nel quale spero di farmi onore, vi invio il mio saluto affettuoso In caso dovessi cadere, il mio desiderio è che voi non piangiate la mia perdita e che il mio ritratto non sia stampato su nessun giornale. Vi chiedo inoltre perdono di tutto ciò che ho fatto di male. Baciatemi i miei fratelli, le mie sorelle e a voi un caldo bacio.
21 settembre 1915
Ai GENITORI, Voglio raccontarvi un atto gentile e grande compiuto da un bersagliere e desidererei che questo episodio di vita di guerra sia stampato nei giornali di S. Remo perché il popolo di questa mia cara città sappia quanto sentimento alberga nei cuori dei nostri soldati. Giorni or sono si presentava a me un bersagliere della prima compagnia, per chiedermi il permesso di recarsi a prendere il suo zaino. Io gli ho domandato dove l'avesse lasciato, ed egli mi rispose che l'aveva perso presso i reticolati austriaci dove la sera prima s'era recato con la compagnia a tagliare i fili. Io gli faccio capire che non valeva la pena di attraversare un posto completamente scoperto e battuto dal nemico per prendervi uno zaino e che io stesso gliene avrei procurato un altro e gli proibii assolutamente di muoversi. E per meglio convincerlo aggiunsi: Non vedi che qui in trincea non possiamo neppure alzare la testa senza che un colpo di shrapnel venga a trovarci, va, ritorna in compagnia, allo zaino ci penso io» Egli finse d'ubbidire, dopo un'ora me lo vedo dinanzi con lo zaino in ispalla. «Dove hai preso quello zaino? » gli chiedo tua po’ duramente credendo l'avesse tolto a qualche bersagliere della compagnia di corvè. Signor Tenente» mi rispose — «sono andato a prenderlo nei reticolati austriaci » Io cominciai a rimproverarlo per avermi disubbidito, ed egli senza lasciarmi finire ed interrompendomi timidamente mi, rispose: « Scusi, signor tenente, nello zaino avevo il ritratto di mia madre morta e non volevo che cadesse nelle mani del nemico». Capite, il bersagliere per salvare l'effigie della sua mamma aveva rischiata la vita. Dal cielo la madre ha assistito il figlio a lei tanto affezionato e di lassù l'ha protetto nel pericoloso cammino. L'ho proposto per una ricompensa al valore, ed oggi stesso il Colonnello mi ha detto che glie l'ha concessa con vero piacere, e questa sera sarà messo sull'ordine del giorno. A voi non aggiungo commenti, perciò troppo bene capite la cosa, nonostante non sappiate in che consiste il vero miracolo. Il fatto si è svolto mentre ci trovavamo in trincea esposti al perenne tiro di artiglieria e mitragliatrici e dovevamo stare fermi come statue, senza prendere cibo perchè ci rifornivano a notte alta. Il valoroso bersagliere che ha saputo essere figlio affezionato e riconoscente e che saprà certo essere in combattimento un eroico soldato si chiama Giunchi ed è romagnolo. Ho narrato il fatto ai miei uomini esortandoli ad imitarlo...
TABANELLI BATTISTA NATO A LUGO IL 4 NOVEMBRE 1898 CAPORALE DEL 6° REGGIMENTO BERSAGLIERI CADUTO COMBATTENDO AD OSLAVIA IL 25 GENNAIO 1916
Dal fronte, 20 Ottobre 1915
Dopo quattro giorni, di riposo eccoci nuovamente in prima linea. Si dice che il mio battaglione debba sostenere una prova molto dura. Si deve riuscire ad ogni costo. Il coraggio a me non manca. Devo precedere tutti nell'avanzata, perchè sono lancia-bombe in difesa di chi taglia fili dei reticolati. Darò esempio buono o nessuno si rifiuterà di seguirmi.
Dal fronte 2 Novembre 1915
Questa mia spero vi giunga prima di domenica. In tal giorno vi recherete nuovamente al Camposanto e, se non l'avete fatto, saluterete il caro babbo per me; gli direte che il mio pensiero è perennemente a lui, ch'io combatto facendo del mio meglio non solo pel dovere e l'amore e la grandezza della Patria, ma per l'onore della famiglia, per tener alto il nome ch'Egli si degnò darmi onorato.
BIBBO GIOVAN BATTISTA NATO IN ACERENZA IL 27 OTTOBRE 1888 STUDENTE DELLA SCUOLA SUPERIORE DI COMMERCIO DI VENEZIA S. TEN, DI COMPLEMENTO NELL’ARMA DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO IL 14 MARZO 1916 DECORATO DI MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
Zona di guerra 3 gennaio 1916
PAPÀ CARISSIMO Che Mitidieri si trova in sanità, anzichè in fanteria, non è da meravigliarsi. Ha prestato a suo tempo servizio militare in sanità ed è rimasto in questo corpo all'atto del richiamo. Se per caso si fosse trovato in Fanteria, son certo che avrebbe fatto scrupolosamente il suo dovere. La guerra, per quanto orribile sotto ogni punto di vista, è una necessità ineluttabile per tutti i paesi che non sono disposti a farsi calpestare dal tallone germanico. Questa è mia persuasione di ieri e anche di oggi perciò il posto che occupo per pericoloso che sia, non l'abbandonerò giammai, finchè avrò salute. Farò sempre ed interamente il mio dovere per essere coerente difronte a me stesso che agli altri. Mi perdonerai se per conseguenza non raccolgo i tuoi consigli. Questi mi condurrebbero a disertare dalle file dei combattenti dato e non concesso che questa diserzione sia possibile. Lasciami seguire le mie opinioni ed il mio destino. Sono sceso ieri a riposo e non so dirti per quanto tempo vi resterò. Si spera in un lungo riposo, come pure si parla di un prossimo ritorno in linea. Io accetterò il riposo o il ritorno con la stessa calma che ho tenuto sinora. Da venti giorni e più, comando una compagnia pur non avendo la pratica necessaria. Fin'ora a forza di buona volontà me la son cavata. Fortunatamente sono sceso giù senza aver subito nessuna perdita. Sono stanco. Per questa sera non aggiungo altro. Tanti saluti ad Aristide a Renato, Michele, Enrico. Luigi Lamberto Isidoro. Nicola ad Oreste. Con mamma, Tatuzza, Alfredo ed bimbi abbiti un bacio. BATTISTA
GIUSEPPE BERRI NATO A MENDOZA (REPUBBLICA ARGENTINA) IL 24 MAGGIO 1895 CADUTO COMBATTENDO SULL’ ISONZO IL 26 MARZO 1916.
Borgo Valsugana, 30 dicembre 1915
Alla madre Le tue lettere mi hanno dato delle tristi notizie sulla famiglia Danesi! Povero Mario! Abbiate, madri nostre, forte il cuore, salda l'anima, ferma la fede nella Patria, e sopportate con orgoglio e con fierezza spartana i sacrifici che da voialtre giustamente pretende l’Italia nostra. A noi il compito di mostrare che se ieri studenti ci movevamo urlanti a chiedere giustizia, oggi ci muoviamo ugualmente per fare giustizia. E voi, nostre sante madri, aiutateci ad assolvere ai nostri compiti, come ieri ci avete aiutati a temprare le nostre anime, a imparare le belle glorie delle italiane genti. Ora che sono quasi tenente, più che mai mi sento entusiasta, più che mai mi chiedo coraggio. Finalmente anch'io potrà educare e istruire alla mia scuola, scuola di sano patriottismo e di fede incrollabile, i miei soldatini. Mi sento nuovamente lo studente turbolento e irrequieto che volentieri assumeva il comando dei suoi compagni nelle lotte contro i luridi vigliacchi, contro i nemici della patria propria.
(Antivigilia della morte) Da riposo, 24 Marzo 1916
MIA BUONA MAMMA, finalmente posso mantenere la promessa a scriverti quella lunga lettera che da tempo mi stava a cuore, ma che la mancanza di materiale di papiro mi impediva di scriverti! Venti giorni di trincea, nel settore che forse più di ogni altro ha conosciuto il sublime sacrificio del nostro bel sangue rosso e ardente! Venti giorni in mezzo al fango, con un gravissimo compito ad adempiere, con un fardello di fatti sublimi, venti giorni che sono stati un continuo sacrificio e un grande onore! Avere l'animo sempre forte, non dubitare mai del proprio io, ecco, il gran segreto per vincere ogni piccola rilassatezza, ogni minimo dubbio! Avanti e sempre avanti, guardare al domani bello e grandioso attraverso le piccole miserie del momento. Volontà del vincere; fermezza nel bel sacrificio! Così sono io, e così siamo tutti noi, dopo venti giorni di vigile attesa, di continuo orgasmo. I nostri sguardi sono rivolti altrove, là dove si sente il tuonare del cannone! E le forze ci sono centuplicate quando si ha una mamma che ci comprende e ci segue, che c'incoraggia e ci benedice! E col più affettuoso dei baci formulo la promessa di essere così fiero ed entusiasta. BEPPE
(Il giorno della morte - nella notte fu richiamalo in linea) 26 marzo 1916
.... siamo qui a riposo in seconda linea, ma, io rimpiango i giorni attivi passati in trincea, ove ci si sente tanto fratelli fra di noi fra noi e i nostri (soldati, dei quali soltanto in quei momenti si può dar un giudizio ben, apprezzato, un esame ben fatto! E con piacere facevo le stesse fatiche che facevano i soldatini, questi buoni soldati brontoloni perchè latini, ma sinceri e sublimi nel sacrificio, belli sempre nei begl’impeti di rabbia e di gioia. In quel fango che tutti ci uguagliava esternamente, avveniva una, più cara uguaglianza di cuori e di anime. Ci sentivamo tutti tanto fragili e tanto orgogliosi - fragili perciò uomini, orgogliosi perchè soldati - e il fango faceva sparire differenza di grado o di età, eravamo tutti un'unica amalgama ove fremevano i sentimenti della patria e della famiglia!
NICOLA CARLETTI NATO A VERRUCCHIO IL 30 DICEMBRE 1895 S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 18° FANTERIA CADUTO A SELZ IL 27 MARZO 1916 DECORATO DI MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. 27 marzo 1916
Se per la santa causa per la quale sono orgoglioso di combattere, se per la maggior gloria d' Italia mia, per la liberazione dei fratelli irredenti, la mia giovinezza si spezzasse, io dovessi morire, a te, o terra d'incanti, o patria che io tanto amo, il mio grido supremo di disprezzo pel nemico, d' incitamento a vendicarmi e a combatterlo. A voi, babbo, mamma, a voi, che mi deste la vita, che mi cullaste ed educaste nel santo amor di patria, a voi miei adorati genitori, l’ultimo palpito del mio cuore di figlio affezionato. A voi correrà, questa mente ormai offuscata, e un bacio spirituale sarà il nostro congedo. Allora sarete anche più forti, più orgogliosi!
LUIGI FILIPPO GERBINO NATO NEL BELGIO IL 27 AGOSTO 1890 S. TENENTE DI COMPLEMENTO DELL’ 84° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO A SANT' OSVALDO (VALSUGANA) IL 16 APRILE 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Zona di guerra, 2 novembre 1915
MIEI CARI, La morte nel pieno dell'azione é forse non altro se non un altro modo di vivere...Io sono così felice di sentire, di vivere in tal modo ardentemente e sono così felice che le animo vostre mi siano vicine e mi comprendano, che tutto è nulla, per me.
Zona di guerra,4 dicembre 1915
ALLA MOGLIE, E sii lieta, sii lieta e serena, mia piccola pensa che ciascuno ha il suo compito e questo è il tuo. Come mamma tu devi essere un poco egoista, di quel santo egoismo conservativo che forma uno scudo alla vita che s'annunzia. Tanto deve compenetrarti il pensiero della Creaturina nostra che, per la sua buona sorte, per la, pienezza del suo fiorire, Ella ti debba conservare nella più completa fiducia. Guardami dunque bene negli occhi, mia dolce, mia forte compagna: tu non sapresti sempre, davanti a qualunque avvenimento, vivere fieramente per la vita che porti? Amala, la tua Creatura: amami in Lei per tutto quello che il mio spirito ora e sempre, oltre ogni evento, può recarti ad aiuto, a maggior incitamento per farla più bella, più forte, più degna amala per tutta la gioia che dalla nostra anima comune volge verso la più grande Idea di vita.
Dalla fronte, 12 aprile 1915
ALLA MOGLIE, ...Che magnifica cosa è la vita e che magnifica, sorte viverla in pienezza di forze fisiche e morali. Il Bimbo nostro crescere, a questo bello e disteso respiro. Come lo sento vivere, come sento il suo sangue correre nelle giovani vene, quando più sento che a darglielo è occorsa la vena nostra più pura e più copiosa!
ELIA ERNESTO BEGEY NATO A TORINO LAUREATO IN LEGGE S. TENENTE DI COMPL, NEL 5° REGGIMENTO ALPINI CADUTO COMBATTENDO A LOBBIA ALTA (ADAMELLO) IL 29 APRILE 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Aprile 1915
ALLA MOGLIE, CE qui me fait le plus de peine dans la guerre europée ce n'est pas la destruction des vien h.umaines; la vie achevée à moitié de son cours par le sacrifice, acquiert une valeur et une noblesse que, quiconque croit à immortalité des à,mes, doit uu peu envier. Ce qui est plus dur à penser, c'est que cotte guerre, en 'déchalnant les haines des pleuples, detruit presque com-plètement le travail de fraternité spirituelle que l'humanité avait commencé — elle détruit la j oie que 1' Une aiN vait de trouver dans une manifestation quelconque de l'art ou de 1' esprit, un lien qui 1' unissait à tana de gens inconnus....
6 agosto 1915
M’ha addolorato la morte di Vajna. Ma, se può essere vero che egli abbia forzato il suo destino, pure io trovo che egli ha fatto bene, perchè ha dato alla sua vita e alla sua morte un valore ideale ben più grande. Certo, tutti quelli che, non chiamati dalla legge alla guerra attiva, vi prendono parte, forzano il destino; ma con questo principio si condannerebbero tutti i migliori slanci dell’anima. Povero Vaina! Ho letto ieri sera l'ultimo suo articolo nell'Azione che quantunque un po' forte è pure ben vero. In fondo, alla, guerra ci si dovrebbe andare come ad un rito in cui tutti possono essere chiamati al supremo sacrifizio, ci si dovrebbe andare coll'anima pura, e libera da ogni men che nobile pensiero. Ora questo non si riscontra sempre ed io comprendo che uomini come Vaina abbiano potuto sentirsi soli spiritualmente. Anch'io nel mio modesto idealismo e sentimentalismo mi sento talora, un po' isolato. E così sogno tutto solo guardando le stelle cadenti la sera e ripetendomi qualche bella cosa che io abbia letta e che abbia, trovato rispondenza nell'anima mia. Con questo non mi credo niente più degli altri — e sono convinto che mi ci vorrà molto sforzo per conservare in mezzo ai futuri eventuali pericoli la calma e la serenità dello spirito. Cara Maria, io ho fatto una lunga tirata, ma mi fa tanto piacere stare un poco con te e con Arturo. Questa lettera è naturalmente anche per lui, fratello dell'anima, che vorrei avere con me. Abbraccialo da parte mia. Ho scritto ai tuoi bimbi, e ti prego di dar loro tanti baci; a te pure un grosso bacio.
26 agosto 1915
Ora, ripensando a questa piccola azione ne rivedo meglio la parte estetica. Se tu avessi visto come era bello vedere arrampicarsi la compagnia su una cresta ripidissima, nella notte piena di luna, e resa più fantastica ed affascinante da un leggerissimo velo di nebbia che alterava un poco i contorni delle cose! La notte di marcia passò senza che me ne accorgessi e furono poi solo le corse che mi toccò fare dopo, su per l’ultima ripida china del monte, per arrivare più presto in vetta, che mi stancarono. Inoltre, essendo per mia disgrazia malato il sergente del mio plotone, mi toccò di gridare molto per incitare gli uomini a venire rapidamente e per incoraggiare quelli che si lasciavano intimidire alla vista di pochi feriti. Il pericolo più grande per noi era dato da pochi tiratori invisibili che sparavano con straordinaria precisione. Anch'io ho sentito qualche pallottola ben vicina, specialmente in un momento in cui soccorrevo un ferito. Ma grazie a Dio non ho nemmeno una scalfittura. Del resto il piccolo « Pain quotidien » che io avevo letto mi aveva confortato Con queste parole scritte proprio alla data del 27 agosto Les pas de l'homme qu'il benit, soni conduits par Eternel et il prend plaisir à ses voies. S’il tombe il ne sera pas entièrement abattu car l’Enterel lui soutient la main ». Non è forse straordinario l'aver trovato tali parole proprio nel momento del pericolo? Cara piccola moglie tu mi sei stata tanto in cuore in questi giorni, ma d’altra parte in questi momenti non bisogna troppo pensare ai propri cari per avere maggior forza maggior decisione. Da tre giorni, (oggi compreso) non ho più le tue lettere, ma puoi immaginare che Festa sarà per me discendendo stasera, o domattina, ritrovare la tua corrispondenza, di questi giorni. Ho fatto qualche fotografia delle vette o del colle conquistati e le manderò a Torino a sviluppare a te ne farò dare la copia. Cara Antoniette, approfitto di un soldato che discende per portare ordini, per dargli questa mia. Sii tranquilla, e serena e pensa tanto a me. Appena mi sarà, possibile ti scriverò nuovamente. Ti penso tanto tanto e ti abbraccio con tutta l'effusione dell'anima.
24 marzo
Dal diario .... Ma in realtà, nulla di quello che è scritto o detto dagli altri può bastare. Nessuna parola, per quanto profonda, sarà più vera di quella scritta da noi. Ed io vorrei gridare tutto il grande, immenso sacrificio che io compirei se dovessi morire; non lo rimpiangerei, no ho voluto esser qui e, se non ci fossi, verrei, a gettarmi nella lotta per dare maggior valore morale alla mia vita. Ma non per questo sento meno che se dovessi lasciarti sola, il mio cuore sarebbe, nell'ultimo istante, pieno d'angoscia. Quando ero sul Torrione il 20 settembre, e le granate austriache parevano si dovessero accanire a scoppiarmi vicino, non so bene che cosa provassi. Pensavo con timore alla fatalità, che pareva volesse far coincidere la data del mio matrimonio con quella della mia morte. Non avevo paura; no. Solo avevo pronunciato in quel momento la frase «In manus tuas, Domino, commendo spiritum meum» In quei momenti, anche l'anima mia non era mutata. Ho sempre avuto la fede. Fede in Dio, fede nell'immortalità, fede nell'unione eterna delle anime. E tale rimase il mio pensiero in quell'istante in cui non credevo più di sfuggile alla morte. Ma, mi rimaneva l'angoscia per quelli che sopravvivevano, per te, piccola moglie… per mio padre, che avrebbe sentito di colpo crollare la forza mirabile che lo sorregge nel continuo lavoro per conservare l'ufficio al suo figliuolo o ed avrebbe aggiuntò una nuova inestinguibile pena alle molte che lo hanno provato nella sua ardua vita; e poi, per tutti... Ma io vorrei, o piccola, moglie, che nello stesso tempo che io grido contro il destino che mi strappasse a te, tu sapessi che io avrei Pure una calma e una fiducia cieca in quello che ci attende. lo ti direi solamente « aspetta, piccola io vado al dì là e ti attendo, e quando tu verrai, io ti verrò incontro, e muteremo le lacrime nella gioia eterna». Mi ricordo di una frase di Claudel che mi sono letta, tante volte in quel bizzarro libro che é «L'annonce faite à Marie: Pour moi, j'en ai fini et je passe outre Dis, qu'est-ce qu'un jour loia de 'noi? Bient'òt il sera pansé. Et alors, quan.d ce sera ton tour et que tu verras la grande porte rerauer et cranquer, c'est moi de l'autre dité qui suis après»
24 sera - Edolo
L’ozio mattinale dell'ospedaletto, favorisce un poco i miei sogni. E' vero che vi è troppo andirivieni di gente e la solitudine manca. Ma questa sera scrivendo ad Antoinette ho ricordato scherzando, le mie tentazioni dell'altro giorno quando, scendendo a Cedegolo, ho visto un pesco in fiore. Avevo lasciato la neve che, dopo essere caduta foscamente per tanti giorni, ora accecava con la sua immensa bianchezza al sole. Ma la luce della montagna d'inverno non è gaia: essa, può stordire, ma non rallegra. Permane in essa un senso di desolazione; Si sente che manca la vita. E l'anima Si abitua allora all'idea della morte; la rinunzia a quello che è la nostra gioia è Più facile perchè noi ci sentiamo davanti ad essa troppo piccoli e diventiamo timidi. Oriani ha scritto « Andiamo verso la montagna, là dove l’ombra della morte è più leggera e io lo avevo sempre creduto esatto e grande questo pensiero… Ma ora mi pare che la realtà sia diversa. La montagna, quanto l’uomo l’avvicini non per qualche ora ma per lunghi periodi, uccide la gioia. Uccide tutto quello che è leggiero ed agile nello spirito, richiama le cose eterne, avvicina all’immortalità. La rinuncia delle cose temporanee appare più facile e l’idea della morte diviene talmente commista coi nostri pensieri che sembra più lieve. Ma è una leggerezza fatta dì rinunzia e sacrifici di cui non Si misura subito l'immensità. Quando si discende al piano e la vita della natura, riappare davanti a noi, allora il cumulo delle cose che abbiamo distrutto risorge più imperioso e ci sentiamo più che mai legati ad esse. Ci pare dì aver distrutto solo perché non conoscevamo il valore dei beni che annullavamo, ogni fibra del nostro essere chiede «vita» ed anche il povero pesco in fiore tenta il rozzo alpino col suo fascino eterno. Ma questo fiore mi ha detto tante cose del passato, mi ha gettato negli occhi un raggio di quella luce che ha illuminato la mia vita in questi ultimi due anni ed avrei voluto coglierlo ed offrirlo in dono... io temo un poco la primavera. Essa, ha troppi richiami alla vita, alla gioia, all'amore, e in questi tempi sono cose vietate. Mi, ricordo di una frase di. Amiel “Pauvre eceur, tu veux de la viè, tu veux de l'amour, tu veux de et tu as raison après tout, car la vie est sacrég”. Queste parole, avrei voluto scriverle a capo del mio piccolo diario, se ne avesse messo conto. Ma ritornerò presto alla montagna, all'alta montagna, perchè qui ad Edolo il piano si traversa in pochi minuti e poi da qualunque parte si sale. Intanto, per incoraggiarmi alla lotta... fuori imperversa una terribile bufera di vento e pioggia che pare voglia rovinare ogni cosa. Povero pesco in fiore !...... Fuori infuria la tormenta. Nella baracca sepolta dalla neve sta la nostra tranquilla mensa di ufficiali alpini. Parliamo di cose frivole e lontane, per vincere il tedio della neve che cade. Da quanti giorni? forse quindici, forse venti; nessuno pare ricordare quando ha incominciato. Un posto è vuoto a tavola. Qualcuno interroga con voce indifferente dove sia l’assente. E' andato di servizio al «Passo»; non è ancora ritornato. La breve risposta cade senza che alcuno riprenda il discorso. Rapida passa la visione della montagna. Essi devono essere giunti in alto, dove gli altri soldati, in piccole baracche, aggrappati a scoscesi dirupi, vegliano che il nemico non passi. Ma oggi la montagna impone tregua d'armi; entrambi i nemici debbono lottare perchè la neve non li soffochi o li travolga. Un po' di 'inquietudine é fra noi: ma nessuno osa ancora formulare il suo pensiero: la montagna rende superstiziosi: si teme di essere cattivi profeti. Ma il destino è più forte della nostra povera superstizione e la notizia, di cui ognuno ha già il presentimento e l'angoscia, giunge rapida fra noi. Coperti di neve, col viso stravolto, disfatti dalla fatica, entrano i soldati annunziatosi di morte. — Una valanga..., il tenente.... un soldato.... giù in fondo.... Usciamo correndo nel corridoio: un breve affannoso lavoro per mettersi rapidamente gli ski, qualche grido di richiamo corde, medicinali, barella.... Poi, via nel turbine di neve che travolge. Scivoliamo ad occhi semichiusi dirigendoci a stento. La colonna di soccorso si snoda sulla, montagna, si disperde, si ritrova e risale compatta in fondo della valle. Anche il tempo pare calmarsi un poco. dapprima si indovinano, poi si distinguono nettamente i canaloni che precipitano dalle vette. Non osiamo gridare, perché; su di noi incombono ripidi pendii dai quali può discendere fulminea la morte. Ma l'angoscia è più forte di ogni altro sentimento, e cominciano i richiami, e quando ai ripetuti appelli una voce risponde di lontano, ognuno parla e chiede al compagno se non fu vittima, d'illusione. E passo diventa più affrettato tra l'altissima neve, in cui anche Io ski affonda terribilmente. Infine sii vede una forma nera, una forma umana che si agita in alto in mezzo a un canalone. Sono solo, c'è qui un morto - grida dall'alto. La speranza che lo sorreggeva cade e la gioia di quello che salviamo è infranta dal pensiero di colui che più non risponde al nostro appello. Egli è là, colla testa spaccata, piccolo punto nero nell'immensità bianca della neve che lo ha travolto. Il buon ufficiale che tanto aveva amato questa montagna, che tanto l'aveva desiderata quando era lontano, è là, in comunione eterna con lei che ne ha ricambiato l'amore con la morte. Ma il nostro profondo corruccio non tocca la montagna, ed invano insorgiamo contro di essa'. Non sismo noi forse ad Ogni istante in sua balia? Raccogliamo quel morto e lo strappiamo alla neve che lo inghiotte. E mentre il sopravvissuto, nella, prostrazione nervosa che segue il momento della salvezza, moltiplica i gemiti per molte ferite, cominciamo il ritorno. Ma la tregua della natura è finita. Si direbbe che la montagna non voglia lasciarsi, strappare le sue vittime. La neve, che il vento travolge e scaraventa con inaudita, violenza, soffoca, accieca, ingigantisce le difficoltà del trasporto. Che cosa sono le immaginazioni più grandiose dei poeti di fronte a questa piccola realtà? La meravigliosa marcia funebre di Siegfried può forse uguagliare la grandezza di questa terribile sinfonia della tormenta che accompagna il funebre convoglio, centuplicando i suoni fra, i dirupi ed i pini? Giungiamo alla baracca una dolce commozione fa velo ai nostri occhi. Rivedo il compagno come presente, poche ore innanzi. Al mattino, lui, pur sempre gioviale, mi aveva salutato con un'ansia pensosa. Forse intuiva oscuramente il suo destino, o pure era in lui quel vago senso di timore che talvolta ci assale in questa difficile vita? — Il tempo è discreto – aveva detto – io salgo al «Passo». Era uscito dalla mia camera: vi era tornato due o tre volte per scambiare qualche frase. Poi sì era allontanato e per sempre.... Ricevo l'incarico di cercare l'indirizzo dell'amico e vedere a chi sia più opportuno mandare il triste annunzio. Ci siamo accorti che, pur essendogli amici, ignoravamo tutto di lui. Si scherzava molto tra noi; ognuno parlava anche della propria vita così di sfuggita, ma erano solo cose esteriori; esiste sempre una istintiva ritrosia a parlare di ciò che ci è intimamente più caro. Sfoglio la corrispondenza, ma sono intimidito. Non oso penetrare in quella piccola vita ignota. L'amico mi appare subito diverso da quello che conoscevo. Lo sapevo buono, meglio, intuivo la profonda bontà sua, ma non sapevo quanto, essa divenisse vita e luce per coloro ch'egli amava. Tutti gli scrivevano affettuosamente; ma le frasi anche più semplici acquistano dinanzi alla morte una suggestione e una potenza infinita. La sorella gli scrive della madre malata, che pensa al figliuolo del nipotino che comincia a parlare e al ritorno del bravo alpino gli correrà incontro e gli griderà: Ciao, zio Pep» Povero bimbo! Un'altra cosa più grande è andata incontro allo zio, e nell'ombra della morte il tuo balbettio non avrò, risposta. Poi è dinanzi a me una dolce figura di dorma che con affetto gli dice: «Non ho più scopo di rubare dieci minuti sull'orario di ufficio, ora che non posso più rimanere con te.... ». Così, lentamente, mi avvicino all'anima del povero morto. Penso che egli ora è solo, in un gelido ambiente, vegliato da alcuni soldati che montano la guardia a baionetta inastata. Dopo quel breve tuffo nella vita intima dell'amico, gli austeri onori militari mi paiono freddi, senza conforto.... E vincendo quel vago senso di pena che tende ad allontanarci dalla contemplazione della morte, entro nello stanzine in cui é stato portato il cadavere. Una lampada getta un po' di luce sul morto, ed io rimango in tacito colloquio con lui. Istintivamente, davanti a quell'essere, che nella vita, mi era parso scettico, pronuncio la preghiera che fin dall'infanzia ripetiamo pei nostri morti, il De Profundis, unica preghiera che risuona sino negl'intimi recessi dell'anima: così ho gridato anch'io un poco dal profondo dell'anima verso Dio, perchè l'amico abbia a trovare la luce e la calma eterna. Poi ripeto dolcemente il saluto che egli non ha potuto udire, che non udrà mai «Ciao, zio Pep». Fuori, dopo una breve sosta ricomincia a cadere la neve.
BESOZZI MARTINO NATO A VIGEVANO IL 7 FEBBRAIO 1896 EX ALLIEVO DEL R. LICEO DI VIGEVANO CAPITANO DEGLI ALPINI BATTAGLIONE SALUZZO CADUTO L' 11 MAGGIO 1916 ALLA CONQUISTA DEL MONTE CUKLA DECORATO CON LA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
BESOZZI CARLO NATO IN VIGEVANO IL 3 NOVEMBRE 1896 EX ALLIEVO DEL R. LICEO DI VIGEVANO S. TENENTE EFFETTIVO 4° ALPINI BATTAGLIONE IVREA CADUTO IL 23 LUGLIO 1915 SUL MONTE NERO DECORATO CON LA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Rivalgo, 29 ottobre 1914.
Martino a Carlo CARLO CARISSIMO Eccoti soldato. Ciò, come è la formula, dei padri nostri latini, sia per te felix, bonum, faustum. Hai davanti a te un periodo incubatore non leggero ne lieto: sappilo degnamente vincere e superare. io lo spero e lo credo perché di te amo sperare e credere molte belle e grandi cose. Soprattutto poiché ora ti affacci alla vita ed è per la vita che devi ormai sentire vigilare amare credere, soprattutto fa di non diminuire mai in te quella che oggi é passione, che domani sarà fede, quella che taluni forse diranno ridendo poesia, ma che e sarà, sempre la Cosa più bella, più pura, più confortevole, più divina che possa essere in un uomo. Tu vedrai nella vita, che tu volesti scegliere, che è la mia, che sarà la nostra comune, una, infinità di piccole Cose e di grandi che ti muoveranno spesso a noia, alcune volte a fastidio, forse anche disgusto. Ti troverai fra gente che fa la vita, del soldato, solo perchè così può, senza contrasti e lotte, procacciarsi il pane e il companatico. Questa gente impoverisce, appesta, uccide, ciò che è, e deve essere il saldato d'Italia. Io so che tu non sarai tra quelli; ma forse un male inteso materialismo della vita ti condurrà qualche volta dappresso a quelli. Ora il mio consiglio, il mio augurio più sincero, più umano, più fraterno, è questo: fuggi, fuggi, fuggi quei compagni e quei circoli ove della vita si bestemmia così. E abbi fede. La mamma ti dirà: Abbi fede nei Dio che i tuoi padri venerarono e venerano, e forse un giorno ci ripiegheremo tutti — io e te — in quella fede celeste io ti dico un'altra parola: Abbi fede nell'umanità, abbi fede nella Patria, e più ancora in quelle due grandi cose che uniche nobilitano la Libertà e la Bontà. Fa che per te la vita sia bella e nobile: poni davanti a te uno scopo da cui originino tutti i tuoi doveri, a cui mirino tutti i desideri tuoi. Tu sei più giovane di me negli anni e più ancora nell'esperienza. Tu forse non puoi comprendere come queste mie parole non siano vuote e non siano vane. Io lo so, io che debbo a questa mia, fede pura, che debbo a questo lume di serenità ideale se tante cose buone feci, se tante volte trovandomi male, pure m'acconciai in bene, se infine ora ho il sollievo di Seni firmi contento e quieto e nulla chiedente anche quassù, se talvolta apro ancora un libro o studio. Così vorrei tu fossi; oggi sopra tutto che la tua condizione di soldato ti Può chiamare, domani forse, a cimenti, a sacrifici, a pericoli, a cose dolorose e gravi. E allora se chi è chiamato a ciò non ha nell'animo la forza erculea di quella poesia semplice e vera che portò i nostri uomini, sette volte, con la baionetta, a S. Martino, e allora per colui la vita non è più una sola delusione, è un tormento, un'angoscia, una cosa atroce, terribile. Ma se colui è della razza italica di Mameli e di Manara, oh allora, la vita li dove è più brutta, dove è più impervia, dove è più ricca di sangue altrui e nostro, lì sarà, più bella se non più gioconda, più pura e più degna, se non più lieta. Pensa sempre alla famiglia, pensa sempre all'affetto grande di chi ti ha circondato sino ad oggi di ogni cura. E ricordati che in me non devi avere solo un fratello ma anche e sopra tutto un amico. Parecchie volte il ricordo e la certezza di persone che ci amano sono le cose più belle e più dolci, sono il rimedio più buono, il consiglio più certo, l'aiuto e l'incitamento più sicuro. Vedo nelle tue parole far capolino un certo viso che non so se sia d'arguzia o di gioia, o di lieto scetticismo. E va bene, anche di scetticismo, purchè sia lieto e sia solo una maschera che, nei momenti più seri e più buoni, più veri tu sai allontanare da te, per lasciar libera la tua vera figura d'uomo onesto e fiducioso. Io ti scriverò spesso perchè so che certe volte anche queste lettere che paiono ma, non sono, tirate da predicatore, possono far bene e giovare.
Vigevano, 2 novembre 1914
Carlo a Martino CARISSIMO, Eccomi alla vigilia della partenza. Ancora due giorni e poi spiccherò il volo per un'altra, città, lontano da tutto ciò che è caro, da tutto ciò che formava il mio piccolo mondo, la mia semplice vita. Fra due giorni non più la dolce voce della mamma, o il velato rimprovero del babbo mi strapperanno ai miei ozii, e mi inciteranno al lavoro, o daranno me inesperto i savi consigli dell'esperienza, altre voci rudi e imperiose, tutta la terribile e rigida, monotonia dei regolamenti, mi sveglieranno al mattino e mi accompagneranno, m' invigileranno per tutta la giornata. Quello che io sto per fare ora, ben lo comprendo, è un piccolo passo, ma il mutamento è radicale, sarà nella mia piccola commedia della vita, uno di quei, bruschi colpi di scena che formavano la delizia dei nostri nonni; eppure te lo dico sinceramente, il passo non mi spaventa affatto. Non che io sia così presuntuoso da credermi capace di superare qualunque ostacolo o compiere qualunque sacrificio, ma perchè io ben comprendo che questi due anni di scuola, saranno quelli che dovranno dare al mio carattere quell'impronta durevole e stabile che durerà per tutta la vita. Che vuoi, l'esempio dei nostri padri dei miei superiori, l'abitudine a una vita regolata di lavoro e di disciplina io credo varrà, a darmi quelle virtù che ancora mi possono mancare per poter essere alfine un uomo veramente buono, onesto e felice. E dico felice, perchè io ho questa idea che tra essere anche illusione, che la maggiore felicità consista nel sentirsi superiori a tutto e a tutti nella tranquillità dell'animo e nella forza del carattere. Dalla lettera tua poi ti ringrazio infinitamente perciò ha aperto dinanzi ai miei occhi un orizzonte nuovo e più puro e mi ha dato una più serena fiducia di cui ti sono debitore. Puoi essere certo che io ti terrò informato di qualunque cosa m'accada ed a maggior ragione per quelle cose che mi facessero dispiacere, perché ben compiendo che l’amore di un fratello può comprendere e compatire meglio di qualunque altro. Prendo atto del tuo proposito spesso, e ti assicuro che per quanto numerose siano le tue lettere non mi parranno mai sufficienti. Appena giunto a Modena ti manderò il mio indirizzo con il numero della mia compagnia, affinchè le lettere mi siano più facilmente recapitate. Non lasciarti venire, ti prego, l'idea di mandarmi dei danaro perchè io non potrò avere mai più di 20 lire, e poichè c'è Zanetti con me, puoi esser certo che tra noi due potremo trovare il modo di, per così dire, farsela bene con poco. Oggi è il giorno dei morti, di quelli che ci furono nonni, e che forse dall'alto ci guardano e ci benedicono; mando Loro un pensiero, un saluto e una promessa a te mio carissimo un abbraccio ed un affettuoso e riconoscente saluto. Mamma, Babbo e Maso certamente si salutano e baciano. Tuo Carlo
Salichiovet, 13 novembre 1914
Martino a Carlo CARISSIMO, Rispondo subito alla tua. Ho capito e capisco quel senso tristissimo e nostalgico che dona a tutte le cose il tuo cuore, angustiato. Anch'io prima di te e peggio di te l'ho provato. E si fu in tempi più difficili a superarsi e a vincersi, in tempi come i miei di Milano in cui ero in condizioni materiali poco liete, ed ero più giovane di te, e non studiavo solo, ma lavoravo anche. E lo riprovai ancora quando soldato in Caserta, non lamentava solo la famiglia lontana, ma anche un amore (che mi pareva allora fermissimo e capitale) interrotto e fastidiato dalla mia nuova condizione e da duemila chilometri di distacco. E mi rattristava ancora l'avvenire mal certo e dubbiosissimo. Te invece non angustia il domani che è certo; nessun amoroso furore credo, fu turbato dalla tua nuova condizione; non istai, infine, così materialmente male da poter paragonare il tuo stato con quello che fu il mio a Milano e a Caserta. Sono certo, quindi, che tutto ciò che ti angustia oggi, non ti angustierà più domani. Se io dovessi anche cercar di analizzare il tuo troppo dolore nostalgico, direi che esso è dato non da altri che dall'aver conseguito il tuo scopo. Troppo ti pareva quello grande! Impara ora ad amarlo così come è ora e a proportene altri maggiori: Così è la vita, fratello. Nulla mai ci sazia appieno, nulla ha il valore di saturarci di gioia, di toglierci il desiderio e il dolore. Beato te cui la vita si apre con un dolore sì piccolo, Con una difficoltà, sì breve or son quindici giorni io ti scrivevo di aver fede. Vedo che è opportuno già che ti rammenti il mio consiglio. Non fastidire il cappotto. Esso ti deve ricordare ad ogni momento non la tua volontà, legata, ma la, tua volontà operante: non subordinazione e obbedienza, ma la forza e la bellezza morale che è in quella, non la piccola cura della tua scuola, ma sei e devi essere uomo di azione e di fede, uomo fermo, tenace, sicuro, dispregiatore di mollezze schivo di falsità, lontano da inganni: che tu sei un cittadino della più bella patria del Mondo, cui tu ora e sempre nell’opere, nel pensiero, nella parola, della, famiglia in tutto e ovunque hai sacrato il sangue, l’animo,, il cuore. Anch'io ho vestito il cappotto (ed era non bello del tuo) anche io ho obbedito a gente che forse valeva meno di me, anch’io oggi obbedisco, anch’io oggi lavoro, e son nel disagio e pure mai é fastidita l’uniforme mia, mai ho sentita per essa la ripugnanza come per cosa servile. Ho sempre pensato, e oggi sopra tutto, che essa poteva un giorno coprire il mio corpo caduto ornandolo così per le sue forme ed i suoi sogni del nome Santo dei nostro Paese coraggio, fratello. Anche tu non sei sordo alla voce del dovere e più ancora a quella dell'Idea. Coraggio. Ogni via, ogni carriera, ha inciampi, ha periodi dolorosi, noiosi, severi. Giova attraversarli con il proprio cuore in pugno, fumante ed teso che illumini il sogno avvenire. E giova, per meglio attraversarli, curare ed amare anche quelli, anche i meno lieti anni nostri. Non bisogna che tu conceda così poco posto nell' animo tuo alle cose belle sono oggi le tue occupazioni. Prova ad amare I' ordine, ad amare i tuoi superiori: ad essere orgoglioso di un loro elogio, ad essere felice di aver fatto bene. Io avrei voluto ricevere da te una lettera giocondissima per dirmi che il tuo Capitano e i tuoi Tenenti ti avevano notato e lodato cotesta scuola appunto deve essere il tuo pensiero e il tuo volere. E deve essere appunto il ricordo dei genitori e della casa paterna che ti deve far amare coteste mura eguali e monotone, che ti deve far curare con gioia l'osservanza dei mille regolamenti.' e delle mille discipline. I capi scelti e gli scelti rispettali e seguili. Non essere con loro umile, sii loro rispettoso e obbediente. Sono tuoi coetanei, tu li giudicherai di un valore minore dei tuo. Sono ubbie, frottole e ciance troppo studentesche per essere militari. Non discutere mai chi ti è superiore fa della disciplina una tua prima natura, e sii disciplinato sopra tutto con chi ti è più vicino di età e di grado. Certo ciò ti costerà qualche sacrificio di falso orgoglio: sacrificalo, è una cosa bruttissima, vana, dannosa. Altro non ti so dire. Sono qui a monte Salichiovet attendato a 1400 m. (con la neve alta solo 2 cm, è stata una zuffata ventosa) e con il ghiaccio. Ti scrivo su una cassetta. Ma ho tanta fede, tanta volontà, tanta, gioiosa e purissima idealità d’animo che te ne vorrei poter donare. Fratello: codesta scuola tu la benedirai forse tra qualche anno, di certo. Non, odiarla, quindi ora, di proposito, ma cerca di trovare in essa, qualche cosa, molte cose da amare. Salutami Zanetti e Piccato. E tu in alto in alto il cuore sopra le piccolezze della forma disciplinare e del vestiario, verso quello che é e deve essere il tuo orgoglio grande e più sacro. Sei un soldato del popolo d’Italia. Scrivimi e impara a non veder tutto nero, ad adorare il sole, il lavoro, ad esser felice quanto ti ritrovi onesto, ad essere giocondo quando puoi amare, ad, essere esultante quando ti senti amato. Ed io ti, amo e ti abbraccio. MARTINO
23 maggio 1915
CARISSIMO CARLO, Sono le ore 19,10. Sono in questo momento scoppiate le prime 4 granate austriache alla mia destra. Il mio primo pensiero è stato per Mamma, Papà e per te e per Maso. Sono lieto di essermi sentito più calmo di quanto supponevo. ...Aspetto rinforzi: per intanto, dopo i 4 colpi, è silenzio e le mie pattuglie non mi dicono nulla. Aspetteranno più tardi. Ti abbraccio. Qualunque cosa, questa guerra debba decidere di me, mi sento sereno e calmo. Viva, l'Italia. Ti abbraccio tutto con affetto intenso ed infinito.
24 maggio 1915
Martino ai genitori CARISSIMI, Ieri, 23 maggio, ad ore 18,55 gli Austriaci salutavano con i loro primi colpi (forse non i primi colpi della guerra) il mio plotone. Due granate cadevano a 50 metri una, a dieci l'altra dal punto ove avevo radunato il plotone, per comunicare ai soldati, che per la mezzanotte avevamo l'ordine di aprire le ostilità. Della prima granata raccolta subito, perciò caduta nella neve, ne ho fatto dono al mio Capitano. Della seconda ne farò dono a voi. Ho oggi ricevuto alla presenza dei soldati un elogio dal Colonnello per il mio plotone. E ho avuto dal Colonnello l’assicurazione che avrebbe scritto subito, perciò Carlo sia destinato alla mia compagnia. Da oggi sono completamente comandante di settore. Ho il compito della difesa del passo di Lanza (1850 m.). Ne sono lieto ed orgoglioso. Da dove scrivo vedo tutta la massa alpina e odo il cannone, vicino a destra. Sono obici Austriaci che salutano, da stamane la 21a Compagnia e il Battaglione Borgo. Stasera aspetto mi risalutino. Ieri fui lieto di più cose, per queste: Primo, perchè mi accorsi di non aver riportato l'impressione che credevo: Secondo, perchè fui il primo ad essere salutato, e mi parve di buon augurio: Terzo, perchè mi trovai il plotone fermo, tranquillo, sicuro come non avrei mai creduto. Gli Alpini hanno scritto pagine gloriose due volte: in Africa e in Libia. Ora è la, prima volta che combattono sulle Alpi della loro Patria, e faranno prodigi. Vi ringrazio del telegramma che ho ricevuto stanotte all'una, e mi fu recapitato in trincea da dove sorvegliavo una fucilerà di pattuglie. Finora tutti sani. Io spero in Dio, Vi abbraccio e vi bacio. Ringrazio Maso della lettera. Dite allo zio Giovanni e Linda che le berrette di lana sono in azione, e allo zio Tom e Albina e Pina la stessa cosa per i loro doni. Io vi ricordo tutti sempre, e sempre vi desidero, e vi spero riabbracciare dopo aver fatto quanto sta in me per essere degno di voi e di questa bella e grande Patria. Evviva! MARTINO
12 agosto 1915
Martino ai genitori dopo la gloriosa morte dell'amato Carlo. MAMMA, PAPÀ, Vorrei non scrivere. Parole? Una sola: coraggio. E' un dolore orribile, straziante, enorme: è una perdita. Io piango con voi scrivendo, voi piangete leggendo. Vi voglio tanto, tanto bene, ve ne vorrò ancora per lui. Vi bacio e vi bacio senza fine, senza parole, piangendo, pensando al vostro disperato dolore straziato di non trovare conforti per il vostro cuore. Pensate che è morto da eroe, che il suo nome ci onora, che tanto più egli ha sofferto, tanto più deve aver pace l'anima sua. Povero fratello! Ritroveremo il suo povero corpo. Vogliatemi bene. Pensate a Maso. Sappiate che il mio strazio maggiore è il pensiero di voi, è l’immagine di papà, di mamma, sperduti, disperati, senza conforto, nella casa che in ogni angolo ripete il suo nome. Dio è grande e ha voluto provare noi e santificare il nostro povero Carlo. Adoriamolo, il nostro povero morto, e pensiamo che l’animo suo è rattristato se voi non vi persuadete e non vi fate forza. Una forza sovrumana, una forza che è solo concessa a una madre e a un padre, è solo data da Dio. Pensate che vi amo, vi amo, vi amo più che mai, per me e per lui come ci eravamo promessi un giorno. Scrivetemi. Una bacio piangente e disperato il vostro. Martino
Al fratello Maso. CARO MASO Un giorno capirai. Ora hai un solo fratello ma che sarà tutto per te come tu sei tutto per me. NINO
Serpenizza, 14 aprile 1916
Martino ai genitori dopo il trasloco dalla Conca al Cukla.. CARISSIMI Quasi diario Giorno 10 marzo: Mi si comunica che il battaglione sarà chiamato presto su altra parte del fronte. 15 marzo: il movimento avrà inizio il giorno 20! 19 marzo: Si comincia un giorno prima. Parte da Monte Pizzul e per non so dove 20 marzo: La compagnia perde l'ufficiale medico (ricoverato all' ospedale) 21 marzo: Al comando di Zona ci si dà una notizia: andata a S. Lucia: che ci conservi la vista! Si va avanti. 24 marzo: Cividale: Destinazione ignota 25 marzo: a Torcetta diretto a Caporetto. Non più, dunque, Santa Lucia. 26 marzo: Siamo a Serpenizza e andremo al Cukla. 4 aprile,......ci siamo ancora. Il Cukla è un fatto personale, è un punto d'onore. E' l’occhio che guarda sulla conca di Plezzo. Le pareti sono a rocce ripidissime, la cima è quasi pianeggiante. Una volta fu nostra. La conquistò una compagnia del mio Battaglione, l'80°. Due mesi or sono, una notte gli austriaci hanno fatto una sorpresa: i nostri si lasciarono sorprendere. Il Cukla fu del nemico. La notte stessa e quella di poi, due compagnie alpine contrattaccarono: non riuscirono a prendere il Cukla, ma arrivarono sino a 70, 80 metri dalla cresta: vi si sono appiccicati: nessuno li ha più smossi dì là. Gli Austriaci sopra, i nostri sotto, nella neve alta due metri e più. Ora il Guida, è un fatto personale, un punto d' onore. Sua Maestà, s' interessa personalmente a ciò. Si aveva bisogno di un battaglione bello e sicuro di alpini; è arrivato il Saluzzo. Ora siamo a riposo. Ma sù, lavorano a preparare gallerie, camminamenti ecc. Qui a Serpenizza la vita è bellissima. Ogni tanto il rombo dell’artiglieria. Sullo sfondo, a 4 chilometri la mole del monte Nero. Ricordi e sogni. Questa lettera vi giungerà per la cortesia del Capitano Vitale (del 60 Artiglieria, che è in Conca di Plezzo). Vi unisco una fotografia che ritrae me o un ufficiale della mia compagnia Sottotenente Gallo Sullo sfondo vedete quattro e un uomo. Li passa, ruscello, l’Isonzo. Nomi grandi o saremo grandi anche noi. A voi il mio saluto affettuosissimo. Siate non solo forti, ma sereni. Quando riabbraccerete vostro figlio con un nastrino azzurro, sarete lieti dei momenti poco tranquilli d'adesso. Del resto non é motivo d'inquietarsi troppo. “A' la guerre comme à la guerre”. E io sono da 11 mesi circa in prima linea. Non sono mai stato così tranquillo e sicuro e sereno come ora. Un abbraccio affettuosissimo a tutti, mamma, papi, e Maso. Un saluto carissimo agli zii e alla Pina. A tutti il mio ricordo continuo. MARTINO
4 maggio 1916
Ultima lettera del Capitano Martino Besozzi alla mamma. CARISSIMA, QUANTI giorni che non scrivo! Avete aspettato e avete pensato e certo un poco anche sofferto. Ma qui per un cumulo di motivi il tempo non è più il nostro. Vi ho fatto telegrafare e spero avrete ricevuto i due telegrammi. Grazie delle vostre lettere e cartoline. Grazie sopra tutto, per l'ultima lettera tua, mamma. Mi ha fatto molto piacere e un poco bene. Quassù si ha molto bisogno di spinte morali, di forze dell'animo, e questi sgorgano massimamente e meglio dagli affetti. Si tanto isolati che Si ricorda e si ama di più. Si ha perciò il bisogno di sentirsi anche sempre e meglio ricordati. Io lavoro. Si lavora tutti con fede assoluta e Con ardore grande. Avete letto il Bollettino del 29 (credo)? Non erano dei nostri i sorpresi. Spero l'avrete subito capito o indovinato. Noi siamo di un'altra razza. Noi prendiamo, non siamo presi. La, me è toccato un onore grande. La mia compagnia è la, prescelta per piantare vittoriosa, le insegne italiane sulla vetta agognata. Forti tra i forti. Io so che voi siete di animo grande, so sopra tutto che non sarebbe bello il tacervi questo onore. Siatene lieti come ne sono lieto ed orgoglioso io ed i miei soldati. Ecco: vi scrivo da un sasso che è a pochi metri dalla meta. Attorno a me i miei soldati che vigilano e lavorano, sopra di noi il sole divino. Mi sento giovane, contento, forte e sicuro, sento che la vittoria è nostra, se vogliamo. E voi sapete la forza di volontà che è in noi tutti. Il mio colonnello è tanto contento della mia compagnia, e m'ha promesso premio della vittoria, cose troppo grandi, cui mi sento per sino impari. Io chiedo alla mia vita di opere attive e integre un solo premio, il più caro e il più santo: l'affetto di quelli che mi ricordano e dalla cui memoria io ritraggo le gioie e i sogni migliori. Quassù si è lontani dal mondo, assai, assai. Il tempo vola, il lavoro è molto, gli animi serenissimi ma vigilanti sempre. Quassù si ricorda e si ricorda sempre ma non si ha sempre il modo e il tempo di scrivere. Non pensate però male se non riceverete cotidianamente parole mie. Quando vi sarà qualche grande azione, il Cap. Vitale mi ha promesso che, sia in bene, sia in male, vi telegraferà subito e direttamente. Se' telegrafa lui guadagna un giorno sul tempo che impiegherei io che sono congiunto al telegrafo con un sentiero che è percorribile solo di notte. Salutatemi tutti gli zii, gli, amici, i parenti. Ringraziate Maso per la sua lettera, dite alla Pia che, come ha, credo, promesso a te, mi scriva, di te, di voi tutti, come le verrà fatto. Io vi abbraccio tutti o vi bacio con grandissimo affetto. MARTINO
DAMIANO CHIESA NATO A ROVERETO IL 24 MAGGIO 1894 SOTTOTENENTE D’ARTIGLIERIA FUCILATO A TRENTO DAGLI AUSTRIACI IL 10 MAGGIO 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ORO AL V. M.
Da una lettera del maggio 1916 ad un amico, mentre era in Malga Zugna, davanti alla natia Rovereto; Sono quassù sulle colline che tu conosci, nei boschi che noi conosciamo per bene, perché ai nostri bei tempi furono gli ospitali dei nostri cuori giovani e pieni di entusiasmo. Ho sotto ai miei occhi la città che mi è cara, la tua e mia città, che attende la liberazione, ahi ! troppo lungamente agognata. Quando vi entrerò pazzo di gioia? Quando sventolerò sul nostro S. Marco il bel tricolore italiano? Io prego ogni giorno Iddio che affretti il giorno desiderato e che mi faccia rientrare in città, vivo o morto, ma più italiano che mai. Prega anche tu così, che è un'opera buona, perchè Iddio è pure il Signore di giustizia degli uomini e delle nazioni. Addio, Gino. Se avessi da cadere, prega e fa pregare per me...
CARLO LARGHI NATO A SIENA IL L FEBBRAIO 1895 STUDENTE S. TENENTE DI COMPLEMENTO NELL'ARMA DI FANTERIA CADUTO IL 12 MAGGIO 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
20 gennaio 1916
AMATISSIMA MAMMA, Che dolce nome è quello di mamma! Ricordo di aver letto molto tempo fa che nel pronunziare questo nome così bello e così sublime, le labbra si chiudono due volte come se si dessero due baci. E' per questo che io preferisco chiamarti col nome angelico di mamma, anzichè col nome di madre. Infatti chiamandoti mamma sono sottintesi due baci caldi ed affettuosi, mentre se ti chiamo madre un, solo bacio ti mando. Ed è proprio così sai? Resto quasi umiliato quando l’angolo della cartolina in franchigia non mi permette di chiamarti con questo nome sublime: ma conosci mamma, hai compreso tu il grande, l’immenso bene che ti porta il figlio? Credo di si; ma non intimamente, non del tutto perché neppure io lo so; neppure io so rendermi ragionevole del come sia nato nell' anima mia tanto amore per te che mi hai allevato con il tuo sangue e con, sacrifizi inauditi e giammai ricompensati. Ti dico solo questo. A nessuna creatura mai porterò l’affetto potente che porto a te. La tua felicità futura, la tua vecchiaia tranquilla sono il mio ideale, tu sei l’ara dove sacrificherò il sacrifizio di tutta la mia vita. Io prego Dio solo per rivedere te, per trascorrere il resto della vita santificata dal dovere vicino a te e per te scusa, mamma amata, se ti ho commosso. Non ti allarmare però, stai tranquilla e sii certa che ora sto meglio. Stringi in un lungo amplesso Maria e Gino e ricoprili di lunghi baci da parte mia. A te tutto il mio bene ancora t'invio con tutti i miei migliori baci. Tuo figlio CARLO
DOMENICO GIBILLINI NATO A GAMBARA (BRESCIA) S. TENENTE DI COMPLEMENTO DELL' 80° REGGIMENTO FANTERIA MORTO IL 24 MAGGIO 1916 IN SEGUITO A FERITA.
29 ottobre 1915
AGLI ZII: Ora che ho un po' di tempo scrivo a tutti. Dopo dodici giorni di continue battaglie che non sminuirono, anzi accrebbero l’entusiasmo, la fede nella vittoria, la fiducia mia nei miei capi, nei miei fratelli d'armi, dalla terra redenta dal nostro valore sono ritornato all’antico confine d'Italia; sono però ancora sotto il cannone nemico. Qui sono riuniti gli allievi ufficiali di tre reggimenti per finire il corso. Bello, sublime é il combattere per l’Italia nostra adorata. Sfidai la morte Con la fede in Dio e coi pensiero rivolto a voi, miei cari e ritornai incolume. La sera dell'assalto generale fu memorabile. Tutti ci facemmo la barba, ci lucidammo le scarpe, si cantò sotto voce gli inni nazionali; si ballò; ricevemmo l'assoluzione dal cappellano dritto sulla trincea; ci baciammo tutti Commossi. Furono istanti di commozione ineffabile, mai provata, mai pensata. Il grido di Savoia, che nella notte oscura risuonò fra quelle balze, portando il 160' verso la gloria rimarrà indimenticabile nei nostri cuori: Siamo impazienti di ritornare ai fuoco; ci sentiamo più forti, più grandi...
SPAGNOLETTI GIUSEPPE NATO A LANATE POZZOLO (GALLARATE) IL 16 MAGGIO 1896 (ORIUNDO TRENTINO) STUDENTE LICENZIATO DAL R. LICEO GINNASIO G. F. PORPOTTO DI PINEROLO . SOLDATO NEL 1° REGGIMENTO ARTIGLIERIA DA CAMPAGNA CADUTO A MALGA ZUGNA VAL LAGARINA (TRENTINO) IL 25 MAGGIO 1916.
24 maggio 1916
Alla vigilia della morte, appena giunto in linea. CARISSIMA MAMMA E DILETTA SORELLA, Eccomi adunque anch'io finalmente in guerra, proprio in guerra davvero. Prima di parlarvi delle impressioni finora avute vi dirò una cosa che certo vi farà piacere, come a me fece. Ed eccola Sapete che eravamo (almeno ciò dicevano i superiori) destinati al Cadore. Ora proprio all'ultimo momento, mentre già eravamo in viaggio, ecco arriva un contrordine per il quale dobbiamo mutar itinerario, recandoci in Trentino, e precisamente... indovinate? in Val Lagarina. Facilmente potrete immaginare il senso grande di gioia che provai quando il Sig. Capitano durante la fermata a Brescia, mi comunicò personalmente (forse per la qualità di oriundo trentino) la notizia del contrordine. Se nel Cadore avrei combattuto per il Dovere e per amor di Patria, ora qui proprio Della terra dei miei genitori e dei miei cari combatto e combatterò Con entusiasmo. Sembra proprio che Iddio, mandandomi in questi luoghi, abbia voluto esaudire il mio vecchio sogno, quello di contribuire io pure direttamente, benchè in minima parte, a redimere il mio caro e dolce Trentino, la Patria tante volte sospirata e pianta dai miei genitori...
GIUSEPPE PAGANONI NATO A SARONNO IL 17 GENNAIO 1890 AVVOCATO S. TENENTE MITRAGLIERE NELL' ARMA DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SULL' ALTOPIANO DI ASIAGO IL 27 MAGGIO 1916
Rovigo, 8 novembre 1915
Chiamato a difendere la Patria, minacciata, ai suoi confini dal secolare nemico, nell'eventualità di perdere la vita, adempiendo a questo altissimo e nobilissimo dovere, ho creduto bene di dettare su questo foglio, che affido a mia madre, le ultimi volontà testamentarie. Ma innanzi tutto sento imperioso il bisogno di elevare la mente a Dio, per dargli pubbliche grazie dei copiosi benefizi elargitimi in vita, fra cui principale il dono della Fede Cattolica Apostolica Romana, che sempre ho professato e dichiaro pur ora di confessare, o per domandargli pure perdono dei numerosi falli, in espiazione dei quali offro volenteroso sacrificio della vita. Non dubito che la Provvidenza Divina, che tutto dispone sa il bene delle creature umane, concederà alla mia famiglia tutta la rassegnazione per sopportare la presente sventura. E quindi, ancor sano di mente e di corpo, dispongo che di tutti i miei beni, sì mobili che immobili, e di qualsivoglia provenienza, sia erede universale l'adoratissima mia madre, lasciandola arbitra di disporne come meglio le pare. Ciò faccio, in considerazione, non solo della gratitudine e dell'amore senza fine che nutro per essa, ma anche della sua provata saggezza e della sua vita intemerata. Mi permetto soltanto di esprimere il desiderio, del resto già approvato da mia madre, che la divisione futura dei miei beni... abbia da farsi applicando lo stesso criterio seguito nel testamento paterno... E dopo ciò esorto tutti i miei fratelli indistintamente a circondare nostra madre, per tutta la sua vita, dì quanto amore i loro animi ben nati sono capaci, in modo da riempire nel di lei animo il vuoto terribile che la mia morte sarà, per arrecarle. Addio, amatissima ed adoratissima madre, luce delle mie pupille la tua benedizione è sicuro pegno del tuo perdono per tutte le lagrime versate per colpa mia. Non piangere la mia morte, ma fattene un, serto di gloria! Addio per sempre, miei, carissimi fratelli, Assunta, Adele, Felice che il vostro avvenire sia fiorito di rose, ma conservatevi sempre buoni e savi, e soprattutto pregate per me, prima, di riunirei tutti in cielo. Addio! Addio! Addio!
ARMANDO MISTANO NATO A S. GIULIANO (PISA) S. TENENTE DEI BERSAGLIERI CADUTO COMBATTENDO SULL' ALTOPIANO DI ASIAGO IL 4 GIUGNO 1916
Giurai di essere fedele al Re e alla Patria. Giurai con l’animo ed il mio giuramento fu sincero. Sento in me l’intima sicurezza di compiere tutto ciò che mi sarà possibile; sento che sacrificherò volentieri la mia vita per la grandezza della Patria. Pochi giorni mancano alla lotta cruenta. Quanto più questo giorno si avvicina più coraggio ed entusiasmo s'infondono nell'anima mia.
JACOPO NOVARO NATO AD ONEGLIA IL 16 AGOSTO 1896 ASP. UFF. DI COMPLEM. NEL BATTAGLIONE ALPINI ZACCARELLO CADUTO COMBATTENDO SUL TRENTINO NEL GIUGNO 1916. DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO E MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
20 aprile 1916
MIEI CARISSIMI, Sono in un punto isolato come quasi tutti da queste parti. Ho una cinquantina d'uomini con me. Una metà è impiegata in servizio di vedetta, altra metà lavora. E da lavorare ce n'è e molto. Di compiuto ci sono le strade, i ricoveri per corpi di guardia e le garitte per le vedette, ma una linea di difesa, non esiste. E' vero che le nostre posizioni sono eccellenti, ma non, basta. Si era fatto poco sin' ora perchè da un momento all'altro s'aspettava d’avanzare. Ma l’avanzata o no, da due giorni ci siamo messi di buona Iena a distendere reticoli nel bosco, far pezzi di trincea in pietra, tronchi d' albero legati con fil di ferro, ecc. vicino alle garitte, piccoli ripari dietro a massi per le artiglierie, ecc. in seguito il lavoro verrà limato e perfezionato instancabilmente. E tutto questo interessa non solo me, che provo già il compiacimento di vedere sorgere poco a poco ben costruito il muro: interessa anche i soldati i quali se non sovraccaricati si divertono anche loro nello sforzo come bambini. Sono tutti bravi ragazzi. Ho un sergente con me col quale faccio una partita a carte dopo cena o al domino. Ieri sera ho preso anche due caporali e il bridge ha subito attecchito. Una notte per uno io e il sergente si va ad ispezionare le vedette parecchie volte. L' altra sera saranno state le undici quando uscii al mio giro. Ho vissuto una di quelle ore che si chiamano uniche. Cielo purissimo. Luce di luna, infinita. Silenzio, Boschi d'abeti spruzzati di neve diritti immobili, a perdita d' occhio. Mi pareva d' essere in un paese incantato; Anima, fantasia, tutto l'essere imprigionato nella calma sconfinata, come oppresso di stupore, annichilito. Le sentinelle passeggiano severe; si soffermano, spiano di tra le piante; riprendono il loro passo grave. Lontano qualche colpo di fucile austriaco.... Ma è proprio vero che siamo in guerra? JACOPO
10 maggio 1916
CARISSIMI, Questa sera mi par d'essere di nuovo in un regno ultra terrestre. La notte è limpida come non mai. Le cime delle montagne si slanciano su su. La più vicina, cupa contro lo, luna, mi fissa con sorda imponente ostinazione. Pare che m' interroghi, curva su di me. E distese lunghe, interminabili, gibbosità bianche succedentisi le une alle altre in un fantastico accavallamento. Una pace immensa... A che penso? Non so.... Guardo, soggiogato da un silenzio possente, estatico in una distrazione sublime da cui non so levarmi. La fiamma della candela della mia cameretta mi riconduce alla realtà. E riprendo la cronaca. Oggi dunque mi vedo giungere il soldato Lepra il quale è in distaccamento al M., come in seconda linea. Ei raccontava tutto infervorato come se la passano in quel paese di cuccagna dove gli ufficiali dormono dalle 20 alle 12 successive. Coltivano l’insalata e creano giardinetti davanti alle malghe che servono da ricoveri e sono gioielli — a 1800 metri. La vera, villeggiatura alpina! Furtivamente veniva a suggerirmi cercassi di farmi cambiar di quota e passar da loro. Certo questo affettuoso interessamento mi commoveva; ma io preferisco guardare a quelli che stanno peggio, e qui mi trovo arcicontento. Ciò che piuttosto spiace si è che mutando posto ogni 15 giorni si capita magari in un luogo ove i tuoi predecessori ti han lasciato l’eredità, passiva di un ricovero alquanto malconcio con un monte di spazzatura vicino all’entrata... Tu ti affanni a ridare al tuo sito un più civile aspetto ma proprio quando arrivi al termine delle tue brave fatiche e ti accingi a godere il frutto, ecco un ordine superiore che ti sbalza altrove e così da capo. JACOPO
23 maggio 1916
Da qualche giorno temperatura quasi primaverile. La neve al sole è dileguata. La notte non è più fredda. Per esempio vi scrivo (sono le 24 1/4 ) di ritorno dal lavoro d' una trincea. Non ho in dosso cappotto ne maglione: alcuni colpi di piccone bastano a riscaldarmi. In fondo valle solito mare di nebbia dal quale emergono nere cime aguzze. C'erano tante stelle in cielo da impazzire. Steso per terra dopo lavorato, guardavo... Mi prendevano le vertigini, mi sentivo sull' orlo del precipizio! Il mistero ci avviluppa e squassa in certi momenti con una intensità e violenza tali che se ne resta oppressi e come sfiniti... Ebbi la Lettura. E fu di nuovo una fine e intima commozione rileggere la calda e limpida poesia. Essa ha un doppio merito: vi trasporta vicino a me; e ci diciamo tante cose in silenzio... Un abbraccio stretto stretto. JACOPO
31 maggio 1916
MIEI CARISSIMI Sono sicuro che saprete esser forti e tranquilli. Credo perfettamente inutile nascondervi la recentissima verità. E vostro battaglione parte fra poche ore per ignota destinazione. Stasera, a Chiusaforte conosceremo certamente dove saremo destinati. Ma dato il momento, è indubbio che ci recheremo nel Trentino. Si, andiamo a compiere il nostro dovere sacrosanto, nulla di più. Certo io vi dico una cosa: il dovere nostro non è per nulla più facile. Da voi esigo tenace ostinata fiducia e calma. Pensate che io parto contento e sereno; anzi, vi dirò: le poche ore da che è giunto l'ordine di partenza, e questo breve tempo di stretta effusione con voi, sono fra i momenti più belli della mia vita. Ogni trapasso è una sorpresa. Di botto mi sono trovato per nuove strade prima ignote, ora rivelatesi improvvisamente meravigliose di lucente bellezza. Quale nuova intima tenerissima unione quali fiotti di dolcissimo affetto mi hanno trasportato per un istante in mezzo a voi, miei cari? Era gioia o dolore? Non so. Non esiste una differenza fra l'uno e l'altra, ma io mi sentivo migliore.... Ora ritornerà il ritmo normale. Il mio equilibrio, il mio senso riflessivo e attivo della vita mi danno una serenità convinta e salda. Vi dirò un'altra cosa essenzialissima. La vostra calma non deve essere frutto di volontà, ma dev'essere fiducia ragionata e persuasa. Andiamo verso un pericolo maggiore assai, certamente, ma sempre molto relativo. Questo sappiatelo bene. E tutti si parte allegri. E ce se tiene una speranziella! JACOPO
CIRO CICCONCELLI NATO A FABRIANO IL 17 FEBBRAIO 1895 STUDENTE UNIVERSITARIO S. TENENTE DI COMPLEM. FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL TRENTINO IL 2 GIUGNO 1916.
31 maggio 1916
L'antivigilia della morte, alla fidanzata. La mia anima stasera, ha, vibrazioni strane, Nanni la mia piccola, o il pensiero di te somiglia stasera ad una dolcissima morte. Come soavemente nostalgica è la notte: ella mi ha parlato con tenerezza materna, ed io ne ho bevuto l’incanto e le ho risposto con una tenerezza riconoscente di bimbo che si sente protetto. A mille come rose nel maggio fioriscono stasera tenerezze e lagrime: lascia che io te Ie getti così ai piedi questo fascio di fiori senza contarli, fiori di festa, fiori di sepolcro! E quando questi presentimenti che io piango stasera saranno divenuti, per te, memorie, ti ricorderai, non è ero, che un giorno una gentilezza ti amò, ti elesse di sé regina, ti parlò tutto quello che una bocca mortale sa dire alla donna che ama. Spero tanto in un riposo eterno. Il solco che io lascio nella tua esistenza sia di luce o di amore, di bontà o di finezza. Ricordati di me. La fierezza di cui mi Parli sarà per te salvezza, per me cagione di compiacimento. Io vorrei ripeterti lo ultime parole di, Romeo, o mia diletta, perchè sento che qualche cosa di me muore già. Sii felice. Un bacio. CIRO, ormai dell'eternità
TEODORO CAPOCCI NATO A NAPOLI IL 26 MARZO 1894 DIPLOMATO DALLA R. SCUOLA SUPERIORE DI AGRICOLTURA DI PORTICI SOTTOTENENTE DEI GRANATIERI CADUTO COMBATTENDO A CESUNA (ALTO PIANO DI ASIAGO) IL 3 GIUGNO 1916. DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ORO E DI DUE MEDAGLIE D'ARGENTO AL V. M.
Dal diario; 28 Ottobre 1915 — Assalto a Monte Sabotino
Le emozioni tanto violente di questi giorni mi han deciso a fare una cosa che volevo faro da tanto tempo: scrivere anch’io un pò di diario, che valga a dare un pò di sfogo al mio animo e al mio cuore, specialmente ora che non ho neppure il conforto di scrivere a casa. La posta non funziona come laggiù, a Cialla o a Claujano. Io ho passato il confino cinque o sei giorni fa: ho provato un pò di tristezza, un pò di dolore di lasciare l’Italia, la mia patria, che (può darsi) potrei anche non rivedere più. Nel qual caso io sarei seppellito in terra redenta: avrei il gran dolore di lasciare nel cuore dei miei, carissimi, una ferita quasi inguaribile, Avrei la gran consolazione di morire nel mio paese; per la sicurezza e la libertà cuoi miei cari; per un avvenire glorioso dei figli dei miei fratelli. Il gran conforto d'essere uno di quelli che han dato sangue pel paese e l’ha difeso dall'eterno odiato nemico, d'essere uno di quei morti tanto belli, che i Granatieri guardano con quasi serena ammirazione, di quei morti tanto diversi dai comuni: di quei morti in un attimo di beata esaltazione: fieri, soddisfatti di morire! Io finora ho creduto che lo storico e l’autore facesse un pò il poeta che esagerasse un pò nel descrivere la gente che muore nel nome della patria. Ieri invece, quando Maset mio (il mio bravo portaordini, il mio primo granatiere che mi si è rivelato un eroe) m'ha detto, sorridendo « Signor Tenente, il plotone di d'Amico fa lo sbalzo in, avanti » ed io ho gridato, voltandomi, « mio bel plotone, avanti » mi son sorpreso a ridere: ed ero così sereno e così contento, che ad alta voce davo la cadenza alle mie quattro squadre che mi correvan dietro, affiancate, e difatti ero contentissimo: e ho pensato che morire così sarebbe stato sorprendente. Correndo mi si è attaccata la bretella, dei moschetto ad un albero, m'è scappato di mano; son tornato indietro e mi son fermato un minuto: e in un minuto quattro miagolii lunghi di pallottole, quelle brutte palle sporche di ruggine e di Dio; ed io ho avuto paura di morire così morire colpito di spalle. Ma mi soli sbrigato presto; ero così avanti che appena m'han raggiunto i primi: viiiii …. una frasca che io scostavo col moschetto ha fatto saft! e mi è caduta addosso miravano a me quei cani; perchè mi voltavo dietro e gridavo troppo: Tarmi, spaventato, me l’ha ripetuto spesso ma ho subito imparato e ho gridato ancora di più, tenendo giù la faccia e senza far più gestì. Siamo arrivati giù nel vallone spinti da una valanga di pietre: la trincea dove stemmo quel pò la prima notte, saltava giù con vari metri cubi di sassi, di roccia di terra. Ho messo al riparo il plotone in quel fondo valle; quel solco, profondo un paio dì metri, scavato nella roccia; io ci son arrivato pel primo ho saltato in, giù ed era tanto stretto che ci son entrato a perfetta tenuta lì: Per rianimarli e per distrarli «I capisquadra, facciano l’appello»; II capitano me l'ha sempre raccomandato. E li ho riordinato il plotone e sono stato ad aspettar ordini. E’ venuto Muset a dirmi di poggiare avanti, a sinistra si è passata quella stradicciola su cui grandinavano le pallottole, colle ali ai piedi: ho visto il primo morto disteso con lo braccia un pó aperte, col fucile stretto e un pezzo di carta in mano: era composto e bellissimo. L'ho guardato poco, perchè avrei avuto pena di riconoscerlo. Quando siamo giunti sotto il bosco, dopo il quarto sbalzo, e abbia pigliato un po' di fiato, il mio bravo Tamai, che non s'è mai scostato da me di due passi, m'ha detto sottovoce: «Ha visto quel morto? Maset Povero bel furlano, robusto e coraggioso! Sia pace e gloria a te! Pensare che poteva aspettare un, minuto ancora, e non scappar subito sotto quella grandine! E' stato il primo ed ultimo morto del mio plotone. In seguito ne ho visti diversi: non li ho mai guardati però, perchè ho avuto paura di perdere la mia serenità. Mentre eravamo li, sotto al bosco, le granate han cominciato ad infittire. M è venuta una gran pioggia di sassi, come preludio acconto di una che era ancora lontana: e poi . . . . quattro, quattro a due o tre minuti d'intervallo, a tre metri al massimo da noi. Tamai e tutti i granatieri vicini mi guardavano un pò accesi: se ne scoppiava una, di quelle quattro, zompavo per aria con mezzo plotone! Benedetto l’uomo che coltivò quei pezzetto di terra cedevole! se pigliavano un metro di più in qua sulla stradicciola battuta, ero fritto.
CARLO STUPARICH TRIESTINO TENENTE DEI GRANATIERI CADUTO COMBATTENDO SUL MONTE CENGIO (ALT. DI ASIAGO) NEL GIUGNO 1916 DECORATO DI MEDAGLIA D'ORO AL V. M.
2 Marzo 1916
CARA SIGNORA, Spero che il caporale dei granatieri a cui consegno la lettera gliela trasmetterà fedelmente. Dopo quell'ora di sole che le raccontavo nell'ultima cartolina è ricontinuata la pioggia pesa, il fango in ogni spazio. Tutta la nostra energia deve consumarsi nel lavoro di fortificazione. Si fa questa vita: il mattino si dormicchia a quarti d'ora, la notte si lavora senza tregua per 12 ore. Io sono tormentatore e tormentato. Se gli occhi hanno voglia di chiudersi bisogna pungersi e bastonarsi, Pungere e scuotere. Ah questi uomini! Muti e sospirano, ma le braccia si muovono, il corpo si agita nel lavoro, e nella notte fra gli scoppiettii dei fucili delle vedette, austriache e il sibilare di pallottole sperse sente continuo Iavoro dei nostri attrezzi. Tatto ciò che manca si sostituisce con tutto ciò che si trova. Sono come i muli, con la testa bassa e senza voce. Il settore dove opera il nostro reggimento comprende la fronte che dal Sabotino va circa sino a Osilavia. Poco più a destra c'è il Podgora dove è morto Scipio (Slataper) ; da certi punti lo vediamo benissimo. Il terreno è in gran parte terra fertile. Colle piogge s'è convertito in un faugaio enorme. Ci si entra fino al ginocchio. Le buche fatte dalle granate sono bagni inaspettati e maledetti. I paesi col sole dovrebbero essere magnifici. I rifornimenti, tutto il movimento (cambio d'avamposti, rancio ecc.) avviene di notte. Le notti sono di pece. Si figuri tre quattro cinque colonne che vanno per la stessa strada in sensi diversi. I riflettori battono molto e qualcosa danno di luce. Gli austriaci lanciano molti razzi luminosi, sparano tutta la notte, colpiscono a casaccio parecchi dei nostri lavoratori. L' artiglieria brontola più di giorno. ma se appena appena si ha il sentore di un attacco nemico, ecco l'inferno. Da tutte e due le parti. Ma se la nostra resistenza sarà come ora, diciamo pure con commozione e orgoglio: “ca ira”. Cara signora, anche se sono fradicio non voglio marcire e non sento di marcire. Se alla fine troveremo d'esserci ingannati, se l'Italia non riceverà per quello che ha dato, non ci rammaricheremo, ne ci pentiremo, ne sorrideremo d'aver voluta la guerra, ne degli uomini che l'hanno attuata. Mi ricordi e baci i bimbi per me. Suo dev.mo. CARLO S.
PAOLO MARCONI NATO A VERONA IL 2 AGOSTO 1895 STUDENTE NELLA R. SCUOLA DEGLI INGEGNERI DI ROMA CADUTO COMBATTENDO SUL MONTE CENGELLO (TRENTINO) IL 16 GIUGNO 1916 DECORATO CON MEDAGL DARGENTO AL V. M.
Roma, 1 novembre 1914
Roma è una cosa troppo grande per poterla apprezzare in cinque giorni. Troppo grande. Io ci venni l’anno scorso scioccamente, la girai in lungo e in largo, frugai i musei, frugai le pietre, misurai i metri delle vie e delle piazze: tutto vidi, quello che si mostra a chi corre molto anche cercai ma non trovai, non sentii nulla.. Ignoravo una cosa, ignoravo che quella che Andavo non era Roma quella che era dinnanzi ai miei occhi era una città cara ai tedeschi e agii americani, cara ai ricercatori di pezzi di statue, cara agli ammiratori di pietre. Ma la vera Roma, la grande Roma, non è scritta, su un troncone di venere o nell'interno di una barocca basilica. Fuori di la è Roma; essa è nel cielo ampio, nel sole lucido, nell' aria piena e densa, essa è nei vapori che la terra sprigiona caldi, vibranti già nel loro nascere, e nel fuoco dei mattoni rossi, o della sabbia dorata o campi ondulati; Roma è un'anima. Si può sentire, non vedere. Molti luoghi hanno un'anima. Roma è un'anima che ha il suo luogo.... Mentre io scrivo, il sole che scende in seno alla notte illumina di una luce rossa, gialla, aurea tutto il cielo ampio, cristallino; e quella luce viene fino a me illuminandomi di strana luce il volto. Tutta la stanza risuona a quel vibrare appassionato di raggi rossi e gialli e accoglie per entro le tre ampie finestre tutto il cielo, tutta l'anima dell'Urbe. Sul fondo si delinea violaceo il Gianicolo e tutta la terra fuma, in vapori canori. L'ora é grande. Solo uno squillare lontano di voci argentine che intonano le belle canzoni della Ciociaria e sereno è il cielo come ogni anima. Qui il malcontento mi sembra strano e lontano, lontano; qui mi pare che tutto sia fresco e rugiadoso, che tutto sia sincero e pieno. Qui è la forza che crea, l’energia che martella la fibra di chi possiede una fibra, l'energia che tempra l'anima al pari dell'acciaio che non si piega, che tempra ed eleva qui è la giovinezza. Ecco Roma! Non so se abbiate compreso l'animo mio attraverso queste note sgangherate e confuse. Ora nulla so dire nè di più nè di meglio. Troppo ho ancora da ascoltare e da pensare....
Da Roma, 9 dicembre 1914
Noi non vogliamo Trento e Trieste! Esse sono un pretesto ed un pretesto ed una giustificazione per gl’imbecilli. Noi vogliamo qualche cosa di piú importante e sacro. Noi non vogliamo riscattare Trento e Trieste: noi vogliamo riscattare e temprare l’Italia tutta!
Da Roma, 2 febbraio 1915
Ognuno sentiva l'impossibilità di una siffatta vita, l'assurdità del domani: «COSÌ non può assolutamente continuare». Un'angoscia indescrivibile, tal volta, s'esplicava, In una volontà strana di pianto. Talvolta, s'esplicava, in un malcontento, in un'ira, inqualificabile, in un desiderio ingiustificato di rompere, di fracassare, in un desiderio di ribellione. il tempo, maturando, portò a questa grande catastrofe: alla più grande lotta dei popoli. Questa, è l'ora dei coraggiosi e dei forti, questa è l'ora del trionfo dei lavori più degni, questa è l'ora della giovinezza, poiché dei giovani è l'età nuova che sta maturando; la nostra età, il nostro domani lo vogliamo crear noi! b i Chiunque vi si opponga non potrà non venir travolto.
Dal diario
Sien grazie a Dio che mi concesse di vivere quest'epoca grande di viverla nell'età della giovinezza. Io sento ogni mia più intima fibra vibrare oggi sonoramente in me. Io vivo l'ora dei forti, io vivo la più grande ora mondiale. Mai, mai, Dio mio, sì grande urto di popoli, mai sì spaventosa catastrofe umana, mai sì alte cataste di cadaveri, mai sì ampia tragedia. O istante che fuggi, tu sei sì grande che l'animo mio t'insegue sgomento e inquieto, come dopo l'interminabile angosciosa vigilie d i una flotte insonne. Tutta la fibra mia giovanile si scuote: tutto mi penetra la vigorosa forza del giorno che passa. E intanto il più grande fato della storia mondiale si compie: mai sì grande ora. Grazie a, Dio, che mi concesse adesso tutto il vigore dei miei vent'armi.
13 febbraio 1915
CARISSIMI Sono sceso a riposo per qualche giorno, dopo essere stato ai posti avanzati, senza chiudere occhio ne giorno ne notte. Gli austriaci ci sono a poche diecine di metri, ed è una sinfonia, ad ogni ora, da, non Si dire. Avanziamo verso una meta importantissima, ed abbiamo grande speranza di riuscire nella nostra impresa. Per questo nutro ferma certezza che riusciremo a fugarli col direttissimo. Ma la vita, che facciamo! Tra la neve in queste rigide notti di febbraio, all’adiaccio, senza ripari; spesso senza neppure li pezzetto di trincea.... Ciononostante il morale dei soldati ò elevatissimo, e si fan le fucilate con la più grande allegria. ciò che fa sempre una impressione considerevole é il fuoco dei grossi calibri d'artiglieria. Però é una cosa che può capitare a tutti, e alla quale ci si abitua, del resto, assai facilmente. Debbo chiedervi venia se non vi scrivo come vorrei. Credete I: La vita dell'ufficiale è un po' arida spiritualmente. A me spesse volte accade d'invidiare i soldati che se ne stano le lunghe ore tranquilli a contemplare il cielo e la terra silenziosi, maestosamente. E vivono la loro vita interna ascoltando se stessi, compresi di se stessi, null'altro che della, propria persona. Hanno tutta per se la loro grande anima. Noi no! Noi dobbiamo vigilare, tutto osservare, a tutto badare. Spesso manifestare severità e rigidezza, che in realtà non abbiamo. E di fronte all'incubo delle cose esterne e allo sforzo dell'interiore volontà, inchinandosi davanti al senso della, grande responsabilità, si fanno più aride le fonti della vita interiore. Questo intuendo, di ciò persuaso, io avevo rifiutato fin dal principio della guerra di entrare a Modena o a Torino, e solo a malincuore mi decisi assai tardi ad iscrivermi al corso allievi ufficiali. Mi spinse il dovere, non il desiderio. Del resto nulla è perduto quando si è giunti a tranquillizzare la propria coscienza. Tranquillizzare la propria coscienza e non conoscere pentimento, é il dovere di ogni uomo di fronte a, se stesso e di fronte alla divinità. Quando uno è in regola con la propria coscienza ha ben meritato degli uomini e di Dio. Io non sono mai stato così sereno. E questa serenità mi da la forza e l'animo di noti lasciare alcun’che d'intentato. Chi mi trascina, fatalmente, per questo sentiero continuo e diritto ch'io stesso ignoro dove alla fine conduca? Giungerò io pure ad un termine destinato. Non so se per altri lieto e desiderabile; per me certamente sereno. Sento di poter sorridere di gioia anche dinnanzi alle più temute circostante. La gioia del dovere compiuto..
Forcella di val di Regana 21 febbraio 1916
Sto progettando ton i miei soldati cose bellissime. Questi uomini sono essi solo nelle alte regioni. Togliendoli dai loro ambiente, si svalutano. Qui c’è molto freddo. Talora da non poter dormire. Qui c'è vento e tormenta. E pure non li ho mai visti così felici. II loro animo é più leggero, la loro sensibilità è più fine. Direi quasi che la grande massa di terra che abbiamo sotto i piedi é come un gran peso che sì toglie al nostro spirito. Qui si domina, qui si ha la coscienza più fiera, qui sì ha la fibra più salda. Non, vi pare sia cosa meravigliosa? Io sono felicissimo. 12 marzo Giacchè un potere ignoto ci regalò il mondo, amiamo il mondo. Giacchè ci creò atti a compiere cose grandi, amiamo la nostra forza. Giacchè ci creò molti e utili l’uno all'altro, uniamoci e amiamoci. Ma se tu disprezzerai il mondo, se avrai orrore della tua forza, se odierai o tralascerai il vicino, tu spezzerai i vincoli di necessità che legano tutte le cose, tu ti renderai degno di cose oscure, di sorprese cattive, tu farai retrocedere il cammino agli anni, forse in modo irrimediabile e veloce. Ma se uno ama gli uomini e le cose al pari delle proprie forze, se con visione nitida e coscienza sicura egli si sforza di raggiungere più lontani beni, egli dovrà attendere eventi felici. Se egli attua le migliori possibilità, che Iddio gli ha dato, se raggiunge i migliori beni che gli furono indicati, egli ha compiuto ogni suo dovere verso gli uomini, verso le cose, verso la sua coscienza, verso Iddio. Egli é degno di essere salvato. Quegli che sempre operò tendendo al suo fine, noi possiamo salvarlo. Così traendo la morale dal poema goethiano canta il coro degli angeli sollevando al cielo l’immortale di Faust. Colui che sempre operò tendendo al suo fine. Non è questa che noi facciamo opera di superuomo?
25 dicembre 1917
Nevica sempre. E lo strato bianco cresce. Ogni cosa si ricopre. Scomparvero strade, sentieri, c'è il cupo del bosco e del burrone, poi il bianco immenso che confonde terra e cielo. Oggi come ieri. Pensavamo ieri stanotte nascerà il Bambino: e la notte venne, ognuno andò a cercar col pensiero in luogo lontano la propria terra, il proprio chiuso recinto dove qualche cosa mancava. E gioì della propria mente, gioì del pensiero e del silenzio. Quando ritornò nel luogo in cui prima si trovava, già, la, picca schiantava il ghiaccio in minute schegge taglienti. Già l’occhio s' aguzzava nello scrutare attraverso l’impenetrabile grigia foschia, se ombra apparisse a turbare gli aspettanti. Allora disse tranquillo e sereno «Il Bambino non è nato stanotte». Nessuna stella aveva rischiarato la solitudine silenziosa. Nessun canto aveva accarezzato la solitudine silenziosa. Nessun fuoco l'aveva riscaldata: nessun alito rinfrancata. Disse: «Il Bambino non è nato stanotte». Poichè egli era solo, quando il pensiero ritornò nel luogo ove esso era prima, era solo. Una sola stella: il proprio sguardo che mirava lontano. Un solo canto il canto della sua anima ch'era commossa. Un solo fuoco, ed era il proprio ardore. L'alito era la bufera impetuosa. Egli era solo, il Bambino non era nato. Nella sua tranquilla serenità contemplava sé stesso. Contemplava Ia propria forza pur ritta dinanzi alla bufera. Egli era solo ma con il sorriso della convinzione con la convinzione della forza, con il sorriso della forza, scrutava già verso il vuoto abisso l'impenetrabile foschia grigia. E udiva lo schiantare sinistro del ghiaccio sotto la picca rosa. Udiva anche il vento urlare e la tempesta scrosciare. Egli era solo, con il sorriso della propria, forza. Il bambino non è nato stanotte». Nascerà, quando potrà trovare riposo l'inquietudine dell'attesa. Nascerà quando la volontà avrà trionfato dell'ignavia. Nascerà quando il diritto si sarà liberato dalle catene onde la violenza, della turpitudine l'aveva avvinto. Nascerà, quando chi più serenamente combatte avrà vinto. Gloria, eterna a chi con la forza onesta e con la nobiltà, degli intenti lotta affrettando la Resurrezione del Redentore. Gloria in eterno all’Uomo, nelle più alte Regioni.
Malene, 3 aprile 1916.
Sono ritornato ai miei monti. Vi avevo lasciato l'inverno ed ora ritornando vi ho trovato la primavera. Di primavera non vidi mai l'eguale ne mai ne ho così intimamente vissuto. Ogni giorno scopro nuovi miracoli manifestarsi o sulle zolle fumanti o entro il bosco buio, o entro le acque mormoranti, o nel cielo purissimo. Non è questo un ritorno di cosa che fu, non un ridestarsi di vita che ha riposato. Il mio cuore sente che da questi fremiti nuovi di vita, qualche cosa di non mai visto sta per ischiudersi, qualche cosa di sommo e di duraturo. E gioendo di sì gran festa, attendo il manifestarsi di questo nuovo ultimo miracolo. Si lavora, si prepara molto, e intanto il bel sole va sciogliendo l'alta neve. Allorquando fra la bianca, veste cominceranno a nereggiare le messi, quella sarà la nostra ora. Intanto, mentre si attende, conduciamo una vita di Robinson, invidiabile. Il Grigno è pieno di trote e di gamberi, i boschi ricchi di ce-droni e di uccelletti, sulle più alte rocce escono i camosci dai loro nascondigli. Si vive di caccia e di pesca. Così è ingannata la trepidazione dell'attesa. Saluti.
Monte Cengello, 6 giugno 1916.
Avanti, avanti, sempre! I sopravvenienti calpestino i corpi privi di vita dei precursori. Questo è il ponte che ci lega al domani. Io non mi sono mai sentito così come ora lietamente votato al sacrificio.
MARCELLO CHINAGLIA NATO IL 24 OTTOBRE 1866 TENENTE COLONNELLO DI FANTERIA MORTO NELL' OSPEDALE DA CAMPO N. 70 SULL' ALTIPIANO D' ASIAGO IL 16 GIUGNO 1916 A 16 GIORNI DALLA MORTE DEL FIGLIO
LEOPOLDO CHINAGLIA NATO A TORINO IL 20 SETTEMBRE 1896 DOTTORE IN SCIENZE NATURALI. TENENTE DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO AL COSTESIN (ALTOPIANO DI ASIAGO) IL 29 MAGGIO 1916
25 dicembre 1915
Lettere dei figlio alla famiglia. Ho ricevuto stamane la vostra lettera dei 21 Corrente. Essa mi ha fatto un piacere grandissimo Leggendola l’animo mio che era già con voi provò l'impressione di udire le vostre voci, Natal! Natal! Natal! Trema la nebbia sopra il frascame degli alberi, come la nostalgia, come il fumo dei focolare domestico, trema ed indugia, nell'aria. Non c' è canzone. Piove! L' animo sogna come se i pastori scendessero e la pace traboccasse dai loro cuori al canto della ciaramedda; l’anima sogna libera nel mare, perché nel cielo grigio, nell'aria, nella pioggia ogni contorno sfuma e scompare e l’orizzonte é un mare, un unico mare tenue, tenue, lucido, lucido, dal borbottio lungo come un pianto, come un sommesso sussurrare. Non è dunque il sussurrare dei cuori che trema così e si spande e picchietta e dilaga nella nebbia fino alla meta laggiù dove il sussurro che parte s' infrange e si mescola al sussurro che arriva ? Natal! Natal! Natal! Nel fosso pel campo, ho trovato oggi una scarpettina di bimbo, una piccola scarpetta, lucida, con la puntina di ottone, con la suola di legno. L'ho raccolta. Sul nostro tavolo, a mensa, penderà questa piccola scarpa, colta di fiori. Questa piccola scarpa che sa la, brevità del passo leggero del bimbo che sa l’andare verso una meta che non c'è, che sa, il saltellare per l’aia insieme alle galline ed il ritorno del fuoco ove la mamma piede e sorride, e dà più luce del fuoco. Questa piccola scarpa che mi sembrata una, voce lontana, lontana, piccina, piccina, la voce di un'eternità la, prima della nostra casa, la prima eternità sbocciata sull'ultimo virgulto. Questa piccola scarpa, per la quale ho riveduto l’aia di Nuvolera, e le galline che fuggivano e le manine che le seguivano folli nel loro desiderio, ignare nel loro moto. Chi ha lasciata nel campo la scarpetta? Un bimbo. Chi l’ha trovata? Un uomo. E' realtà ed è sogno, io mi terrò il puntale lucido, e lo porterò con me. Ed ora lascio, ho voluto che la mia parola scritta partisse oggi per cercarvi. Ma il mio pensiero già da molto tempo è venuto a tirare tre volte il campanello ed a sedersi con voi, Vi ha guardato molto, vi ha ascoltato molto, vi ha anche parlato, Certo voi l’avrete sentito perchè esso ha raccolto le vostre risposte.
19 dicembre 1915
Ad un'amica, Ho rischiato una mezz'oretta fa di restare schiacciato come un topo da un gravatone regalatoci dai signori vis-à-vis. Ma le mie notizie sono sempre ottime; sto bene di corpo e di spirito. Ella invidia questa vita che noi viviamo qui. Certo, se tornerò, io sentirò l’eco di questi giorni ripetersi nel ricordo come quello dei giorni più buoni e più alti di tutta la, mia vita. Più che partecipi siamo ora spettatori della guerra. A noi non giungono che le briciole di battaglia poichè siamo in periodo di riposo. Lavoriamo di notte (per non essere scorti dal nemico) e quando la nottata è chiara, piena di luna, come avviene qualche volta, ma purtroppo di rado, io sogno. Sono sogni bianchi e luminosi come il bagno della luna. Le persone care sono tutte presenti, poichè per gli affetti la lontananza è doppia vicinanza. Un tepore, un profumo di gentilezza sembra scendere e dilagare nella chiarità della notte, e l’anima abituata alla visione grande e violenta, quasi quotidiana, riprende la sua abitudine vecchia di sognatrice melanconica e misantropa. Però ciò è bene perchè dopo il risveglio resta nello spirito qualcosa di intimo e di caro che è dolce da portare. Ella pensa al mio ritorno od ai racconti che potrò fare di quanto ho veduto. Ho paura che sarà una delusione. Non è facile raccontare, anzi è impossibile raccontare. Sono troppo grandi cose. Si può parlare della quotidiana asprezza della vita, (lei pericoli scampati, degli entusiasmi sentiti, delle privazioni subite e di tutte queste piccole cose che sono immaginabili anche a distanza, ma non si può dare una idea di quello che passa qui, sopra ogni realtà; è un soffio, non è una voce, è uno spirito, non è una parola, è un immagine non una forma. Non si può dare un'idea di questa ondata immensa in cui l’anima si trova sospesa ad ora, ad ora, l'anima priva di fiato e di cuore per un istante quando è sul culmine, e tutta fiato, tutta palpito di cuore quando l’onda l’ha riportata in basso. No, il racconto sarà monco forzatamente....LEOPOLDO
Lettera del padre al figlio Alessandro. Venendo qui mi incontrai con reparti del 155 ai quali io ora do il cambio. Da un ufficiale seppi che il 21 o 22 maggio il 155 e il 156 ebbero un'azione nel territorio d’Asiago. Vi erano giunti in camion ed erano stati subito avviati in posizione, ma per cause che non conosco, ne sarebbe il caso ora di ricercare per ovvie ragioni, la brigata subì gravi perdite e pare siano stati fatti molti prigionieri perché si trovarono circondati. Ecco la ragione del silenzio di Poldo. Ormai non gli scriverò più, son certo che le mie lettere non gli arrivano. Naturalmente io mi auguro che sia prigioniero se fosse in un ospedale ferito ormai lo si saprebbe perchè in qualche modo egli Io avrebbe fatto sapere a te e a me, pur ammettendo che lo volesse nascondere alla mamma per non turbarla. Ma è con la morte nel cuore che appresi la notizia datami da quell' ufficiale del 155 ed è con l'animo straziato dall' orrendo dubbio che il nostro Poldo sia caduto che ti scrivo. Non diciamo nulla alla mamma, caso mai quando essa, come spero, sarà con te per le vacanze di Riri, comincia con riguardo a darle piano notizie dell'avvenimento, avvertendola che sino a quando non si ha sicura notizia che sia caduto non si devo disperare. Scrivo tutto questo a te, sia per bisogno di sfogo, sia per metterti al corrente di quanto so, affinché tu prepari la mamma come sopra ho detto; a te questo riuscirà piú facile che non a me, io non ho ne la tranquillità né il modo di scrivere lettere serie e studiate e come dovrebbe essere quella alla mamma por dirle quanto dico a te. Ne convieni? Potrei scrivere o telegrafare al comando del 156 e chiedere notizie ma ti confesso che non ne ho il coraggio, pur comprendendo da questa incertezza si dovrà uscirne. Ho l’animo profondamente desolato. Non so quando questa mia ti giungerà né so quando potrò aver risposta. Se tu desiderassi non rimanere nell' incertezza e volessi assicurarti, cioè, se tu intendessi scrivere direttamente al 156, fallo. Potrai dire che essendo io in prima linea e quindi molto impegnato e che volendo tu risparmiare a me il dolore di aver bruscamente una no-tizia così gravemente dolorosa in un momento in cui io ho gravi pensieri, scrivi tu e chiedi notizie del fratello, il quale dal 19 maggio non dà più nuove dì se malgrado i ripetuti solleciti pervenuti da tutte le parti della, famiglia, cosa tanto più preoccupante inquantochè egli fu sempre solerte a scrivere a tutti i membri della famiglia e assai spesso. Arrivederci caro Sandro sono desolato; questa mancanza di notizie di Poldo, l'incertezza della sua sorte, aggiunta al logorio sino ad ora avuto, mi prostra; eppure cercherò di tenere sempre alto il morale e di compiere nel miglior modo il mio dovere. Ti saluto con affetto e ti auguro ogni bene.
UGO MALAGOLI NATO A VITERBO STUDENTE IN LEGGE NELL' UNIVERSITÀ DI PISA S. TEN. DI COMPLEM. DEL 9° BERSAGLIERI CADUTO IN COMBATTIMENTO SULL' ALTIPIANO DI ASIAGO IL 16 LUGLIO 1916
Zona di Guerra, 17 aprile 1916
Alla fidanzata Dopo la neve il sole. Ieri era una magnificenza. Pare che il sole sia l'unica creatura buona, l'unico che fa bene, che riscalda anche il cuore e l’anima. Questa notte non sì dorme. I signori austriaci pare, abbiano intenzione di attaccarci. I miei uomini sono pronti, giberne, il loro fucile e tascapane pieno di Cartucce. Ora essi riposano, io vigilo insieme alle vedette, so qual è la mia responsabilità, quali sono i miei doveri, la mia missione e se verranno ci troveranno desti e pronti per riceverli come meritano. Ho una calma e una fiducia, immensa se mai tutto andrà bene. Quanto, quanto durerà ancora questa vita di veglia continua? quanto l’agguato infame della notte? La malvagità del nemico ha fatto della guerra una lotta d’agguato, d’insidia, di sorpresa, in cui l’uomo lavora nelle tenebre, sotto terra..., nascosto, ed ogni animo leale sente tutta la basezza di simile sistema. Te lo ripeto, Penelope, tu sai che la paura non la conosco e i miei bersaglieri i non mi hanno visto mai chinar la testa sotto il fischio delle granate a n oi dirette. Lo posso dire a fronte alta... e ci tengo. Stando faccia a faccia con la morte questa, non spaventa più. Anzi, è nei momenti della più vera disperazione, che essa viene a confortarti come una buona amica, apportatrice di pene, di pace che non finirà mal... mai! Ti fo piangere? Perdonami son momenti estrema zione pensando a voi cari. Stasera dico evo ai miei bersaglieri facciamo attenzione figliuoli, stasera è buio; non siamo più nel Rombon che li avevamo sopra, ora son sotto di noi e se vengano daremo loro la paga! Vederli Contenti, allegri, e tranquilli la mia felicità.
ENRICO PIETRO PAOLO GHYMMY NATO A TORTONA IL 6 OTTOBRE 1895 LICENZIATO DAL GINNASIO DI TORTONA NEL LUGLIO 1920 TENENTE NEL 135° REGGIMENTO FANTERIA MORTO IL 22 LUGLIO 1916 IN SEGUITO A FERITE RIPORTATE IN COMBATTIMENTO SULL’ ALTIPIANO DI ASIAGO DECORATO DI MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
Dal di là dell'Isonzo, Plava, 16 giugno 1915
CARISSIMA ANGELINA, Si sale il monte e si fa molta fatica; ma porto la bandiera...! la, cara bandiera del mio bel reggimento... i Se si andrà all’assalto la sventolerò e la pianterò sul monte: se cadrò, cadrò rivolto in essa e pur nella morte (dolce) Ia stringerò con le dita rattrappite. Sono molto felice. Evviva... evviva! Tralascio, poichè dopo breve sosta, si ricomincia a salire il monto con le braccia e con i piedi e il bosco è in Addio, baci, baci, baci, a tutti, dopo l'azione avrete mie notizie. Vostro ENRICO
16 giugno 1916
Il nemico insiste nella sua offensiva, il cannone romba vicino... domani forse sarà la nostra! e noi sapremo andare di nuovo al sacrificio, ora come nel passato, come sempre. Ieri è stata la volta del 43° e M. Lemerle! Ha fatto pazzie !... non poteva del resto far altro. . . ! Era sempre il vecchio 43° il 43° Plava di cui oggi ricorre il fatidico anniversario: era quel 430 padre dei Garibaldini del S. Mi-chele ... Le baionette hanno lavorato per due giorni nella pineta, è stato citato all' ordine del giorno dal comando supremo... ! Nulla però ancora ho potuto sapere dei molti nostri amici e di Enrico... Un saluto affettuoso ed un bacione. Tuo ENRICO
VINCENZO FRANCAVILLA NATO A SAN FERDINANDO DI PUGLIA IL 29 NOVEMBRE 1887 CADUTO COMBATTENDO SUL SAN MICHELE IL 7 AGOSTO 1916 DECORATO DI MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Zona di guerra, 4 Agosto 1916
CARE, ....Non saprei descrivervi l'entusiasmo che ferve fra questi giovanotti. Sapremo e potremo condurli dove vorremo, perla Vittoria. Non vi parlo di me. Respiro la pienezza della felicità. La salute continua perfetta, nonostante, le dure prove di questi ultimi giorni e Sempre meglio andrà, perchè così voglio. Sempre evviva! Scrivo a casa — a tutti. Abbracci cari. Viciè
Zona di guerra 4 Agosto 1916
Al padre Papà carissimo, la sosta annunciatavi dalla mia, precedente, é stata piú breve che io non supponessi: infatti ci sposteremo definitivamente in avanti domattina. Avete Compreso la zona dove opererà, la brigata; cercherò di precisare, compatibilmente con la censura, non appena avrò gli elementi. Occorre dirvi che sto ottimamente, nonostante le aspre prove di questi giorni? Come tutti, ufficiali e truppa, respiriamo la felicità. Vivete questi giorni con la mia perfetta tranquilla e la mia fede. Sempre evviva per un Bene superiore! Vi abbraccio tutti, con l'anima. A voi bacia le mani con devozione dì fanciullo, il vostro figlio. VINCENZINO
Alla sorella di elezione Carissima, ieri mattina trovai in fanteria un passerotto, raccolto lungo la marcia da un granatiere. Pareva famelico. A ogni approssimarsi di qualcuno apriva il beccuccio e strillava. Allora lo presi e lo portai nella mia tenda, gli costruii un nido con dell'ovatta, montato su un cavalletto; ed ora eccolo li che aspetta a tiro di becco una mosca; una di quelle sue nemiche, con le quali si azzuffa senza tregua, e che oggi - cacciate in maggior numero nella tenda per l'approssimarsi di una mezza tempesta di acqua (finalmente) - lo annoiano in modo particolare. Ho dunque un ospite, e non potete credere quanta compagnia mi faccia. Se mi sente aprire la tenda salta dal batuffolo di ovatta e mi viene incontro ad esigere il cibo, che io gli somministro sotto forma di biscotti, e dì taluni vermiciattoli che trovo tra la terra, nella tenda stessa. Mi pare così di non essere più solo, quando, chiusa la mia camera, sento intorno gravare il silenzio dell'accampamento, che ha una, sua particolare pesantezza misteriosa a quando a quando chiarita dal rombo del lontano cannone.
LEO GIULIANI NATO A BARGA STUDENTE UNIVERSITARIO VOLONTARIO DI GUERRA CADUTO NEL SETTEMBRE 1916
Dal fronte, 17 Ottobre 1915
Ricevo ora la tua lettera, E' così bella e così tua, che sento il bisogno di risponderti subito. Lascia discorrere la «rea ciurma d'ozio imbestiata in leggiadrie bastarde»: tu che hai conservata religiosamente intatta la mente e il corpo, devi saper ergerti sdegnoso contro codesti frolli pecoroni. Al primo scoppio di granata ai conigli il cuore si farà grosso e cercheranno la buca per nascondersi. Tu ed io no I Senza inutile temerarietà, col nostro solito buon umore compiremo gioiosi il nostro dovere. C' è chi raccoglie falsi allori, ma le fronde ben presto appassiscono e cadono e della testa prima incoronata non si scorge più che le orecchie conigliesche. I ganzi sciccosi lì faremo quando saremo a riposo, quassù cercheremo d'essere decenti. Se avrò l'onore di partecipare a qualche avanzata, mi vestirò meglio che posso per partecipare convenientemente certa vittoria nostra. Il 15 Novembre dovremmo averci gli esami, ma spero che se prima ci sarà un'avanzata di comportarmi — insieme coi miei buoni compagni — in modo che l'esame sia pro-forma. Abbiamo stabilito che se il nostro plotone avanzerà insieme, giunti sotto le trincee nemiche intuoneremo uno dei nostri canti preferiti: «Le forche dì Belfiore Splendono come altari, Tormentator di popoli, Sgombra il nostro suoi». Questo se è l’inno del plotone non sarà ancora compiuto. Ma ci sarà poi l'avanzata? Mistero.., Quel mio amico volontario di cui ti Parlavo ieri nella mia lettera è stato Oggi promosso caporale per meriti speciali; Ne sono contento perché lo merita.
Dal fronte, 28 Agosto 1916
Qui si sta meglio che a Pisa o a Brescia, almeno io ci trovo soddisfazione maggiore. La vita é bella quando è vissuta degnamente e qui chi ha cuore vive per il più sacro e il più morale degli quello della Patria.
24 Agosto 1916
E’ triste ma anche in punto di morte io saprei trovare in me tanta forza per gridare la mia fede, per trascinar con me nella fossa un vile Io sono orgoglioso d'aver sin ad ora mantenuti intatti i miei entusiasmi purissimi, attraverso una vita di fatica, di disagi e di pericoli. Ciò che purtroppo non è di molti. Motti bestemmiano nefandamente il nome sacro d'Italia da me, grazie a Dio, nessuno ha avuto il bene di sentirmi rinnegare la Patria e mai lo avrà. La più grande obbiezione che fanno ai tuoi ragionamenti è questa: Ma si muore. Morto io, che m'importa di Trento e di Trieste? Oh, anch'io amo la vita, ma questa vita io voglio viverla degnamente. Ed io non posso restringermi in un gretto egoismo, perchè sento grandemente la solidarietà nazionale. Non è soltanto per la conquista materiale delle irredente città che io voglio combattere, ma anche perchè io ho fede che dalla nostra guerra vittoriosa si risveglierà la virtù dinamica della nostra razza, perchè potremo realmente attendere ad una più compiuta grandezza d'Italia. Non è l'enfasi di una frase che mi esalta, ma tutto un pensiero...
GIANNASI DOMENICO NATO A FRASSINORO STUDENTE DEL 5° ANNO IN MEDICINA TENENTE DI COMPLEMENT0 DEGLI ALPINI CADUTO SULLE ALPI IL 10 SETTEMBRE, 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
Passo del Tonale, 22 Maggio 1915
Testamento. Gli avvenimenti precipitarlo. Da tutti i preparativi vedo ormai la Patria mia diletta, alla vigilia di porsi alla parte del diritto per rivendicare dal secolare nemico la terra irredente. Tutti, e specialmente noi giovani, dobbiamo stringerei intorno al tricolore con la, visione della vittoria disposti a sacrificare la nostra giovinezza per causa si nobile. Il tempo stringe: non ho tempo ne modo dì tornare ora sul mio passato, ma, dimenticando tutto me stesso, prendo posto fra i miei cari alpini, animato in questo momento dall'unico sentimento dì compiere, sino all'estremo, tutto il mio dovere. Unica preoccupazione é che non vorrei cadere, impotente, prigioniero nelle mani del nemico. Morirò avendo sempre fiducia negli uomini eminenti che ci governano, nei comandamenti, nei soldati d'Italia. Avrò solo rimpianti e dalla fossa griderò vendetta, se il sangue mio e quello di tante giovani esistenze venisse in qualsiasi modo versato invano. Non ho conseguenze di famiglia, come purtroppo tanti altri. E voi, mamma cara, tergete le vostre lagrime. Vi consoli il sapere, che in un angolo del mio portafoglio conservo la Madonnina, che mi consegnaste prima della partenza ed in fondo alla quale leggo, baciando, le belle parole da voi stessa scritte: Prima Lei poi la tua Mamma. A voi quindi con l'ultimo mio pensiero lascio tutti i miei beni, tenue compenso della vita che mi deste e che ora alla Patria sto per consacrare. Rimetto in voi la facoltà di distribuire fra i fratelli, le sorelle, Cognata, cognati, e nipoti tutti i beni stessi e specialmente gli oggetti personali miei, quale ricordo dei bei dì felici fra loro passati.
CARLO CASSAN LAUREATO IN GIURISPRUDENZA TEN. DI M. T. NEL BATTAGLIONE ALPINI MONTE SUELLO CADUTO SULL' ALPE DI COSNIAGNON (PASUBIO) NEL SETTEMBRE 1916 DECORATO DI MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
Dalle sue lettere Verso la poesia della vita o della morte, non so, certo verso la poesia, ossia la verità umana del sentimento e del pensiero». Anche le perdite dolorose si accettano volentieri perché la vittoria sia raggiunta, gloriosamente. Da troppi anni fummo vili! Italia, Italia, dolce dolorosa. Patria nostra! Tu sola Patria hai diritto di vivere! «Tutta la vita chiusa in un pugno, sintetizzata in un istante, e lanciarla 'verso la morto colla generosità di un poeta» «Bisogna essere fedeli all'idea fino al sacrificio. Essa non si enuncia si vive»
GUIDO ERCOLE MARINELLI NATO AD AGNONE IL 17 APRILE 1896 DOTTORE IN GIURISPRUDENZA LAUREATO DALLA R. UNIVERSITÀ DI NAPOLI S. TEN. DI COMPLEMENTO DEL 14° REGGIMENTO BERSAGLIERI CADUTO COMBATTENDO A COLTOROTONDO (ALPI DI FASSA) IL 3 SETTEMBRE 1916 DECORATO CON MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
10 Luglio 1916
Al Dott. Alessandro Appollonio, CARISSIMO D. ALESSANDRO, Ho ricevuto ieri la sua cartolina: grazie ed in questo grazie, Lei che seppe mantenere per me affetto e stima, ricerchi tutta la riconoscenza di un'anima satura di entusiasmo e di bollore. Sono sotto la mia tenda, mentre i miei temerari esploratori cantano: sanno che li guiderò tra giorni in una, di quelle azioni fantastiche che si basano sulla sorpresa: roba da camosci, caro amico mio. «Snidare il nemico a 2670 metri e ridiscendere ad occupare la forcella, rocciosa». Ecco il compito affidato a 100 uomini mentre altre migliaia, di uomini forzeranno il passo di... e quello di cadrà così la più grande difesa rocciosa che la natura matrigna oppone ai passi di chi santamente mira a Trento. L'azione è meravigliosa e — ad onor del vero — meravigliosamente preparata. Oggi si può dire che la nostra Italia è veramente padrona di tutti quei mezzi bellici necessari a sostenere l’impeto dei suoi baldi figli. Noi dobbiamo vincere. Ma per vincere si muore anche, e noi sappiamo morire. E, prima di continuare, è bene che le dica: sento che in questa azione lascerà al sogno d'Italia i miei sogni ed i miei anni. Non tremo e l'olocausto mi appare bello e santo. Penso solo oggi al dolore di babbo e di mamma, dei miei parenti, dei miei amici. Ma fino a questo momento, sono vivo. Ed il piombo nemico, che giunge anche su questo canalone ove siamo attendati per il riposo ed in attesa, della temeraria azione, farebbe bene a risparmiarmi. Io non lo schiverò non é mia abitudine di nascondermi. Avanti. Oh! so che il mio destino mi riserva troppi dolori, e perché si compia è necessario che io viva. Solo vivendo si soffre. Ma se il mio destino vorrà questa volta spezzarsi, Lei pensi a confortare mio padre. Dica Lei a questo santo uomo, dica Lei alla amata mamma mia, di andare orgogliosi del loro figliolo dica a tutti che la mia memoria deve essere sacra in nome del Dovere, oltre il dovere da me compiuto. Dica a tutti che mille volte ho offerto la mia gioventù al sogno di Civiltà e di Redenzione, che mille volte ho sorriso in faccia alla morte. Dica a quelli che mi amano di cogliere ogni anno le prime rose di luglio in mia memoria e quelle rose parleranno di me, diranno quanto era roseo il mio sogno, quanto profumata l'anima mia incompresa. E che nessuno pensi che io tremo in questa nuova ora di pericolo. Sorrido io, ma avranno ancora il sorriso le labbra della mamma mia del babbo mio? Un pensiero, un bacio a Lei, amico mio, e mi creda aff. ERCOLE MARINELLI
30 Agosto 1916
CARISSIMO PAPÀ, Oggi che mi è possibile, scrivo una lettera; lo faccio con grande piacere. E' la gioia di chi compie il proprio dovere nell'interezza della parola; dovere verso la famiglia, dopo aver compiuto quello verso la patria che altro aspetta e merita... in quanto alle odierne operazioni non darti pensiero. E' vero: la guerra è guerra e... non si sa mai. Possiamo anche contemplare il caso di una disgrazia. Non sarà, ma se il caso così volesse, pensa che io sarò morto da prode, compiendo il mio dovere, oltre il dovere. E' vero che il mio compito di esploratore ha i suoi rischi anche quando le truppe riposano, ma nel pericolo mi sento forte e non penso più a nulla. I superiori tutti del reggimento mi stimano, perchè mi conoscono e sanno che la mia divisa è la prima che si presenta contro il nemico. Altre giornate dure ma belle mi attendono: le affronterò con le forzi tutte dell'animo mio e con la coscienza del mio dovere. Se non mi sarà dato riabbraciarvi, pensate che il bacio ultimo vi sarà giunto sulle ali della vittoria superba, Non piangete, sarò morto da prode e cantando. Si cantando! I miei esploratori cantano anche cli fronte alla morte, e perché i gregari cantino é necessario che canti il duce. Ed io canto. Non Piangete e benedite la mia gioventù tragica e gloriosa. E' dei forti morire per la Patria. Ed io non morirò: muore Chi per nascondersi è colpito dal piombo nemico, non chi sa d'aver trascinato e di trascinare i suoi uomini contro il nemico intanato. Benedite anche i fratelli Baci, baci, baci, a tutti. Non piangete, lo voglio. ERCOLE
CARLO ACQUADERNI NATO A SASSO (BOLOGNA) IL 3 OTTOBRE 1895 STUDENTE DEL CORSO SUPERIORE DELL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI IN BOLOGNA S. TEN. DEI BOMBERDIERI CADUTO AL POZZACCHIO (VALLARSA) IL 3 SETTEMBRE 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA. D' ARGENTO AL V. M.
Da una lettera del 20 Giugno 1913, quando entrò nell'Accademia di Belle Arti di Bologna
Tra un mese comincerà mia vita artistica. Quanti problemi da risolvere, quanti apprezzamenti da, scartare, che groviglio di teorie e di metodi. Vi entra la filosofia, la fisiologia, una conoscenza profonda, nella storia dell'arte, dei costumi dei popoli. Tutto ciò però riguarda il cervello; mentre riconosco di avere una Certa base in quello che in arte si intende per sentire. Gusto le opere d'arte e forse esclusivamente quelle nelle quali non occorre alcun ragionamento, ma che sento direttamente. Provo immenso piacere negli spettacoli grandiosi della natura: le Alpi, i cieli, le nuvole, i fiori, le piante. In genere credo di prediligere il forte, il selvaggio. Fra le cose della natura che più mi piacciono, credo vi siano degli animali o quindi la perfezione di cui sono formati o governati, e la bellezza, e l'armonia che è nella forma ed in tutti gli atteggiamenti dei loro corpi. Credo di avere una maggiore disposizione nel disegnarli il che non so se sia causa o conseguenza di detta passione. Non vedo l'ora dì essermi fatto un pò padrone del disegno per poterli ritrarre direttamente dal vero o goderli o gustarli in tutte le loro bellezze. Se non voglio morire nelle fredde accademie, bisogna che continui a prendere impressioni dal vero, dal vero che più mi piace, che più amo. Là veramente, per la nuova impressione estetica con l'amore o lo studio accurato, più che dai libri, dai professori, da considerazioni su altri artisti, o da qualsiasi altro insegnamento, potrò assimilare e progredire. Il leggere libri, il penetrare opere d'arte altrui, può essere utile per molte ragioni, ma può anche molto danneggiare; la fantasia, il pensiero, l'occhio, rimangono appagati e occupati da quel che si è letto o visto e non lavorano a profitto della propria arte. Un pittore che parla, discute e non lavora, non è buon artista. Il pittore deve esprimersi con l'opera sua. Michelangelo ebbe nei suoi lavori giovanili una tempra insolita d'ingegno, e una volontà che non incontra ostacoli, né soggiace alle paure e ai tentativi, da cui suoi essere impacciato il primo cammino nell'arte.
14 Luglio 1916
CARISSIMI, Le mie notizie al solito sono buone. Non ho bisogno d' indumenti: piuttosto potreste mandarmi l'indirizzo della Principessa Castelbarco per far spedire qualche cosa ai soldati. Scrivo male perchè ho un gran freddo alle mani. Sono in una regione di sassi. Sasso compatto e sasso sfaldabile, sasso duro e sasso tenero. La gravina lo scheggia, la perforatrice lo tornia: i piedi provano delle grande amarezze. Vi sono le strade di sasso, ricoveri e muraglie di sasso. Pare di essere a Casamicciola. Di tutti questi sassi nessuno si assomiglia però a Praduro e Sasso. Vi abbraccio.
20 Luglio 1916
Ho ricevuto le vostre lettere. Al solito sto bene. Sono contento di tutti i puledri nati e nascituri, che mi incaricherò poi di ammaestrare. Mi fa ridere la domanda se combatto o non combatto. Muzio Scevola, Romolo o tutti gli altri romani antichi combattevano; noi facciamo la guerra. Per ora non ho bisogno di nulla. Non Credo disperato il Caso che Si vada realmente a riposo e che possa avere la conseguente licenza di dieci giorni, che mi spetta. Saluti a tutti gli imboscati colleghi e inferiori e superiori del Sasso e di Bologna.
17 Agosto 1916
CARISSIMI, Al solito salute ottima. Ho letto nelle biografie del rinascimento che Michelangelo sì levava le scarpe ogni due o tre anni, ed io pure, che non ho ancora dimesse le idee d'arte e voglio camminare sulle orme dei grandi, seguo il suo esempio. Ricordo con simpatia l’omino di Rimini, che va in triciclo a vendere i giornali e che urla con la sua voce fessa. Saluti a tutti, compreso il contado.
25 Agosto 1916
(Quando era già ferito a morte) Finalmente venuto a riposo: però questo riposo non è dei più piacevoli, essendo leggermente ferito ad una gamba. Non dovete angustiarvi perchè è cosa da niente. Sono per ora in un ospedale di Schio e se verrete a trovarmi mi farete un regalo vi abbraccio.
PIETRO CONFALONIERI NATO A BARZAGO (COMO) IL 30 APRILE 1895 LAUREATO IN GIURISPRUDENZA EN. DI COMPLEMENTO DEGLI ALPINI BATTAGLIONE SAN DALMAZZO DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
25 Ottobre 1915.
«...Ma subito la volontà ritorna ferma: si asciugano le lacrime e si rialza la testa quasi vergognosi del debole pianto. L'idea del dovere, l'amore per la patria, che oggi più che mai ha bisogno del nostro braccio e della nostra giovane vita ci rinfocolano l'entusiasmo e allora, più, forti di prima sì ritorna alle normali occupazioni. Io procedo ottimamente mi sono affezionato ai miei soldati in una maniera insolita, ed essi pendono dal mio labbro come da quello di un loro padre, di un, loro parente. Quanto sono buoni e meravigliosi nelle loro delicatezze d'animo! Sono animati solo dal pensiero della vita del loro tenente e già una volta fra il turbinio del combattimento mi sono sentito afferrare per le gambe da qualcuno di essi, che sorridendo mi guardò esclamando in pretto piemontese: “La prego, Signor Tenente, stia un pò curvo noi non vogliamo che Lei esponga la vita!” Che beata poesia in quelle parole tanto semplici! E' per questo che ho preso ad amarli, a curarli come fratelli ed è per questo che anche loro mi sono riconoscenti.
ANNIBALE CALINI NATO A BRESCIA SOTTOTENENTE DEGLI ALPINI CADUTO COMBATTENDO SUL PASUBIO IL 14 SETTEMBRE 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D'ARGENTO AL V.M.
(Questa lettera è stata trovata scritta a lapis in un Piglio intriso di sangue, accanto al moribondo rimasto abbandonato per un'intera notte presso le trincee nemiche del Dente del Pasubio),
CARISSIMI GENITORI, Ego dormio et cor meum vigilat Sono andato a trovare i nonni ed i fratellini. E' un viaggio lunghetto ma a me piace viaggiare; spero che Filippo ed Arosio verranno ad incontrarmi a mezza strada per insegnarmi il cammino. E' un viaggio lungo e non so quando potremo rivederci. Non vi rattristi il mio bellissimo pellegrinaggio. Mi conforto pensando che un giorno potrò farvi da guida. Che festa quel giorno! Sono contento di partire. Troppa fortuna mi aveva finora assistito: sento che orinai non avrebbe potuto più essere egualmente. E' meno che il meriggio non venga, piuttosto che sia inferiore al mattino. Benedite carissimi a questa guerra. Senza dì essa sarei forse miseramente malato di mente o di corpo. Come il fuoco essa, mi ha distrutto ma ha coronato di luce la fine, ma mi ha purificato. Credetemi non, dico vuote frasi. E' troppo tardi il momento. Siate dunque contenti ed attendete il momento della riunione con la stessa calma come quando partivo pel collegio. Desidero che quello cartelle del Prestito che ho, (detratto qualche cosa per qualche messa e qualche prete povero), e quello che eventualmente ancora mi venisse, insomma tutto quello che la Patria mi ha dato per i miei servigi, sia dato ad un'opera di educazione di fanciulli — Rossetti, per esempio, - con l'espressa condizione che nell'animo dei futuri soldati, dei futuri padri e delle future madri « sia, fino dalla più tenera età, instillata la convinzione che « dulce e decorum est pro Patria mori », onde gli uni sappiano difendere con slancio quanto si è ora conquistato con tanto sangue, con tante sofferenze morali e fisiche come non può immaginare chi non ha provato, gli altri sopportino con forte e virile animo dolorosi lutti. Vedano Renato ed Anna, quando cominceranno a comparire i numerosi piccoli nuovi cugini, se sarà possibile di dare ad ognuno di essi, quando raggiungano una certa età, un, piccolo ricordo dello zio Annibale "alpino, morto in guerra combattendo e vincendo,” Raccomando ai cugini e cugine una certa discrezione nel fabbricarli. A tutti quelli di casa, un piccolo ricordo. Carissimi genitori, mi avete sempre detto che se Dio ci alza di qualche poco dalla, comune condiziono ci impone l'obbligo di essere d'esempio. A mia volta rivolgo a voi questa considerazione a voi guarda ora tanta povera gente già colpita, guarderanno altri a cui l'avvenire riserva dolori: imparino tutti con quale animo genitori italiani anno i loro figli alla Patria. E malgrado tutto perseverate sostenere l'assoluta necessità della guerra nei suoi puri ideali o nei suoi fini materiali! mai come qui ci si convince di questa, verità; confortata dall'esempio la vostra, parola sarà persuadrice. Arrivederci; affettuosi saluti e baci a Renato ed Anna, agli zii ai cugini, ai parenti tutti. Siate orgogliosi dì aver avuto un alpino nella genis. Questa è la mia soddisfazione. ANNIBALE
ADOLFO VIRGILI NATO A SIENA IL 24 SETTEMBRE 1897 STUDENTE NELLA R. SCUOLA DEGLI INGEGNERI DI ROMA S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 42° REGGIMEMNTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO IL 23 SETTEMBRE 1916 DECORATO DELLA CROCE DI GUERRA (ENCOMIO SOLENNE)
Da Castion (Belluno) 30 Ottobre 1915
Ieri fu giornata calma, ma stamane presto è incominciata di nuovo, violentissima, l'azione delle artiglierie. Notizie più ampie di combattimenti non ve ne posso dare. Mi viene in mente un brano della Germania di Heine, in cui la madre del poeta chiedeva ai figlio, di ritorno dalla Francia, mentre questi mangiava, notizie e spiegazioni imbarazzanti. Heine rispondeva che le oche tartufate condite con limone erano squisite e che i carpioni con una certa salsa erano prelibati. Alle vostre ipotetiche domande io vi risponderò che stamane il caffè era molto buono e che vi ho aggiunto ancora dello zucchero. Il pericolo? Esiste sempre, ma nessuno ci pensa. Ci si abitua così facilmente al pericolo in guerra!
30 Marzo 1916
Mi trovo al posto avanzato di Masarè, quello stesso che io occupai il primo giorno che giunsi quassù, con trenta uomini. Nevica, tuonano di quarto d'ora ín quarto d'ora le granate austriache, eppure siamo contenti. I soldati cantano, Cantano e ridono, specialmente dopo che è arrivata una granata che non ha cagionato alcun danno. Allora io rispondo con una bomba, lanciata col mio cannoncino essa cade a centocinquanta metri di qui e ne vedo gli effetti. I soldati mangiano il rancio; uno solo è triste, perché una granata gli è andata a sbattere sulla gavetta, facendogliela in mille frantumi e gettando il rancio alla stelle. Si Consola dicendo: «Che granata affamata come i suoi padroni! Ta pum! Sparano ancora contro il mio bersagliato Masarè. Dico mio perché fui io che lo Presi, e lo dice anche Aneddu, un simpatico tenente delle mitragliatrici che mi manda una serie di stornelli E Virgilii è quella cosa Ch'è l'eroe di Masaré Or vuoi prender Dita tre Avanzando passo pass.
18 Maggio 1916.
Fu un'azione fantasmagorica. Siamo andati la notte oltre le nostre linee, contro un posto austriaco situato sopra una roccia a picco. Dovevamo conquistarlo «ad ogni costo». Siamo andati sotto le rocce. ci siamo arrampicati silenziosamente, aggrappati tenacemente colle mani, colle unghie e coi denti, fino alle sporgenze della roccia. Io, col mio plotone, per il primo. Abbiamo seguito nella notte tre assalti, senza poter raggiungere la tremenda posizione. Decisi a vincere, siamo rimasti là, fino all'alba, sotto gli austriaci, a due metri sotto di loro. Tremenda notte! I nostri feriti tacevano eroicamente per non farsi scoprire maggiormente, ed era, impossibile curarli. La luna piena illuminava quel gruppo di titani aggrappati alla roccia a picco, risoluti a vincere o a morire, tentammo disperatamente l'ultimo attacco: e fu irruente, travolgente, irresistibile. «Savoia, Savoia!» gridavamo, incitandoci a vicenda, e abbiamo conquistato la posizione nemica. Saltati come giganti nella trincea vinta, ne abbiamo fugato i difensori. Eravamo inebriati, e il sole nascente baciava quello spettacolo. Accanto a me, Cossu, un sottotenente sardo meraviglioso di ardire, sparava in piedi benchè ferito; un soldato si slancia epicamente da solo, di corsa, colla baionetta innastata, contro una mitragliatrice nemica che sparava. In questo momento, una granata scoppia vicino a me, anzi addosso a me, e a tre soldati che mi circondano: i soldati sono morti tutti e tre sul colpo, senza un sospiro. Io sotto un cumulo di macerie, sono rimasto svenuto. Al posto di medicazione, dove mi hanno portato, ho ripreso la coscienza non avevo nulla, ero rimasto stordito dalle contusioni..
GUIDO LO GIUDICE NATO A PIAZZA ARMERINA SOTTOTENENTE DI FANTERIA CADUTO IN COMBATTIMENTO NELL’OTTOBRE 1916
3 agosto 1915
Oggi ho prestato giuramento e fra qualche giorno lascerò anche Cuneo per volare dove il dovere d'italiano e di soldato mi chiama. Coraggio papà, fa, di tutto perché la mamma si faccia animo e pensi il meno possibile a me. Coraggio, fate che nel momento in cui ho bisogno di tutta la serenità di spirito non venga addolorato dal pensiero che i miei genitori piangono la mia sorte. Il sacrifizio dì un popolo sia anche il sacrifizio vostro. E' rara una famiglia che in questi giorni di gloria non dia il proprio contributo alla Patria. 'Volete essere di quelle? No di certo. Che direbbe Piazza, che direste voialtri stessi se domani vi tornassi da vile, mentre tanti fratelli danno alla Patria tutti loro stessi? Se il destino vorrà risparmiarmi, babbo sarai altero di essere padre: ti farò e mi farò onore, stanne certo. Babbo, tu piangi, lo sento, ti vedo; no, non piangere, non è detta che io debba morire, no. Ci sono tanti feriti in Italia chissà che non torni ferito pur io? Babbo, ti giuro sulla sacra divisa che indosso, una cosa soltanto mi addolora: il sapere che voi, tu, Mamma gli altri soffrite per me. Dimenticatemi fate come se io non esistessi!... non so mi confondo : vorrei dire un mondo di cose, ma non ne so scegliere una: Un acuto dolore mi vela gli occhi di lacrime e mentre scrivo vi vedo, vi sento, vi tocco, vi bacio. Oh... non, reggo più!
PIETRO MAGNANI NATO A LUIGO DI ROMAGNA IL 21 AGOSTO 1895 OPERAIO SOLDATO DEL 144° REGGIMENTO DI FANTERIA MORTO IL 17 OTTOBRE 1919 PER LE FERITE RIPORTATE IN COMBATTIMENTO
29 giugno 1916
Se io non dovessi più ritornare raccomando i miei figli, vogli ad essi sia insegnato di voler bene a tutto il mondo di rispettare gli altri, specialmente i vecchi come ho sempre fatto io. A te dunque che sei la madre raccomando caldamente che i miei figli siano allevati bene. Se mi è dato di trovare la morte su questi campi di battaglia, parla spesso a loro di me, di a loro che suo padre li ha amati tanto e che se presto li ha abbandonati solo per servire la Patria... »
LUITPOLDO QUESTA NATO A CUNEO NEL 1876 MAGGIORE DEL 1° BATTAGLIONE BERSAGLIERI CICLISTI CADUTO COMBATTENDO IL 24 GENNAIO 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO E DUE DI BRONZO AL V. M.
20 Giugno 1915
Dal diario Alle 12 giunge l’ordine al battaglione di portarsi alla Stesa e di là staccare una compagnia con l’incarico di spingersi in esplorazione a Campagna, fare prigionieri tutti quelli che si trovassero, uccidere quelli che non si arrendessero ed appiccare il fuoco al paese. La mia compagnia ha questo incarico. Alle 15 inizio la marcia da Ca' Stesa e per il Cimitero Mochetta, mi dirigo a Campagna. Fatti pochi passi sono fatto subito segno da un vivo fuoco d'artiglieria: è lungo, però, e probabilmente diretto alla coda del Battaglione, sulla strada Stesa Medol. Di fatti sono feriti il Capitano Pastore della II gravemente alla testa e ad una gamba, e 7 bersaglieri della stessa Compagnia. Accelero l'andatura, e di corsa, attraverso, a sbalzi successivi, il tratto di terreno scoperto che corre fino alla strada Lucinico-Villanova ad ovest di Mocchetta. Cominciano a piovere i primi schrapnels, ma non ho nessun ferito in una breve sosta ammiro Gorizia, il ponte monumentale che la unisce alla sponda destra dell'Isonzo e poi proseguo, scendendo a precipizio una ripida scarpata, che porta al terreno sottostante. Sono Visto magnificamente da S. Andrea e dal Podgora, a distanze brevi per l'artiglieria, che mi fulmina col suo tiro preciso. Comincio ad avere qualche ferito. Continuo nella corsa i bersaglieri hanno lasciate le biciclette a Stera, per cui, liberi da ogni imbarazzo, volano co me le loro penne. Gli austriaci devono essere rimasti ammirati dalla nostra rapida e trepida avanzata. Arrivo sulla strada Podgora-Mainizza, e ordino al plotone del Tenente Camussi dì spargere petrolio sulle case di Mochetta, senza però appiccarvi fuoco, riservandomi tale operazione al ritorno da Campagna. Sotto un fuoco sempre più violento, riparo la Compagnia nel fosso che corre lungo la strada. Uno shrapnels scoppia, vicino a me e mi ferisce alla coscia sinistra, una paletta mi traversa la parte superiore della coscia e il pantalone della gamba destra. Mi guardo la ferita, dalla quale esce sangue ma non con grande abbondanza, mi tocco la gamba per sentire se nulla vi è di rotto, poi dò ordine di avanzare ancora, per toglierci da quella situazione troppo bene individuata e quindi facilmente battuta. Contemporaneamente a me viene ferito alla testa il mio caporal-maggiore di contabilità, Paradiso; ha la faccia coperta di sangue e fa pietà ciò nonostante si interessa a me e dimostra tutto il suo rincrescimento nel vedermi ferito. Fu colpito mentre era a terra, nel fossato, riparato dietro un albero. Io ero in ginocchio ed allo scoperto, per poter meglio vedere la Compagnia. Ma anche in quella posizione non potevo sostenermi a meno di aumentare senza scopo il numero delle perdite, già sensibili. L'incarico mio ero, di sostenere il plotone, nel caso ne avesse avuto bisogno, perciò io non dovevo oltre avanzare, ma retrocedere; e, ordinatamente, al passo, rifeci la strada, fermandomi ogni tanto. Il 1° plotone aveva, già iniziata l'opera di distruzione, dopo di che mi raggiunse. IL ripiegamento mio e quello del plotone fu sempre sotto un vivissimo, furioso fuoco di artiglieria, che causò altre poche perdite. Come spiace doverne subire, senza neppure vedere in faccia il nemico e senza adoperare il fucile! Nell’ultimo appostamento sono raggiunto dal Comandante del Battaglione, che mi chiede notizie dell'azione svolta. Provvedo, a raccogliere ed a far trasportare i feriti al posto di medicazione a Ca Stesa. Poveri ragazzi! Non dimenticherò mai Paradiso non voleva assolutamente lasciarmi. In questo appostamento e con un pacchetto di medicazione mi faccio fare la prima medicazione, dopo un'ora da che son ferito. Non ho tintura di iodio, così che una mezz'ora dopo, quando giunge, rifaccio la medicazione. Ogni tanto qualche shrapnel giunge ancora nelle nostre vicinanze, ma non ci colpisce; è tirato a casaccio, perché non, ci vedono più. Siamo dietro un piccolo riparo dietro una siepe. A completare l'opera di distruzione iniziata dal 1° Plotone, distacco due, altre pattuglie comandate da Ufficiali. La loro opera è certamente ardimentosa, ma il pericolo é minore, ora che l'artiglieria ha quasi cessato di sparare e poco e nulla può contro pochi uomini. Verso le 18, dopo aver ordinato ai miei uomini di ripiegare a gruppi su Stesa, per ultimo e portato da due bersaglieri e seduto sui loro fucili (ora che la ferita comincia a dolermi fortemente, anche per lo sforzo compiuto). mi avvio alla casa dove un ben triste spettacolo si presenta. I miei feriti sono la, stesi sulle barelle, in attesa, del loro turno per essere medicati. Sento le grida di Ricci al quale stanno amputando un braccio Voglio accorrere per confortarlo, ma non me lo permettono. Sorretto sempre da due bersaglieri vado a trovare gli altri. Quanto strazio Come ho sofferto nel vederli così ridotti! Paradiso dorme; è pallido. Mi siedo sotto il portico della casa, e li vedo trasportare dalla stalla alla Cucina, dove il dottore li medica. Mi passano tutti vicini, sulle barelle li saluto, sorridono. Quanta eloquenza in quel sorriso!
GIOVANNI MERLI NATO NEL 1897 S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 27° REGGIMENTO ARTIGLIERIA. CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 13 MAGGIO 1916.
Dal fronte, l’11 Novembre 1915.
La trincea è piena di ombre e di corpi informi. Cerco pensoso dì indovinare i sogni. Ritta sullo spalto, infagottata nel pastrano invernale, la vedetta ha, l'immobilità e la sagoma aspra di un masso roccioso. E forse lo é. In questa, stessa roccia carsica deve essere intagliato il suo Corpo, se né la bora nè la stanchezza lo flettono, di questa stessa roccia carsica devono essere le palpebre se la veglia lunga non può chiuderle. Per ogni dove calma. Non un rombo, non una vampa. Nessuna voce di guerra è pari a questa calma che pare in sé le addensi tutte e le prepari. Per le mille sconnessure, penetra nella mia cuccetta la Bora a danzare la sua ridda, a tramutarla in caverna dì Eolo. Porta il saluto di Trieste? Se si, sia il benvenuto, se anche mi agghiaccia, mi punge con brividi lunghi. Domattina, fra, poche ore, avrà il cambio definitivo. Ridiscendo in batteria ai miei obici mostruosi. Conosce il Pensiero del Rodin? Ne immagini la linea attraverso la concezione di uno scultore cubista ed avrà la silhouette dei miei obici. Demoni della vampa e del fragore, alacri silhouette della guerra. La guerra giova fisicamente e psicologicamente anche per la coscienza e l'ebrezza dell'utilità del rischio. Le porgo i miei ossequi e le mie scuse (senza scusa) per il mio silenzio lungo.
FERRUCCIO SALVIONI NATO A BELLINZONA IL 19 AGOSTO 1893 STUDENTE NELL'ACCADEMIA SCIENTIFICA E LETTERARIA DI MILANO S. TEN. DI COMPLEMENTO IN FANTERIA CADUTO COMBATTENDO INNANZI A GORIZIA IL 21 MAGGIO 1916.
ENRICO SALVIONI NATO A PAVIA IL 30 MAGGIO 1895 STUDENTE DEL E. POLITECNICO DI MILANO S. TEN. DI COMPLEMENTO IN FANTERIA. CADUTO SULLE TOFANE IL 12 MAGGIO 1916.
Iseo, 18 Settembre 1915
(Ad un cugino di sei anni che aveva scritto a Ferruccio di avere Visto il ritratto del Bello Ufficiale). CARO STEFANINO, Ti scrive quel bell'ufficiale che si chiama Ferruccio. Per trattenersi con te troverebbe sempre qualche pò di tempo anche fra le fatiche della guerra. E riuscirebbe sempre a mandarti qualche parola affettuosa, sebbene sia così pigro e così corto, che scrivere una lettera lo spaventa come tirar su una piramide d'Egitto. Quanto diverso da te, che, come dice la tua mamma, a far utile esercizio del tuo sapere nel ravvicinarti con la scrittura alla gente cara, trovi il tuo più grande diletto. Cresci ancora un poco, e poi dovrò venire a scuola da te. Ma ora, che è tempo felice di guerra, quel bello ufficiale che si chiama Ferruccio, è naturalmente un bellissimo sfaccendato; e sarebbe vergogna se almeno non rapisse a papà l’incarico di ringraziarti per la gentilezza che gli fai interessandoti della sua salute, e non prevenisse l’Enrico nel dirti il suo orgoglio che tu pensi sempre a lui. Anch'io penso sempre a lui che è in Cadore, su a più di duemila metri, tra montagne altissime e magnifiche, e abita in una buca che nel tempo che può si adopera a rendersi comoda e calda quanto più può, e lavora a Costruire trincee, e sente e spara il fucile e il cannone; e insomma è alla guerra. Penso a lui, Come fai anche tu, mio bravo Stefanino non con ansia (che qualunque cosa gli accada non può essere male, poi che viene da questa guerra) ma con invidia. È però un'invidia più cocente e un pò meno lieta della tua caro Stefanino. Questo bell’Ufficiale che si chiama Ferrucci, è vissuto un anno con tutto lo spirito nell'invocazione e nell'aspettazione della guerra. Finalmente l’ha vista venire, e finalmente proprio il giorno della dichiarazione di guerra è partito e credeva per a guerra ardeva tutto - Invece lo attendevano un sobborgo di Brescia, due mesi d'ozio e di lettura della guerra sui giornali, o poi un carretto sotto il quale si è andato a rompere gambe braccia e testa. E babbo e mamma sono state quasi tre settimane innanzi al loro caro sospeso tra, la vita e la, morte, poi tra la ragione e la pazzia. E ora, queste tre settimane delle quali non ricordo più nulla di nulla, le debbo rimpiangere come il mio solo tempo felice ora che sono miracolosamente rinato, che mi hanno meravigliosamente riaggiustato, che quasi mi potrei dimenticare di essere andato in pezzi ma che sono a riposo da tre mesi e poi resterò invalido, e la guerra continuerò a conoscerla, come te, dai giornali io che sono un italiano di 20 anni e per di più un bell'ufficiale... Non ti pare che ci sarebbe quasi da perdere il buon umore, se non fosse dover nostro di non lasciarci turbare la contrarietà e non fosse, questo, dovere facile per sventati come il tuo Ferruccio ? Certo tu mi intendi bene, che hai sì solo sei anni, ma pensi sempre all’Enrico che spara i cannoni, e come dici, ti piacerebbe pure uccidere un cane. Un cane da quattro gambe? Non può essere un gusto simile, in te che sei un bello e buono e assennato ragazzetto, e sei cugino di quel beli' ufficiale che si chiama Ferruccio, il quale ha per amici cari tutti gli animali, dagli elefanti alle formiche, all'infuori delle mosce soltanto; e anche queste non le maltratta a coscienza tranquilla neanche nei, momenti di furore, in te poi che di cani hai, se non altro, sempre sott'occhio quel nostro impagabile Paddy. Allora sarebbe un austriaco il cane? Sei nello stesso tempo troppo e troppo poco gentile con l’Austriaco. Troppo, perchè gli dai come titolo di spregio il nome di un animale che si è sempre in dubbio, se non sia migliore amico che un uomo; troppo poco, perchè dai all'Austriaco un titolo di spregio e lo vuoi uccidere, lo odii insomma. Ma io, del quale non c'è italiano più ardente, non odio, Austriaco. Mi contento di amare Italia. Alla quale ho invocato la guerra con tutta la passione dell'anima per mille ragioni. E tra esse é, anche, e principale, questa: che nella guerra, si soffre e si uccide, e sì è uccisi. Perché di una scuola di coraggio, di sacrificio, di costanza hanno bisogno dopo molta pace gli uomini e la nazione. E l’Italia ne aveva molto bisogno. Ma in, grazia è venuta.. Ma gli Austriaci che ci stanno di contro combattono per la disciplina o per l’amore della loro patria anch'essi. Come potrei dir loro una male parola o desiderar loro il male? Questa é la santità della guerra, nella quale gli ignoranti vedono barbarie, e questo é in essa la maggior fonte di bene; che in essa oggi, milioni dì uomini faticano e soffrono e si fanno uccidere e uccidono senza odio; ma por amore e per dovere, per amore della Patria e per dovere dì servirla a qualunque prezzo. Oh come sarei felice io delle mie ammaccature, se mi fossero toccate combattendo o se anche non mi fossero state accomodate così per bene! Oh la gioia, con la quale afferrerei la fortuna, se mi fosse stato dato ora di andarmene in guerra, pure al prezzo di tutte e due le gambe e dì tutt'e due le braccia! Ma pare che, il bell'ufficiale che si chiama Ferruccio sia quasi diventato un frate predicatore. Quanto sermoneggiare! Si contenti il bell'ufficiale, per la guerra di cui non può raccontar nulla, di congratularsi col bravo cugino che ci prende tanto interesse; e di assicurare i suoi sei anni che a vent'anni per un bravo italiano ci sarà sempre qualche cosa di interessante da fare. E cerchi poi invece il signor ufficiale di raccontare al suo Stefanino qualche cosa di interessante davvero se l'ha. Uno che passa le giornate a mangiare e bere, dormire e squadernare qualche libro, che, portato sopra un bel lago tra belle montagne se ne sta, fermo e si muove solo sul piroscafo, che cosa può dire di bello? Tutt'al più le carezze che fa, ai gatti. E se no, gli, può soltanto rinnovar parole d'affetto per lui, per la mamma, il papà, i nonni, e poi pregar lui di dire di scrivere belle cose. Tu dunque che vivi nella nostra vecchia Bellinzona, tra, tante persone che conosco e che amo, e sei affaccendato in mille giovanili occupazioni che mi interessano, tu che scrivi volentieri alle persone care, tu ti devi far vivo con me qualche volta, mi darai una gioia e potrai magari qualche volta ottenere che io nel risponderti trovi qualche cosa di meno noioso per te. Dunque addio, mio bello e buono Stefanino! Sta sano e cresci in bellezza, e in bontà, e in sapienza tanto quanto ti desidera il tuo Ferruccio, tanto da fare stupire lui stesso quando verrà il giorno desiderato che ti potrà rivedere. E così farai felice la tua mamma, quella mia cara Ada e quel papà e quei nonni ai quali vorrei appunto augurare la felicità se gli auguri avessero qualche potere e ricordare e farmi ricordare da quella cara mamma Ada. Il tuo Ferruccio
Cari 17 aprile 1916
Le vostre lettore sono state la, dolce compagnia dei miei ultimi due giorni dì trincea. La dolce compagnia insieme con gli usignoli. La notte non si dorme; ma è primavera ormai tra le frondi verdi è pieno di uccelletti; e di notte l'usignolo riempie l'aria di canto, che trova orecchie tanto più aperte e animo tanto più sensibile in chi passeggia su e giù per la trincea a sorvegliare lavori, e a non lasciare dormire vedette, a tener sveglio se stesso, e in questo alcun pò deserto si sente... Le altre distrazioni sono girare un pò quando si trova, modo, nel dedalo delle nostre linee: trincee, camminamenti, piazzuole; e uscirne di notte e magari anche di giorno, che non è difficile nè pericoloso; e di tanto tirar qualche bomba con lanciabombe; e qualche volta rivedere un legionario romano nelle trincee dei fantaccini del 1916, ponendo ad uno di questi un elmo sulla testa, una corazza sul petto e sulle spalle, nell'una mano uno scudo e nell'altra il «gladium» ch'è la sciabola baionetta. Ma la compagnia più dolce e più confortevole sono sempre il pensiero della guerra e dell'Italia, la vista di Gorizia, purtroppo in tre mesi dacchè siam qui, rimasti troppo soltanto un pensiero e una vista vicino-lontana e il pensiero di voi e la conversazione dell'anima e della penna con voi — che se poi questa conversazione riunisce voi e l’Italia, allora son desti l'animo e tutta la mente più che mai.
Cari 22 Maggio 1916
La notizia mi è stata data dal giornale o piuttosto, per addolcirmela dal mio buon capitano che sul giornale l'aveva letta prima. Per che cosa vi scrivo? Perché ho bisogno di essere, a malgrado dei chilometri di lontananza, con tutto quanto una cosa sola con voi; perchè voi avete lo stesso bisogno; perchè dovete sapere che lo so. Ma non so che dirvi che cosa ci rimane per ora fuor che piangere e se potessimo, baciarci? Quanto a consolazioni, sono troppo una cosa sola, perchè uno di noi possa aggiungere qualche cosa agli argomenti dell'altro ; e questi argomenti che sono tutta la vita del mio spirito, me li avete insegnati voi: E' morto in guerra per la Patria... Ad animo più riposato vi riscriverò e parleremo un pò più di lui neppure dico a voi di scrivermi di lui sebbene voi siate ormai tutto quello che mi rimane, e lui il bene perduto, anzi appunto per questo non posso volervi far pagare la mia consolazione in un tale discorso con lo spasimo che è per voi fermarvi a scrivere qui di quella fine... Il mio capitano si offre di fare il possibile per farmi avere una licenza per abbracciarvi. Io non debbo più avere una volontà fuor che la vostra: ma che utile venire un giorno a piangere sconsolatamente per darvi subito l'altro spasimo di vedermi ripartire? Addio. FERRUCCIO
Lettera del fratello Enrico Dall'Ampezzano (Tofane), 12 Maggio 1916
CARISSIMI, ho ricevuto anch'io qualche giorno fa un lungo letterone dal Ferruccio, il quale come me ancora non combatte ma molto lavora. Perchè anche qui le opposte parti si sono svegliate dal letargo invernale e si sgobba giorno e notte a portare avanti la linea, noi col sistema di ridotte avanzate, che ci portino fin sotto le rocce degli austriaci, questi dall'alto delle loro crode sulle quali stavano quest'inverno, con camminamenti e gallerie nella roccia a portare in giù la linea verso di noi. La notte ferve l'opera da ambe le parti, opera rumorosa, talvolta luminosa, ma preme troppo a ciascuno il proprio lavoro perchè disturbando l'avversario corra rischio di essere disturbato lui stesso! Io non vado nella mia baracchetta che la notte, anzi una notte si e l'altra no; di giorno non ci sono mai, sono sempre in giro per i boschi sul luogo del lavoro che non finisce mai. Ma ormai la stagione è bella, il clima tiepido, e chi saprebbe stare nella baracca con tanta festa della natura intorno? ENRICO
LUDOVICO ALESSANDRI NATO A BERGAMO IL 14 APRILE 1892 ISCRITTO N ELLA SCUOLA SUPERIORE DI AGRICOLTURA IN MILANO S. TEN. DI COMPLEMENTO NELL’ARMA DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 21 GIUGNO 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V.
Testamento: CARISSIMI GENITORI, Rassegnato alla Divina volontà, muoio contento di sacrificare la mia vita per la patria, che desidero sia sempre grande, forte, invincibile. Auguro che la guerra attuale abbia presto termine con la completa vittoria delle nostre armi e coll'intera soddisfazione dei giusti desideri del popolo italiano. Invoco su me la Misericordia Divina, e ben volentieri offro a Dio la vita in espiazione delle mie colpe. Mando un ultimo saluto ai miei genitori, a mio fratello, a mio nonno e a tutti coloro che mi conobbero ed ebbero la bontà di volermi bene. Mando un ultimo bacio in special modo ai miei genitori che tanto mi amarono, e tanti sacrifizi incontrarono per me, e che io così mal corrisposi. Domando perdono a loro di tutti i dispiaceri che loro causai durante la mia vita: come pure domando perdono a tutti dei cattivi esempi che posso aver dato e da tutti poi invoco una speciale preghiera per l'anima mia.
IVO STAJANOVICH TEN. DI COMPLEMENTO NEL 48° REGGIMENTO FANTERIA . CADUTO COMBATTENDO SUL SAN MICHELE IL 6 AGOSTO 1916
Ottobre 1915
Da una lettera ad un amico Anch’io sono sicuro di cadere come Tullio, lassù in faccia al nemico, compiendo il dovere più sacro, dilaniato dal fuoco più ardente colpito nella luce più viva, nella gloria della vittoria. Ai miei Genitori, se — come Micheloni — non avrò tempo di scrivere, di quel giorno che non mi piangano, ma che anzi mi esaltino, poichè una morte ed un sacrificio più belli e più santi, più utili e nobili non potevano, da vero, augurarmi. Pur comprendendo il loro dolore, dì che non voglio lagrime, ma piuttosto un continuo ed affettuoso pensiero di perdono per quello che ho fatto Loro soffrire di che mi raccomandino a Dio, che preghino molto per me. Di che mi spiace di non poter niente lasciare Loro e che solo affido Loro l'orgoglio del supremo sacrificio per la Patria, e forse, se posso, una medaglia al valore quale memoria di questo supremo olocausto per me così bello e sublime. E voi, amici e Conoscenti rivivetemi nei ricordi e nel nostro Santo Vessillo, come già ti disse il carissimo Eroe che, or è poco che abbiamo onorato.
ENRICO CAROZZI NATO A MILANO IL 15 AGOSTO 1896 RAGIONIERE S. TEN. DI COMPLEMENTO IN FANTERIA MORTO A FERRARA IL 21 AGOSTO 1916 IN SEGUITO A FERITE RIPORTATE COMBATTENDO DINNANZI GORIZIA IL 6 AGOSTO 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
Il giorno in cui fu ferito mortalmente.
CARISSIMA MAMMA, Scrivo a te, volendo così scrivere a tutti al papà, a Tina, Nino e a tutti gli altri miei cari. Poche ore mancano al combattimento; col mio plotone fra poco mi slancierò sul Podgora e poi giù sino all' Isonzo; sono sereno, calmo spero fermamente di uscire illeso o quasi; nondimeno, siccome anche una disgrazia potrebbe accadermi, voglio farti sapere che il tuo Enrico ha pensato a tutti voi anche all'ultimo: ma che il vostro pensiero non mi ha però diminuito nella ferma volontà di andare aventi, non mi ha fatto tremare il braccio. Sono sicuro della nostra vittoria e lo sono pure dei miei bravi soldati. Abbiamo molto da vendicare e non daremo tregua agli odiati che abbiamo di fronte. Passerà quindi presto, ne sono sicuro, questo ultimo periodo della nostra guerra. Questa lettera, o meglio queste righe, che il tempo affretta per scrivervi di più, non vi dovrebbe giungere che nel caso di mia morte. Sii forte mamma. Non mi avrai fatto nascere per niente; avrò servito e spero molto, al mio paese; ricordati che hai ancora la Tina e il Nino che, poveretti, anche loro cercheranno nel sostegno di voi tutti assieme la, forza, non di dimenticatemi, ma di resistere al dolore della scomparsa, ed ora, addio mamma, addio papà, Tino e Nina. Vi lascio gridando viva l’Italia vi lascio con la fede nel cuore, col pericolo rivolto a quelle belle cose che sono la casa, la patria, la, religione perchè una religione l'ho anch'io anche se non l'ho mai professata apertamente. E la mia religione è la coscienza del bene è la certezza d'una ricompensa per ciò che avrò fatto di buono. Perdonatemi i dolori che vi avrò dati da quando sono nato ed ora addio. Tuo ENRICO
LEOPOLDO AGUARI NATO A FERRARA IL 16 MARZO 1897 S. TEN. DI FANT. DELLA BRIGATA FERRARA CADUTO COMBATTENDO A S. MARTINO DEL CARSO IL 6 AGOSTO 1916
11 Febbraio 1916.
Non sono più volontario di guerra, ma volontario di morte. Mi sono offerto per compiere un'azione che mi porterà un premio, o le spalline o la morte da prode. Sono due premi entrambi belli perciò mi sono messo in questo « aut aut ». Sarò messo a capo di un piccolo reparto di volontari della morte scelto fra le truppe che dovrà dare l'esempio al grosso nelle grandi avanzate che stiamo per fare. Avanti Savoia. Viva l’Italia.
NONNO CARO, V’è per l’aria un nuovo odor di polvere: nuovi cimenti si preparano per questi baldi figli della grande Italia, ed io ne provo quasi un voluttuoso fremito. Ormai sono diventato come un morfinomane, esso non potrebbe vivere senza quei liquido che lo rovina, che lo avvicina sempre più alla tomba; io non potrei, credo lasciar di punto in bianco questo caro frastuono, questo continuo rombo dì cannone, questo crepitio di fucileria, questo Tullio di mitragliatrici... Oh ! non ch’io sia contento di questo orribile disastro che sconvolge l'Europa tutta, oh no, anzi il mio animo è straziato dai grande dolore comune ma io amo questo tramestio di frastuoni perché sono i caratteristici della guerra, perché a debbo alla guerra se ho potuto provare anch'io quella grande soddisfazione di chi Compie il proprio dovere, debbo ad essa se p andare osso colla fronte alta e dire : anch’io ho offerto il mio petto, questo petto quale scudo alla mia Italia, giacché è anche un pò mia, lo sento. Anch’io domani, se sopravviverò, se non mi sarà concesso di avere l'alto e sublime Onore dì cadere su quel campo dell'onore potrò dire, guardando quei monti: là sono salito sotto il grandinar dei proiettili, sono salito là brandendo un fucile là dove è difficile salirvi con un bastone ferrato, ma allora era un grido che ci spingeva, un grido che scuoteva fibra per fibra il cuore, un grido che alterava i sentimenti, che risvegliava gli eroi, che tramutava in leoni i conigli, in prodi i vili!... era il grido santo, quel grido esclamando il quale si muore contenti, era il grido che udito nell'ultimo strazio della vita t'acconcia le labbra al sorriso, era il grido Avanti Savoia, Avanti Italia!...
MARIO D'AULISIO CARIGLIOTA NATO AD AVELLINO IL 17 GENNAIO 1896 STUDENTE DEL R. LICEO DI LUCCA S. TEN. NEL REGGIMENTO GENIO CADUTO A SAN MARTINO DEL CARSO AGOSTO 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Scritta, prima di partecipare, volontario, ad un'azione arditissima nella quale è caduto.
CARISSIMI, La Patria ha chiesto il sacrificio della mia vita. Viva l’Italia. Tutti dobbiamo morire quaggiù; a me è toccata la gloria di morire sul campo di battaglia. Il mio unico affanno, è la sicurezza, conoscendo il vostro affetto, di procurarvi un grande dolore dopo i sacrifizi che voi avete fatto per me. Coraggio! Un giorno lontano ci ritroveremo e godremo in eterno, senza più le miserie di questo mondo. Mamma e papà carissimi, ricordatevi che avete altri figli degni, anche più di me, del vostro affetto; in essi voi troverete conforto al vostro dolore. Voi fratelli e sorelle, anziché abbattervi, procurate di consolare i nostri genitori; questo per voi deve essere un sacro dovere. E' vivissimo desiderio rimanere dove la pietà dei miei colleghi avrà seppellito, senza che venga toccata la rude semplicità della tomba innalzata dai miei bravi soldati. Desidero ardentemente che nessuno di voi porti lutto per la mia morte; assolutamente poi sarebbe rattristata la gaia spensieratezza delle sorelline con il nero funereo. Non posseggo che il libretto postale e gli oggetti di corredo tutto vi sarà esattamente inviato e ne disporrete a vostro arbitrio. Il mio attendente Vasco Fontanesi, giusta miei ordini, vi farà sapere quanto io gli possa dovere per spese fatte per mio conto se non lo facesse, richiedeteglielo voi direttamente o per mezzo de] Comandante di compagnia. Ad esso Fontanesi che mi ha servito con grande premura, vi prego d'inviargli quanto gli spetta, più una diecina di lire come mio ricordo. Addio! Addio! MARIO
CARLO ZANI NATO A CASTEL MAGGIORE SOLDATO DEL 1° REGGIMENTO GRANATIERI CADUTO NEL VALLONE DI DOBERDO' IL 19 AGOSTO 1916
Da una lettera ad Alessandro Luzio Il libro de' « Martiri » è una vera arma contro ogni basso istinto di egoismo pusillanime, e il « degno soldato » non se ne disarmerà mai, lo porterà in trincea, come anche Ella desidera e con le fulgenti figure degli strangolati sugli spalti di Belfiore ecciterà ardori nobilmente vendicatori nei, suoi compagni. Non nello zaino, che nelle imprese più audaci si abbandona, ma nel tascapane ripieno dello strettamente necessario, insieme alle munizioni da fuoco e da bocca egli terrà il libro de' «Martiri» come altrettanta munizione spirituale, che rammenti sempre quanto sangue scorra nelle vene di chi lo porta e come esso debba contenersi o versarsi. Se egli cadrà nelle mani degli austriaci, forse della stessa umanità, che nel 52, e se essi vergognantisi alla vista d'un libro, che nella intima, e candida narrazione di ignominiose sevizie picchia sodo sulle cotenne gli lasceranno ciò che terrà di più caro, allora il chierico-soldato prigioniero, accanto al Nuovo Testamento della Chiesa, sua guida inseparabile, avrà anche il Vangelo della Patria. Avrà così in pari tempo dolci conforti nella sublime visione di un S. Paolo imprigionato dai pagani, perchè colpevole di operare nella giustizia e di un Don Enrico Tazzoli, costretto a scrivere dal carcere su pezzuole insanguinate per confortare i suoi cari, mentre egli pur fra i ceppi tien viva la fiammella delle aspirazioni liberali e nazionali, vindice degli oppressi. Se poi sarà necessario che anche le sue povere 'ossa debbano essere collocate nelle salde fondamenta della, nuova Italia, vorrà dire che delle sublimi figure della santa e della patria scrittura egli si sarà reso ancora più degno... Se Dio invece gli concederà la grazia di vedere egli pure l’era novella della futura pace, allora il maggiore omaggio ch'egli potrà rendere al di Lei nome... sarà il mostrare agli amici, tra i libri della sua biblioteca non più polverosa un volume sdrucito e meno lindo degli altri, il volume dei Martiri di Belfiore, che avrà attivamente partecipato alle sante battaglie di chi lo sentì in cuore o lo diede a sentire in altri cuori, sorgenti, di nobili ispirazioni e di forti energie. E il libro veterano nelle sue macchie e scuciture, gloriose tracce della vita austera del campo, egli verrà a presentarlo al suo stesso... autore, e gli dirà: fu per questo libro che il trionfo non è mancato alla nostra dilettissima Patria. I soldati hanno cacciato il nemico: ma il libro fece i soldati. E Signore voglia che quel giorno non sia lontano.
NAZARIO SAURO NATO A CAPO D' ISTRIA IL 20 SETTEMBRE 1880 TEN. DI VASCELLO VOLONTARIO IMPICCATO DALL' AUSTRIA A POLA IL 13 AGOSTO 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ORO AL V. M.
Non posso che chiederti perdono per averti lasciato con i nostri cinque figli ancora col latte sulle labbra. So quanto dovrai lottare e Patire per portarli e conservarli sulla buona strada che li farà procedere su quella di loro padre ma non mi resta: a dir altro che io muoio contento di aver fatto soltanto il mio dovere di italiano. Siate pur felici che la mia felicità è soltanto questa che gli italiani hanno saputo e voluto fare il loro dovere. Cara consorte, insegna ai nostri figli che il padre loro fu prima italiano e poi cittadino. Tuo Nazario
Caro Nino Tu forse comprendi ed altrimenti comprenderai fra qualche anno, quale era il mio dovere d’italiano. Diedi a te, a Libero, ad Anita, a Italo, ad Albania nomi di libertà ma, non solo sulla carta questi nomi avevano bisogno di un suggello, ed il mio giuramento io l'ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi rimane la Patria che di mè farà le veci, e su questa Patria giura, o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli, quando avranno l'età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque, e prima di tutto italiani. Dà un bacio a mia mamma, che è quella che più di tutti soffriva per me. Amate vostra madre! e porta il mio saluto a mio padre. I miei baci e la mia benedizione. Papà
VITTORIO RIZZATO NATO A PADOVA IL 10 MAGGIO 1890 TEN. DI M. T. NEL 73° REGGIMENTO CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 16 SETTEMBRE 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO E CON MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
21 Giugno 1916
Alla sorella Carla La nostra vita? La migliore che si possa fare in guerra ora. Abbiamo passati giorni terribili per le ansie più che per i disagi a cui ormai siamo, temprati, col dubbio atroce che i nostri sforzi, il nostro sacrificio non bastassero. Iddio ci ha aiutati, e per fortuna anche possiamo dire di non aver avuto le gran perdite che si potevano prevedere. Abbiamo lasciato, è vero, purtroppo anche qui una parte dei nostri fratelli ma a, tutti potemmo dare onorata sepoltura, e quel sangue sia feconda di nuova italianità a queste terre... Abbiamo dono grotte, delle spelonche ampie, profonde, il tutto scavato a piccone e mina. Abbiamo anche dei veri e propri villini mascherati dietro i macigni, che noi ricopriamo colle zolle strappati ai prati e su cui crescono allegramente le primule, le carline e ciclami perchè mamma Natura, non vuoi perdere tempo, e guerra o non guerra quand'è ora di sorridere, sorride, come le allodole del mattino che ci volano sopra la testa e ci fanno sentire il loro garrito anche tra una cannonata e l’altra. Il giorno soldati riposano, la notte si esce dalle trincee, e pro-tetti dalle tenebre, si lavora. All'alba per non farsi vedere, arrivano i nostri bravi muletti, carichi, di ogni ben di Dio... Ora che ti scrivo è l'una di notte... Da mezz'ora si è levata la luna, qui non tocca ancora, ma già la conca è tutta illuminata. Così, di notte, non si vedono i guasti delle artiglierie. Sembra sempre la tranquilla borgata e mi ricorda in forma strana la notte in cui partimmo per cima... Tuo VITTORIO
23 Agosto 1916
Al fratello Sei curioso di sapere se abbiamo partecipato all'azione su Gorizia. E come? Potevano i piccoli granatieri di Lombardia mancare al grande cimento? L'ala destra della testa del ponte di G... è stato nostro obbiettivo felicemente raggiunto e sorpassato Purtroppo, cadeva da valoroso; in una necessaria avanzata, il mio ex capitano, forte figlio della Sardegna: Oggiano. Cadevano con lui, in leggendarie imprese: Tedeschi, Molinari, Abbate, Monforte, colleghi carissimi e ufficiali insostituibili. Gravemente, per fortuna non mortalmente, rimaneva ferito De-Luca, e più leggermente Serantoni, Giandolfo, Mazzini. Come vedi dei vecchi del Battaglione non restiamo che in due, il dottor Laurora ed il sottoscritto. Non ti dico quanto ciò farebbe pena se non si fosse temprato l'animo a tutte le avversità. Viva l’Italia e gloria ai suoi Martiri. I tanto abbiamo sfondato questa barriera favolosa del Carso che sembrava insormontabile e noia ti dico la voluttà con cui abbiamo' oltrepassato le poderose difese nemiche, addosso alle quali tante volte visto cadere tanti camerati... si era indarno cozzato, e davanti alle quali noi particolarmente abbiamo
CARLO GUERRAZZI NATO A CASTELFRANCO DI SOTTO (FIRENZE) STUDENTE NEL R. LICEO G GALILEI DI PISA VOLONTARIO DI GUERRA CAPORALE NEL 10° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 16 SETTEMBRE 1916.
Zona di guerra, 27 Agosto 1916
CARISSIMO BABBO, Ho appena il tempo di scriverti questa cartolina. Stasera parto verso il mio ignoto destino; non so dove vado, lo suppongo, ma non te lo posso dire. Io parto come ti immaginerai, calmo e sicuro di compiere il mio dovere. Voi non mi piangete, ma abbiate coraggio e fede come l'ho e l'avrò dinanzi al pericolo. Perdonatemi di tutto ciò che vi ho fatto soffrire e siate sempre orgogliosi di avere un figlio che si batte per la Patria. Saluti e baci a mamma. a Maria e ai parenti tutti. Abbiti per il momento i' addio del tuo aff.mo figlio CARLO
ALBERTO SUZZI NATO A CESENA IL 3 NOVEMBRE 1895 STUDENTE IN MEDICINA NELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 3° REGGIMENTO BERSAGLIERI CICLISTI CADUTOCOMBATTENDO SUL CARSO IL 16 SETTEMBRE 1916 DECORATO DI MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
Da Antignano, Luglio 1916
(Convalescente di una ferita riportata il 27 Ottobre 1915 al Col di Lana, scrive ai genitori dopo aver fatto domanda di tornare immediatamente al fronte). E voi non lamentatevi della fretta che io mostro di andare lassù, ne cercate di ritrarmi dal mio proposito. Ma siatene anzi contenti, o almeno rassegnati e tranquilli. Ad ogni modo io non recederei; perchè io penso che in questo momento di così aspra lotta sia dovere di tutti opporsi con tutte le forze del corpo e dell'animo al nemico che cerca di violare il nostro suolo e di calpestare le nostre idealità, che sono la ragione stessa di vita del popolo italiano. Eppoi tutti i miei migliori amici sono lassù a soffrire fatiche e pericoli, tutti! Ed io dovrei restarmene quaggiù a godermi il bel mare turchino e l’aria sana di questa, spiaggia tirrena? Non vi pare sia cosa impossibile? Mi sento così piccolo quando mi confronto a loro! E del resto qual morte migliore vi può essere di quella di cadere con la faccia rivolta al nemico, nel pieno vigore della vita, con l'animo e tutte le forze rivolte e protese alt' attuazione di un avvenire migliore e di nuovi e più liberi reggimenti? Non addoloratevi dunque delle mie decisioni. Non fate voi di tutto per rendermi contento? Ebbene, lasciatemi fare ciò che in questo momento io più desidero. Pensate che lo compirò con animo lieto e tranquillo, e che sono già preparato a qualsiasi difficoltà, poichè l'esperienza passata mi ha servito a qualche cosa. Io ritorno lassù con la speranza, anzi con la, quasi sicurezza di ritornare, (chissà perchè) ma se dovessi anche restarvi, siate certi che in me nessun rimpianto vi sarà mai stato. Avrò pensato a voi, a cui del resto non sarebbe certo con ciò venuto meno lo scopo della vita, poichè avete, oltre me, due figliuoli buoni, belli, intelligenti più di me che hanno ancora bisogno di molte cure, non vi pare?...
8 Settembre 1916 Da una settimana ormai sono in zona di guerra e non mi sono accorto di esservi. La ragione è questa la zona di guerra proprio ancora qui, i ora, non comincia che ai piedi delle prime brulle, le spinose colline del Carso; dove, cioè, hanno inizio i camminamenti e le trincee; i cavalli di Frisia dai fili di ferro arrugginiti e contorti ; dove parapetti di sacchetti di terra nostri ed austriaci si alzano dal suolo rossiccio e sassoso e le caverne di ricovero si inabissano oscure sotterra; dove i topi a frotte sbucano cauti, fuggono rapidi, rosicchiano, stridono ed il fetore di cadavere offende anche il naso più restio. Questa é la vera zona di guerra. Un cimitero desolato, in cui anche i pochi tratti di bosco feriti, ancor vivi, non danno alcun sollievo né alla vista, né all'animo; un cimitero i cui abitanti non sono tutti morti; ma dove le tombe sono anche per i vivi già pronte. E son tombe che loro stessi hanno costruito di propria mano, e son fatte di sacchi pieni di terriccio rosso l'un sul l'altro; di sacchi e macigni strappati col piccone alla terra. Per la maggior parte sono così. Ma come in ogni cimitero rispettabile, ci sono anche qui tombe più solide e meglio disposte, e sono questi i tratti di camminamento fatto in cimento armato. Il muro di cinta di questo cimitero non v'è, o non si vede, poichè esso è grande quanto il Carso intero e diverrà sempre più grande a mano a mano che la guerra avanzerà. Vi sono tratti di divisione fra campo e campo, ma non sono fatti da siepi, o filari di alberi sempreverdi e cipressi; bensì da grovigli e arruffii spinosi e rossicci, di filo di ferro. Croci non ve ne sono per&-1 è in certi tratti non potrebbero entrarci tutte, tanto dovrebbero essere fitte.
10 Settembre 1916 Ci fui cinque giorni fa lassù per la prima volta. Vi andai per conoscerlo finalmente questo Carso insanguinato; per conoscerlo con le Sue trincee i suoi morti e i suoi vivi; con il suo silenzio sepolcrale dei momenti di calma e i fragori infernali dei suoi bombardamenti. Son collinette basse, brulle, sassose, con tutte le particolarità e le caratteristiche che conosciamo tutti, ormai, dopo un anno di guerra, dalle descrizioni lette nei giornali. Insieme con due sottotenenti di fanteria (di Cui uno di Lugo a nome Minardi Mario) arrivai su per i camminamenti della rocca di Monfalcone, fin sulla quota 121, dove ora sono le trincee nostre di prima linea. Nel risalire i camminamenti sì provano gli stessi sentimenti quando sì visita una catacomba, o si percorrono i porticati e r viali di un cimitero silenzioso e abbandonato. Mi ricordo d'aver provato pressa poco la stessa sensazione girando le strade e i templi di Pompei. In contriamo pochissimi soldati, e, quei pochi, all'angolo di un camminamento, o sotto un ricovero, ci fanno l'effetto di custodi sacri ed immortali, messi a guardia di quegli strani monumenti, fatti di sacchetti di terra e di cemento armato, invasi dall'acqua o dai topi, rovinati e corrosi dalla pioggia e dal sole, cosparsi dei più svariati oggetti d'armamento come se dì lì fosse passata una folla di fuga, invasa da pazzo terrore. Quando, verso sera ritornammo, qualche cannonata ci passò sopra sibilando, e andò a schiantarsi sulle povere case di Monfalcone, sollevando una nube di calcinacci e di polvere. Presso la stazione, ridotta ad un fortino, imbottita com'è di sacchetti alle porte ed alle finestre, uno shrapnells scoppia improvviso a poca distanza da noi formando una nuvola rossiccia che s'innalza a poco a poco e svanisce. Istintivamente tutti e tre ci chiniamo e, passato il pericolo, ci guardiamo in faccia sor-ridendo per l'improvvisa mossa simultanea. Questa volta, credo che non avrò paura nemmeno delle granate, specialmente durante l'assalto.
GIOVANNI MATTIOLI NATO A REGGIO EMILIA IL 4 DICEMBRE 1894 STUDENTE DEL 3° ANNO DEL POLITECNICO DI BOLOGNA S. TEN. DI COMPLEMENTO DELLA 131° BATTERIA BOMBARDE CADUTO COMBATTENDO IL 5 OTTOBRE 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
21 Agosto 1916 Sul Carso la guerra è difficile. Si cammina sempre sulla roccia, tutta sdentellata e sbricciolata dalle granate, dappertutto reticolati infranti, quantità enormi di ferro, ossia schegge di proiettili e bossoli di shrapnel, camminamenti e trincee sconvolte ed abbandonate dopo l’avanzata. Alle volte si incontrano buche profonde, trasformate in ricoveri, scavate nella roccia. Vegetazione pietrosa, solo qualche cespuglio bruciato. V’erano anche degli alberi, ma sono scomparsi. Per fortuna l’acqua ai piedi della collina è buona. L’impressione che ho provato avvicinandomi alla linea del fuoco è stata curiosa. Abbiamo camminato per un pezzo senza vedere nessuno tutto era silenzio solo qualche carabiniere: più avanti qualche tana in cui erano dei soldati di fanteria che dormivano. Un poco avanti un muretto basso di sassi, e dietro dei soldati sporchi e stanchi e silenziosi accanto al loro fucile. Altri al buio di una buca aperta accanto ad una mitragliatrice. Più avanti dietro ad un mucchietto di sassi, e qualche frasca, un caporale e due soldati sdraiati a terra vigili, a baionetta inastata. Erano le vedette. Io mi aspettavo di vedere molta, gente; invece tutto è nascosto; non si vede un cannone e certo ve ne sono moltissimi vicini e lontani. L'ambiente è purificato, per la vicinanza del nemico, dalla lurida progenie degli imboscati che infestano le retrovie. Il nostro sguardo si riposa sulle uniforme lacere e sporche dei nostri soldati, sulle facce dure dalle barbe ispide sotto l'acciaio dell'elmo. Si respira nell'azzurro l'aria purissima delle più sublimi altezze. Vi mando assai malandato un ciclamino che ho colto in alto fra le rocce. Benchè non ricevo posta vi bacio con affetto.
TOMMASO GIOFFREDI NATO A SPOLETO IL 28 MARZO 1895 GIÀ STUDENTE IN RAGIONERIA DEL R. ISTITUTO TECNICO DI SPOLETO S. TEN. MITRAGLIERE DEL 142° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO A QUOTA 108 SUL CARSO IL 17 SETTEMBRE 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO E UNA DI BRONZO AL V. M.
Zona, di guerra, 3 Ottobre 1915 Cara mamma, …da questo luogo molto lontano dove io sono a difendere la Patria, il pensiero corre sempre, a te, cara Mamma, che sei l’unica al mondo che mi fa essere forte, che mi fa sopportare con rassegnazione tutte le sofferenze, tutte le fatiche che questa guerra offre. Ed il pensiero di rivederti presto mi anima e mi dà forza per tornare sano e salvo fra le tue braccia. Nei momenti più terribili del combattimento, il mio pensiero era fisso sempre a te, e la tua immagine mi si presenta ai miei occhi, mi incitava alla vittoria, e mi difendeva dalle pallottole che mi fischiavano incessantemente da tutte le parti. In quei momenti la parola Mamma è la sola che aleggia su tutte le bocche, e non vi é soldato che non abbia sulle labbra il nome della cara Mamma, lontana, che forse in quel momento prega per lui. Il ferito non si lagna, ma grida, Mamma mia, il morente esala il suo ultimo respiro invocando il nome di chi lo ha messo al mondo, perchè corra a raccogliergli l'ultimo suo anelito. L'unica parola che si oda fra il frastuono furioso delle cannonate e delle fucilate è il caro nome di Mamma. Ed anelai nei momenti più difficili e quando lo scoppio di qualche granata mi buttava al suolo e mi copriva di terra ho gridato, credendomi perduto, Mamma mia! E tu mi hai protetto sempre, perchè sempre incolume mi sono sollevato. L'amore per la Mamma maggiormente si comprende in quei momenti e quando si è lontano da lei. Se avrò la fortuna, di ritornare, sarà per me l'unica soddisfazione quella di poterti avere fra le mie braccia insieme al caro papà... Saluti a tutti e chi domanda di me. Baci infiniti a Papà e a Giulia. Ricevi tanti bacioni. Tuo aff.mo figlio TOMMASO
AUGUSTO DELL'ACQUILA NATO A ROMA IL 9 MARZO 1893 CADUTO IN COMBATTIMENTO SUL MONTE CUKLA IL 23 SETTEMBRE 1916
Dal fronte, 18 Aprile 1916
PADRE MIO, Scrivo la presente dopo un furioso bombardamento nemico, al quale ho tenuto testa con onore. Immagina dei bambini irrequieti e petulanti che vogliono parlare per ultimi. I miei cannoncini possono essere paragonati, ad essi. L'ultimo colpo son sempre loro che sparano. Ieri ho avuto un mio e bravo soldato ferito piuttosto grave da tre pallette. Non ci crederai, era sulla barella e voleva ad ogni costo ritornare a sparare. Dovetti faticare un mondo per convincerlo, in parte perché disse queste testuali parole: se non mi vuole mandare al pezzo sparare, mi tenga almeno con lei, mi curerò qui. rammenti quel caporale che venne a portarti i miei saluti? Ebbene si mise a piangere quando quel nostro compagno scendeva dall'ospedale, e tra le lacrime disse queste parole di saluto all'eroico giovane « vai tranquillo e guarisci presto, noi ti aspettiamo, e nella tua breve assenza ti vendicheremo ». con questi bravi soldati, sai dirmi come non si vinca? L’Italia può essere più che soddisfatta dei suoi figliuoli. Nessuno ostacolo, nessun pericolo essi temono. Calmi, sereni, tranquilli e sempre a fronte alta compiono gesta, direi quasi leggendarie. Auguri per la Pasqua, a tutti. Bacioni e saluti AUGUSTO
AUGUSTO ANCARANI NATO A RAVENNA IL 9 AGOSTO 1898 GIÀ ALUNNO DEL R. GINNASIO DI LUGO CAPITANO DI COMPLEMENTO DEL 116° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL SOBER L'11 OTTOBRE 1916 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
MAMMA CARISSIMA, Combattere, guidare a ripetuti assalti i nostri fieri soldati, correre e gridare in mezzo alla mitraglia, piangere di rabbia, di disperazione, di gioia, vincere, guardare dall'alto le terre ridenti e ormai redente, camminare tra morti e feriti, scendere dall'alto delle posizioni conquistate alla linea agognata, entrare da vincitori nelle vie e nelle piazze, ridotti di numero, ma pieni di orgoglio e di fierezza ; sentirei ripetere : «Avete fatto il vostro dovere» sentirei sani e forti dopo tanto pericolo, cercare invano i compagni caduti e confortarci coi superstiti, volgere lo sguardo trasognato tutto intorno e restare sorpresi di ciò che si è fatto, vedere tutto, come attraverso un sogno, riorganizzare, "Partire e ricevere ordini, lavorare, prepararci a nuove glorie pino l'animo di giusta letizia, pensare alla madre, alla famiglia, agli amici, bramosi di narrare, di espanderci, abbracciare gli amici che si incontrano la vita di vita, questi giorni indimenticabili. Ecco i più bei momenti della ecco, mamma, mia, la contenti della vittoria e della salvezza, A questo volevamo giungere, a questo siamo arrivati e giungeremo oltre, ne siamo certi. E per il momento sono pure al sicuro; perciò sii tranquilla. Immagino la pena tua di questi giorni, ma ora tutto é passato. Il destino questa volta mi è stato favorevole; ancora potrò essere utile al mio paese e speriamo con la medesima fortuna; certo sempre con, lo stesso entusiasmo. Oh quando potrò narrarti le emozioni sublimi di questi giorni? Per ora ti basti sapere che sto benone. Bacia Guido e i nonni e tu abbiti tutti i miei baci più caldi e più affettuosi. Il tuo AUGUSTO
VITTORIO LOCCHI NATO A FIGLINE VALDARNO VENTENNE S. TENENTE DI COMPLEMENTO DI FANTERIA PERITO NELL' ADRIATICO IN SEGUITO AL SILURAMENTO DELLA NAVE TRASPORTO MINAS, GENNAIO 1917
Dal poema: La Sagra di Santa Gorizia. E voliamo nel sole, anima mia! Facciamoci coraggio e, colla voce tremante della passione, cantiamo i fratelli di campo quelli che vissero, quelli che morirono, quelli che fra la morte e la vita sbiancano nei letti lontani, e in sogno delirano, credendosi ancora sul Carso e sull' Isonzo, sul Calvario e sul San Michele, nella mota rossa e nelle petraie seminate di morti che guardano il cielo, sotto la pioggia, sotto la bora, mentre sventolano i ventagli delle mitragliatrici. Ma per cantare bisogna purificarsi, bagnarsi dentro l’Isonzo, asciugarsi al sole, dimenticare ed essere tutto cuore, dalla fronte al tallone tutto amore e tutto ardore; Bisogna cantare umilmente; come quando, la sera, cantano i fratelli, ripensando la mamma, a Pradis a Villanova. Nella quindicina di riposo. Perciò, parole, Amore mio, vi scrivo come sgorgate, vi lascio come fiorite, umili e sole, senza rima e senza studio, semplici, disadorne, come la tenuta del fante sporco di fango, quando scende dalla trincea e pare una statua di terra di terra sanguigna del Carso. Chi cerca l'arte non mi sieda vicino e non mi ascolti. Non so che dico parlo vagellando vedo in sogno attorno a me le compagnie, i plotoni coll'elmetto le facce magre dei miei fratelli che sono arrivati sguazzando nei camminamenti, e parlo perchè non posso tutti abbracciarli, perchè vorrei tutti abbracciarli in silenzio e getto al loro collo le mie parole come le mie braccia Ma venne la Primavera. Scese dall' Alpi Giulie come una ragazza vestita di cielo Celeste, e sorrise a tutti. Mise la testolina tutta piena di margherite dentro tutti i ripari, dentro tutte le trincare e disse: O ragazzi, ragazzi miei con quei fieri cipigli di veterani, grandi più dei vostri babbi, guerrieri di vent'anni suona la sveglia del sole, e io discendo come la calandra, perchè si prepari per la sagra serena , la sagra di Santa Gorizia ! Ognuno si preparava. Santa Gorizia guardava e nel sole lagrimava. Aveva il viso bianco di tutte le nostre Mamme e gli occhi delle sorelle e delle innamorate. Nelle dolci serate, pareva che le stelle la venissero a incoronare, per farcela più bella, sul bianco dell'altare. Ognuno la chiamava col nome del suo amore; uno le offriva il cuore e uno il suo dolore. Tutto le si donava per poterla adorare: il gioire e il soffrire erano una ghirlanda che le si dava in dono avanti di morire. Ed il nostro soffrire fronte, sospirando un addio. Allora ognuno scattava sul gradino della trincea, ed eran grandi urli contro il nemico nascosto, e raffiche di fucileria e grandinate di bombe contro le avverse trincero, e richiami d'amore all'amata proibita, all’innamorata di tutti, custodita, dai mostri. E le notti illuni ognuno la cercava, alzandosi su i sacchi a terra, e le parlava allo scuro, indovinando il suo biancore, e le diceva « Amore, amore dolce, mi vedi ? Amore dolce, mi senti ? Quanti tormenti Ancora, quanti tormenti Prima degli sponsali ? O passione di Maggio ! Dalle trincee nemiche, dai cunicoli, dalle ridotte, che il nostro cuore ci aveva promessi fra poco, urlavano i Croati, i Bosniaci e gli Ungari, dimentichi d'essere schiavi, ingiurie e lazzi con risa oscene contro il nostro dolore tacito e vigilante. era di non poterla guardare a lungo nel viso, fissarla tutta, fatata, nei suo mesto sorriso, tra il Vippacco e l’Isonzo, tra le Giulie e il Calvario di non poterla adorare annegando i nostri occhi in un'estasi lunga, come davanti al Sacramento. Era il nostri tormento più duro questa condanna che, se allungavi la testa, di sopra la trincera, ecco pronto una palla a spezzarti l’incanto, ad abbatterti di schianto nella fossa melmosa. E quanti morivano di questo amore! Quanti suoi figli imprudenti, per la troppa passione si sporgevano dai parapetti, per guardare le loro case, dove le mamme li aspettavano, e ricadevano giù, colpiti negli occhi, colpiti in Ed alzavan cartelli con beffarde leggende di satira volgare, pesante come le loro scarpe chiodate e i loro corpi tozzi di gente ormai tedesca, fatta con l'ascia. Ma il nostro accesso cuore ancora una volta ci disse « Reggi, Italiano non abbatterti: viene il tuo giorno, che ridere potrai con più ragione. S'approssima la festa, la festa del sangue e del canto, la sagra serena di Santa Gorizia. E si sentivano lontano i primi rintocchi delle campane domenicali, salire dalla piana del Tagliamento, alla cinta delle muraglie del Carso. Tornava Pasqua di Rose, col sole rovente d'estate, annunziando la resistenza contro l'incendiario, contro il devastatore, contro l'infuriato nemico, che, non potendo vincere, desolava la terra, che non voleva arrendersi. O Passo di Buole, termopile vittoriosa Coni Zugna, Monte Pasubio. Montagne sante d' Italia, azzurre e bianche torri guardie della Patria: ognuno di noi ci vedeva in sogno, nel celeste, scavalcare l’Alpi Carniche, fiammanti lontane nel sole Come cattedrali di cristallo. E Si vedeva, in sogno, giganteggiare l'ombre dei martiri nel sereno: Cesare Battisti, nostro S. Sebastiano, Damiano Chiesa, Filzi Rismondo, gli antichi e i nuovi, i vecchi e i giovavi martiri, smaglianti nel sole come bandiere, guidando dall'alto i plotoni i reggimenti, le brigate; tutta l'immensa foresta delle nostre baionette, dallo Stelvio al Cadore, contro il nemico ignobile indegno dei nostri che disonora la guerra rubando e impiccando, pestando tutti i sacrari, col suo piede pesante di rosso rinoceronte. E la foresta di baionette riscavalcò le selle, le groppe del monti, le pareti strapiombanti degli obelischi di ghiaccio, i nevai abbaglianti corsi dalle valanghe. Come lanciata dal vento tremendo dell'Alpe, che sona le buccine dei canaloni, che scrolla i torrioni dolomitici come trinchetti, che sventola i nevai come vele, che intona tutto il rombante organo delle giocale, le sere di tormenta, quando le foreste, i baratri, le cascate, s'uniscono per suonare la sinfonia della montagna; la foresta di baionette rifece i vecchi sentieri dì greppo in greppo, di guglia, in guglia, le baionette risalirono.
ALBERTO BENVENUTO GUGLIELMOTTI NATO A CIVILIVECCHIA IL 14 AGOSTO 1896 STUDENTE NELLA R. SCUOLA PRATICA D'AGRICOLTURA DI PESCIA S. TEN. D' ARTIGLIERIA NELLA 13° BATTERIA BOMBARDE CADUTO A OPACCHIASELLA IL 20 OTTOBRE 1916 DECORATO DI DUE MEDAGLIE D'ARGENTO AL V. M.
26 Agosto 1916
ABBIAMO vinto! Gorizia è nostra! Le bandiere Italiane sventolano dai suoi balconi e sembrano rose... Non ti scrivo ma ti dirò a voce tutto quello che ricordo..: avrei voluto averti vicino per piangere insieme di consolazione... che momenti solenni ho trascorso in questi passati giorni ! Credo essere invecchiato... Ho il piacere di annunziarti il mio riposo dopo 105 giorni di trincea e di combattimento. Si dice che durerà un paio di mesi. Sto a Gradisca, ma si va indietro ancora; ti dirò dove saremo destinati.
Settembre 1916
Ti scrivo da Arcade, Villa Sucher: sto deliziosamente a godermi un ozio beato... siamo stati accolti fraternamente da tutti questi buoni cittadini, del resto, come meritavamo dopo tanto combattere e soffrire sulle rocce Carsiche ove tanti compagni sono eroicamente caduti! Mi occupo dei miei bravi soldati la di cui virtù non so descriverti, ho veduto con piacere di essere da loro benvoluto; i loro consigli mi hanno giovato coraggio indomito, sangue freddo e stoicismo a tutta Prova. Quanti episodi di vero eroismo potrei narrarti! Sul Pecinka un bombardiere della mia sezione, colpito da una granata nemica, è rimasto mutilato delle braccia e di una gamba, moribondo gridava «Non sono morto ancora, lasciatemi accendere la miccia della mia bombarda » Non so dirti quali sentimenti io provo per questi bravi Bombardieri, pionieri dell’artiglieria di trincea. I Bombardieri hanno scritto una bella pagina, nella storia del nostro Esercito resasi e sono felice di appartenete, in questa, santa guerra, all’Arma, nuova ormai benemerita della Patria. Perdonami se ho scritto tanto, ma sono entusiasmato del valore e dell'eroismo dei nastri bravi soldati e vorrei poterlo dire a tutti, vorrei saper scrivere come tanti Possono, per farlo sapere a tanti denigratori del nostro Esercito e del nostro popolo. Ma, la storia farà le mie vendette!
PIETRO MARCARINI NATO A VALDUGGIA (NOVARA) IL 10 DICEMBRE 1889 DOTTORE IN GIURISPRUDENZA S. TEN. DEL 115° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO OLTRE GORIZIA L’11 OTTOBRE 1916 DECORATO CON DUE MEDAGLIE D' ARGENTO AL V. M.
27 Agosto 1916
CARISSIMI, . . . .Dunque alle 17 del sei uscimmo all'assalto due balzi velocissimi col plotone disteso, ed eccoci sotto ai reticolati. Il nemico aveva sparato qualche fucilata e qualche raffica di mitragliatrice, ma pochi feriti erano rimasti addietro col viso contro terra si attende ora il Savoia! Col mio caporale Serravallese preciso il punto dove sta, il varco; lo indico ai capi squadra, do gli ultimi incitamenti (e il nemico quasi non tira perché siamo sotto e fermi), poi, quando vedo arrivare il secondo plotone a ingrossarmi, urlo e si urla il Savoia! Il plotone si rizza; quelli dinnanzi al varco si lanciano vociando, gli altri più lontano si raggruppano. Come acqua che gorgoglia e fa, corrente contro uno stretto passaggio e tutta d'un colpo vince l'ostacolo e dilaga, così sì corre, incespicando, col viso congestionato, qualcuno cade, ma eccoci sulla trincea, si salta dentro, qualche sparo, qualche urlo, poi silenzio. La trincea è presa. Qualche austriaco esce lasciando le armi, qualche altro fugge; la seconda trincea, già guarnita, ci fulmina. Avanti, perchè il nostro preciso compito è di avanzare sempre, senza curarci di feriti, di morti, di prigionieri. Un pò di ondeggiamento e siamo di nuovo a terra un pò più avanti della trincea, presa, sotto un violento fuoco della seconda trincea da conquistare. Siamo pochi. Mando a chiedere rinforzi agli altri plotoni della compagnia.. Anche l'artiglieria nemica ha cominciato a tormentarci, siamo col viso contro terra, assetati, ansanti e sudati, ma frementi. Arriva il terzo plotone; si vedono i compagni salire la ripida china a brevi sbalzi; qualcuno cade e non si muove, qualche altro abbandona la linea, zoppicando o tenendosi un braccio: sono feriti. Il nemico concentra il suo fuoco contro questi bersagli più visibili. Ancora un balzo sottotenente Lazzeri che comanda quel terzo plotone (un fiorentino, maestro e già mio collega nel Trentino) mentre ritto dà ordine di avanzare, è colpito da una scheggia di granata al cuore e trabocca senza, dire una parola. Ma i soldati giungono sulla mia linea prendo io il comando dei tre plotoni e striscio verso i reticolati. Si è come bisce, come gatti. Qui il reticolato è ancora intatto bisogna spostarsi più a destra perchè la è stato battuto. Intanto la battaglia infuria a destra sul Podgora, a sinistra ad Oslavia. Riesco a compiere lo spostamento, ma anche qui bisogna lavorare con pinze per completare il varco. Una leggera linea di fanti, con la pancia, all'aria, si insinua sotto i fili di ferro, fra le buche delle granate e là, appiattiti contro terra, con gli occhi miranti il lavoro delle pinze ed il cielo, alza cautamente le braccia, e rosicchia, spezza un filo dopo l'altro. Col respiro sospeso si sente il trae delle forbici; il nemico veglia; qualche testa più ardita si sporge dagli scudetti e dal parapetto della trincea per meglio vedere, qualche fucile si vede alzato a braccia tese per dargli maggior inclinazione meglio battere le immediate vicinanze; la mitragliatrice ci fa passar sopra ventate di sibili ma l’artiglieria nemica non ci può colpire, siamo troppo sotto e batte le seconde linee. Qualche tagliatore viene strisciando indietro: «C'è tutto da tagliare, signor Tenente» Qualche urlo ogni tanto e un soldato, pallido, col braccio sanguinante e la mano trapassata: «Sono ferito, signor Tenente! ». Uno col braccio ciondoloni per una palla esplodente, mi dice «Sono morto, signor Tenente!» No, povero figlio, va a farei medicare». E soli, perchè non bisogna togliere alla battaglia i sani, e doloranti se ne vanno. Qualcuno che tagliava di Iena non taglia più; è là, fulminato e con gli occhi aperti guarda ancora, il cielo. Il capitano mi manda a dire «Si può passare?» Osservo alzano appena il Capo e mando a rispondere «Ancora un poco». Poi arriva il quarto plotone col capitano tutta la compagnia è sulla linea. A sinistra: sono io con tre plotoni, a destra li sottotenente Lanza (anche lui da tempo con me, di caldo sangue siciliano) e comanda il quarto plotone. Il capitano osserva con me il varco; tra poco si darà l'assalto, e mentre Lanza fa segno ai suoi uomini di disporsi presso il varco, viene notato dai tiratori austriaci; perché Costoro osservano se scoprono gli ufficiali e subito li prendono di mira con tiratori scelti. Lanza é su di una riva erbosa a terra, ma viene ferito ad una gamba. Cerca di trascinarsi ed è colpito nuovamente ai fianco e muore quasi subito. Ma il varco è quasi completo. Un momento di raccoglimento e poi il Savoia! La fucileria crepita rabbiosa, le mitragliatrici cantano, ma si passa, in che modo?... Siamo sulla trincea. Ora gli austriaci gridano «boni italiani ».. e per un'ora ci avevano fulminati a pochi passi! Anche la seconda linea cede; ma sul fianco di una valletta, che sta alla nostra sinistra, c'è una trincea che batte d'infilata tutta la china su cui stavano le due trincee, ed ora vi siamo noi. Là deve operare un'altra compagnia, ma per ora non è riuscita a passare: noi si deve attendere perchè c'è il pericolo di essere tagliati fuori, e intanto l'artiglieria nemica, ora che le trincee sono da noi occupate, rovescia su noi e su esse una grandine di piombo. Noi ci rafforziamo sulla posizione, mentre contro la trincea nemica che resiste al nostro fianco si fanno vani tentativi per passare. Quella trincea veramente è stata una sorpresa e non fu battuta dall'artiglieria, quindi i varchi sono intatti. Vedo i soldati della seconda compagnia tentare tre volte l'assalto, ma non passano i guastatori restano quasi tutti morti e feriti nel tentativo di tagliare i fili un ufficiale (un lombardo) si fa ammazzare con due bombe a mano sulla faccia, tanto è sotto. Allora la prima compagnia con conversione a sinistra si porta all'estremità destra di quella trincea, per tentare lo sfondamento e l'aggiramento. Comandato, lancio per la terza volta nella giornata all'assalto; gli altri due erano stati vittoriosi, questo si infrange sul filo spinato intatto. Una raffica di mitragliatrice si smaschera e ci infila a destra e batte proprio i reticolati in due minuti e non più, cadono i migliori soldati e la mia ordinanza, un soldato della legione garibaldina, è ferito gravemente, il mio attendente è pure ferito, altri restano impigliati ai reticolati crivellati di palle. Il Capitano? Dov'è «E' morto mi dicono; infatti appena dietro a noi colla gola trapassata. Sono solo, dunque, solo con un centinaio di uomini sfiniti... Bisogna tirarsi fuori: dalla zona mortale che è dinanzi ai reticolati e appena sotto riordinarsi e riappostarsi attendendo ordini. Lasciamo i morti, e bisogna trasportare i feriti. Chi ha potuto si trascinato da sé; ma ecco uno colpito da una palla alla coscia che si reggo penosamente sul gomito, il nemico l’ha visto e non Io risparmia. Un austriaco che emerge dalla cintola in su fuori di trincea lo prende di mira lo colpisce di nuovo al braccio (è a dieci metri di distanza), poi subito con un terzo colpo gli trapassa la faccia e lo fredda. Io ed il caporale gli scarichiamo due colpi in pieno e non lo si vede più. Poi vediamo un soldato portar giù strisciando a terra un povero ferito all'addome che gli sta aggrappato addosso pallido come uno straccio ma anche questa misera coppia è presa a bersaglio, e il vivo, che sente la palla fischiare vicina lascia il moribondo per ripararsi; ma riusciamo a trascinarlo giù ugualmente. Si sente ancora qualche lamento di feriti, ma andare a raccoglierli ora è morte certa. Per tre volte, col Caporale Maneia di Serravalle, mi reco ai reticolati per tre volte i fucili austriaci mi prendono di mira e mi inchiodano in quei piccoli ripari ove sosto nel mio procedere. Ma non vi sono che morti due soli feriti, fra i quali un sergente, cui assicuro di farli trasportare appena è buio. Poi riordino e rianimo i miei soldati e mando a chiedere ordini, dando nuove sull'avvenuto. Nelle immediate vicinanze la battaglia è calmata; sul Podgora si vede un grande via vai di uomini. Sono i nostri o sono i loro? Gli austriaci che temono un nuovo assalto spiano e sparano ad ogni movimento o rumore. In un attimo in cui m'ero alzato per sparare, mi trovo stordito da una palla cadutami a una spanna dal naso: posso ringraziare che era esplodente e che trovando dinnanzi a me una zolla era scoppiata urtando e mi aveva appena, scalfitto con tre scheggette; se era pallottola normale trapassava... I soldati mi dicono di star giù. Mando a vedere alla mia sinistra. La seconda compagnia è appostata come la mia, ed anch'essa decimata, attende ordini. Viene notte; mando una pattuglia a destra, perchè da quella parte non ho nessuno,.. poi quando ormai non ci si vede più percorro la linea, faccio portare giù i due ultimi feriti ed aspetto. Gli austriaci, che temono, lanciano molti razzi e sparacchiano. Sono le dieci e giunge ordine dal battaglione di resistere dove siamo ad ogni costo e che dietro a noi verrà di rincalzo il 116. L'ordine chiude: «Coraggio, il Sabotino é nostro e la vittoria non può tardare». Dò la bella nuova ai soldati e dico un buona parolina a tutti. Essi stanno sbarrati, col fucile saldo, col cuore fermo e fra loro sono io vivo ed il nostro capitano morto. A un'altra volta. Baci. Pietro
ARNALDO NICCOLINI NATO A BERLINO IL 12 GENNAIO 1982 S. TEN. DI COMPLEMENTO NELL’ARMA DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO A VERTOJBICA IL 12 OTTOBRE 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. DI M. P. DI SUA MAESTÀ
12 Agosto 1916
Ad un amico. Siamo accampati fuori di Gorizia ove staremo qualche giorno per dar riposo al reggimento che era in prima linea già da 20 giorni al Peuma e che di là è mosso per primo all'attacco. Poi non so dove andremo. Molto materiale abbandonato, la fuga è stata abbastanza precipitosa. Sto sempre bene.
15 Agosto 1916
Spero abbia ricevuto le mie ultima cartoline; quindi saprà che sono a Gorizia. Anzi per onor del vero, benché non citati nel bollettino, noi assieme alle brigate Casale e Pavia al 57° e all'8° fanteria abbiamo sfondato il fronte. Noi precisamente al Peuma. Le suddette due brigate sono entrate l'8 sera; noi il 9 mattina, perchè ci tennero tutta notte sulla riva dell'Isonzo a qualche decina di metri da Gorizia, forse per paura di agguati e per attendere il giorno. Questo lo dico, non per noi, ma almeno per la memoria dei nostri poveri morti ché forse sono ancora sotto i reticolati col sole in faccia, e con, le palle in corpo, e che sono andati all'assalto come se manovrassero in Piazza d'Armi. Ora anche se creperemo (ed è ancora facilissimo), non me ne importa più: ho visto l'entusiasmo del fante che digiuno e spossato da 20 giorni di trincea e da 2 di battaglia, giunto l’ordine di avanzare si è mosso con impeto travolgente al grido di «A Gorizia, a Gorizia». E quando hanno scorta la città, le lascio immaginare la loro gioia, solo concepibile in chi per tanti mesi ha sperato e sofferto. Ora ogni giorno andiamo di riserva alle truppe combattenti (reggimenti nuovi da avanzare) nella loro lenta ma sicura avanzata. Siamo sotto il fuoco dell'artiglieria e in mezzo al puzzo dei cadaveri tuttora insepolti. Certo ora siamo fisicamente sfiniti: ci sorregge sempre il sentimento del dovere, l’ebbrezza della vittoria e... il dio Alcool. Forse presto (se non ci accoppano) andremo ad un meritato riposo. Speriamo. A Lei e alla Sig.ra Annetta il mio ricordo e il mio augurio. ARNALDO
24 Agosto 1916
EGREGIO SIG. LUIGI, Le scrivo, essendo finalmente in possesso di carta e penna. Per una ventina di giorni siamo stati proprio segregati dal consorzio umano. Nemmeno giornali La battaglia di Gorizia è stata grandiosa, terribile. A descrivere il bombardamento del sei non so che penna ci vorrebbe. La visione di interi reggimenti che andavano all'assalto a ondate non, la scorderò più. Ma tuttavia è stata quasi fulminea. Per noi sono mille volte stati peggiori gli stenti e le fatiche, dal 12 al 24. Eravamo in posizioni avanzatissime nel letto del Vertoibica, la cui sponda ci serviva da trincea. E' subito cominciato a piovere. Non so se abbia sentito nominare il terribile fango dell'Isonzo. Il letto del torrente era pieno d'acqua ed appena scendevamo dal parapetto, essa ci arrivava ora alla cintola, ora al ginocchio. Un buco coperto da un telo da tenda ci riparava fino al ventre, e questo era il nostro giaciglio. Però questo lasciava indifferenti noi e soldati, glielo assicuro. E questo non deve sembrar strano, dato il genere svariatissimo di musica, e la molteplicità del pericolo a cui ormai eravamo avvezzi. Oh! se il paese sapesse una parte sola dei sacrifici che sopporta; oscuro ed, obbediente, il povero fante! Di vedetta, di corvée, a trasportar casse di cottura o materiali, digiuno parecchie volte, inzuppato d’acqua, sporco, lacero, impidocchiato eppure non ho mai visto almeno al mio reggimento) un solo rifiuto all’obbedienza o un caso di insubordinazione. E quando torneremo, il Paese dei grassi e degli imboscati, ci darà un calcio. Io sono stato, e me ne meraviglio, uno dei pochi che non ha avuto né un mal di capo ne un raffreddore. I miei colleghi che si misuravano le pulsazioni, si stupivano, vedendo le mie sempre normali. Debbo proprio ringraziare Iddio. Certo ora siamo sfiniti e se avevo dei peccati, li ho proprio purgati, glielo garantisco Quando siamo venuti in giù, il cambio si è effettuato alle 2 di notte sotto una luna splendida. In silenzio, per uno, abbiamo fatto 2 Km coll'acqua alla cintola e per un buon tratto si è dovuti marciar curvi; quindi col naso a fior d'acqua, perchè una mitragliatrice o più erano piantate sulla strada, e al minimo rumore cominciavano a scopare. Per fortuna nella mia compagnia tutto andò bene. Ora siamo sulla riva dell'Isonzo, in cui mi sono già bagnato e spidocchiato, cambiandomi poi completamente di abiti e biancheria. Dicesi che a giorni andremo in Italia a godere un meritato riposo. Certo fin d'ora ci sembra di essere ricchi per il solo fatto di poter dormire quanto si vuole e sotto la tenda. Poi è sorto un bel sole a riscaldare questi poveri pulcini bagnati.
DE LILLA MARIO NATO IL 2 FEBBRAIO 1895 STUDENTE DEL R. POLITECNICO DI TORINO TENENTE DEL 66° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO DAVANTI A DUINO IL 3 NOVEMBRE 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
14 Settembre 1916
Nell’ultima vostra leggo in fondo — sii buono coi soldati, fraterno. Vorrei, dovrei ben essere differente, ma non posso, non saprei. Poveri cari soldati, valorosi, buoni! malgrado tutta la, mia, indulgenza rasentante la debolezza forse, ne ho incerta coscienza, non disubbidiscono mai, accettano rimproveri, cercano correggersi. Ne ho ora cinquantacinque nei mio plotone ed ho il gran torto di non conoscerli bene tutti; una quindicina, sono anziani, in guerra da sei mesi, gli altri o nuovi o richiamati o tornati al cimento dopo la guarigione di ferite. Come — direte — possibile che dopo tanto tempo non li conosca? Ci possiamo veder poco qui dove l'uomo deve vivere rintanato ed al coperto. Ho fede però di poter riuscire tra non molto, con un pò di impegno a conoscerli tutti. Una buona metà m'è perfettamente nota. C'è un certo Bracci, ch'è straordinario, allegrissimo, toscano, sempre primo in, tutto. Una notte ero di guardia sull' Isonzo, allo scoperto, dico in una buca senza copertura, volle assolutamente che prendessi la sua mantellina ed una delle sue due coperte perchè egli aveva caldo, diceva e temeva che io avessi freddo non essendo ancora abituato a star così. Un altro giorno mi portò un pagliericcio; l'involucro era fatto con tela dei sacchetti per sabbia, cuciti insieme a terra, pazientemente e stamane visto venire dal fondo della valle con una quantità enorme di fieno fra le braccia. Starà men freddo — mi ha detto — c'è tanta neve! Ci sono degli originali bellissimi da studiarsi, alcuni allegri, altri melanconici. Abbiamo un caporale, forse ex impiegato, che si atteggia a storico. Fa a modo suo il parallelo fra la marcia in avanti compiuta da noi e quella di Napoleone in Russia. Gli altri lo ascoltano, danno il loro parere, discutono, con quale competenza è immaginabile. Dalla mia tenda si sente tutto. Qualche volta il discorso cade sulla inutilità degli sforzi contro... intervengo allora, tagliando corto, non piacendomi che i vecchi soldati, qui dal principio della guerra, mi guastino i nuovi pieni di fede nelle loro forze. Purtroppo non sempre riesco a radicare nell'anima dei miei uomini la convinzione che i compagni sbagliano, che peccano di pessimismo Oh! come vorrei allora esser padrone d'una parola persuasiva calda alata, come vorrei rincorare, accendere d'entusiasmo i più tiepidi, i dubbiosi, stringere saldamente attorno a me i fautori della vittoria, far tacere inesorabilmente quei pochi che parlano di pace che la vagheggiano, che fanno balenare sul fango della trincea la visione delle madri, delle spose in attesa, delle braccine pronte alla tiepida carezza dell'abbraccio. Parlo come so, senza eloquenza, troppo scheletricamente, e mi pare di far poco, quasi, nulla. Il freddo dura sempre più intenso, la mia mantellina membra, essere diventata di cartone e debbo per forza metterla addosso. Non rimpiangerò mai abbastanza il mio caro sacco a pelo che certo serve ad altri mentre io non so come ripararmi. E la mia cassetta? sarebbe un vero dolore perderla poiché conteneva tante cose a me care.
26 Novembre 1915
Immagino le vostre trepidazioni, immagino la vostra inquietudine ed è giusto che vi scriva il più possibile, che non vi faccia stare un sol giorno senza mio notizie. Non vi nascondo che in qualche ora sono signoreggiato da una grande tristezza, che vorrei non aver nessuno sulla terra, non voi tanto buoni meco! In tali stati d'anima un vostro scritto mi consola, mi rincuora Non ho il diritto di lamentarmi per nessuna ragione, troppo sono stato protetto dalla fortuna, pure come ben sapete l'uomo è incontentabile ed io sono un uomo. Oggi, per esempio, non ho la coscienza tranquilla, è stato giorno d'azione pel mio reggimento, il mio battaglione è in trincea ed io sono restato col mio plotone dove ero. Vi par giusto? L'azione continua continuerà chi sa fino a quando. Speriamo bene, auguriamoci che una buona volta siano conquistate queste terribili posizioni irrorate già da tanto sangue umano. Credetemi, mentre stamani osservavo lo svolgersi dell'azione da lontano, o meglio, dall'osservatorio di artiglieria, insieme al comandante mi pareva d'esser vile, di non poter più guardare in faccia, a fronte alta, i miei colleghi che laggiù affrontavano la morte, pure nulla avevo io fatto o detto per essere esonerato dal combattimento. Verrà il mio turno mi son detto, mio malgrado sono rimasto di malumore. Verrà il mio turno, l'aspetto e farò il mio dovere, ma ad ogni sparo di cannone, di fucile, di mitragliatrice sussulto, tendo l'orecchio, ho la visione atroce dei tanti soldati feriti, morti, calpestati, invocanti invano aiuto! la guerra! meglio esser nella mischia, che considerarla a sangue freddo ed ascoltarne la terribile eco da dove sono io... Ecco un messo che viene dal comando della compagnia. Che mi dirà mai? Permetti, permettete un momento, rivolgo il discorso ad una di voi, poi vi vedo con la visione dell’anima tutti uniti e passo naturalmente al pronome plurale, senza accorgermene.
2 Agosto 1916
L'altro giorno mi scrisse il babbo da Balvano dicendomi di lui suo sogno in cui m'aveva veduto in una baracca, e me la descriveva in un circolo d'amici a suonare il giorno 15 alle 15. Aveva avuta una Così viva illusione d'avermi vicino che allo svegliarsi le pareti ed i mobili soliti gli eran parsi strani. Ho risposto al babbo, caro babbo! come sarà contento quando riceverà la mia lettera! Bisogna proprio dire che c'è telepatia, ad alta tensione tra me e lui, gli ho risposto che la sua visione era stata, perfettissima che io in quel giorno e in quell'ora ero proprio in quella baracca, la mia, invasa da tutti i miei colleghi e dal Capitano Galli per la prova degli strumenti arrivati appena, chitarra e mandolino. Si suonavano e si cantavano le mie canzonette da voi spedite.
7 agosto 1916
CARA ESTER, Ieri ti ho scritto per la mia musica, desidero me la spedisca subitissimo, qui in trincea sogno il riposo perchè solo allora mi è concesso strimpellare. Ah! non c'è proprio bisogno d'essere dei Verdi o dei Wagner per godere il più puro, il più alto dei diletti umani. Quando posso suonare mi sento felice, gli altri, che anche qui mi stanno attorno, credono che suoni per loro, invece suono per me, esclusivamente per me, quasi non m'accorgo della loro presenza. Non ho mai sentita la potenza, della musica come quassù, mia musica e della musica, altrui eppure non ho il violino; le stesse mie suonate antiche mi pare acquistino altra voce. Studia, studia cara Ester, avrai a tuo talento un godimento pari Impara a leggerla, la, musica, proverai un'indicibile soddisfa dio: a null'altro. Tu lo sai anche a Torino mi bastava il divertimento quando sarai in grado di suonare lì per lì un pezzo qualunque di tali-sica, pochi momenti prima sconosciuto. Ti passa dire che i miei colleghi mi dicon — bravo — per questa mia sola abilità. Impara bene dunque a solfeggiare e non scrivermi più che il solfeggio ti riesce noioso, pesante.
GIORGIO LO CASCIO STUDENTE NEL R. LICEO UMBERTO 1° DI NAPOLI S. TEN. DI COMPLEMENTO DEI BERSAGLIERI CADUTO IL 19 NOVEMBRE 1916 ALL’ASSALTO DI QUOTA 126 DEL VELICHI KRIBAR DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
6 Settembre 1916
Alla madre. Povero il tuo Giorgio! Col fango fino alla caviglia, forma un tutto indistinto di mota, di mulattiere, calzoni, giacca e berretto. E' il preludio della fronte. Viva, l’Italia mia bella ed adorata! Credi, Mamma mia che amo la Patria quanto amo Te e come mi sacrificherei geloso orgoglioso per Te, così sono pronto a darmi tutto per Lei. Non senti già la vittoria arridere alle nostre armi? Ed allora che cosa è morire? Viva l’Italia! Sempre! Viva Savoia
8 Novembre (dal Carso)
MAMMA MIA ADORATA E SANTA, Sono orgoglioso di comandare i miei bersaglieri: rispettosi buoni, fedeli ed anche entusiasti. Io, che sono addetto anche alla censura della, mia compagnia ne sono rimasto esterefatto: patriottismo e rassegnazione: sentimenti sobri e forti che li sublimano. Soltanto guardando in faccia queste fronti che non si abbassano, si ritempra la fiducia di superare le barriere di acciaio e di roccia che gli Austriaci ci oppongono. Li avresti dovuto vedere quando si è salvato fuori dalla trincea: non uno è rimasto: un solo slancio, un solo brivido, un solo urlo: Savoia!
(Dal Carso) 10 Novembre
A sua sorella Maria. La guerra mi trasforma se già non mi ha trasformato. In che senso? Cercherò di spiegartelo per quanto i miei sentimenti si agitino confusi nell'anima mia imbambolata. Un rafforzamento di affetti: nell'amore che ho per Papà e Mamma, per Te, per i Fratelli ho scoperti nuovi vincoli, nuovo dolcissimo sapore, eppure, Maria mia, io che con queste mie mani scrivo parole delicate, che con queste mie mani fo una conca per accostare i miei affetti accanto al cuore materialmente, come si fa con una passera stretta pian pian al petto, io, Maria, il 3 Novembre in un furioso assalto alla baionetta ho scannato un uomo.. Forse, quest’azione che eticamente mi ha allontanato dalle creature umane, mi fa sentire più vivo il desiderio di essere amato e di voler bene. Altro sentimento è la noncuranza di sè. Credi, quando la Morte ti sfiora tutta intorno, terribilmente bella e la chiami e la respingi, e la sovrasti al grido: per l’Italia avanti! e balzi dalla trincea ed urli « Savoia » e in quel grido c'è tutta l'anima tua materiale nella voce, oh Maria, non si pensa a nulla e tu spari, uccidi senza difficoltà e meraviglia, come ascendi di corsa il monte senza sentire stanchezza. Ma perché ti dico questo? Non lo so. Per parlare, per dirti che italianamente e militarmente mi piace far la guerra, ma che come uomo, utopia del secolo ventesimo, mi fa orrore. Ci sono dei momenti in cui ti trovi un frenetico caos di idee, per il quale, mentre con la pistola spianata vuoi avanzare, distruggere ancora, segnare una nuova trincea più avanzata, col sangue nemico, contemporaneamente il grigio-verde scompare, ti trovi dentro gli abiti borghesi e nel mezzo di questi l'anima piange, piange (mentre gli occhi di carne restano senza lagrime) sulla infinita follia energumena e sanguinosa e tu vivi un delirio di pensieri saggi e sociali, per cui ti sembra che tu solo ragioni. Ma queste sono crisi passeggere che passano e che coll'andar del tempo non verranno più. Io sono scusabile. Mi sono trovato in pieno fervore di battaglia il giorno in cui arrivai, mentre la gloriosa avanzata di poche ore dopo martellava la sua marcia irresistibile, allo scoppiar delle granate, sul Carso fulvo e pietroso.
DOMENICO FABIANI NATO A GUBBIO STUDENTE DI MATEMATICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA S. TEN, DI COMPLEMENTO DEL 141° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 21 NOVEMBRE 1916 DECORATO CON DUE MEDAGLIE D' ARGENTO AL V. M. E UN ENCOMIO SOLENNE.
(Dal fronte) 6 Novembre 1916
CARA MAMMA, Ti scrivo questa cartolina pochi momenti prima dell'attacco. Amo l'Italia, questa cara Italia che racchiude in se tanti cari ricordi tanti nostri nobili ideali, ma sopra ogni cosa amo voi, miei amati genitori, che tanto vi siete sacrificati per me. Se disgraziatamente dovessi morire siate sicuri che troverò una morte eroica e ultimo mio pensiero, l'ultimo anelito della mia giovane esistenza sarà, tutto per voi. Siate forti nel destino avverso, non maledite nessuno e che la fortuna delle armi nostre sopisca ogni rancore, ogni dolore. Beneditemi e arrivederci in cielo. Baci a tutti.
WALTER GIORELLI NATO A DOGLIANI IL 19 AGOSTO 1894 STUDENTE NELL' ISTITUTO SUPERIORE DI BELLE ARTI IN ROMA ASP. NEL GENIO ZAPPATORI CADUTO COMBATTENDO A PLAVA IL 23 NOVEMBRE 1916.
22 Giugno 1915
CARISSIMI TUTTI, Ho dei momenti di simpatia e dei momenti di ripugnanza per la vita militare; ora sono ottimista ed ora pessimista. Non ho ancora raggiunto l'equilibrio; il grave spostamento di vita fisica influisce sul morale. Questa mattina siamo stati circa due ore in rango sotto il sole che ci cuoceva il cervello bene imbottito nel berretto di lana; poi, fino a pochi minuti fa, e sono le nove e mezza, istruzione che ha consistito nell'insegnarci a salutare ed a farci stare sull'attenti. Il caporale maggiore che ci istruivi questa mattina, come del resto tutti i caporali, parlava lento e preciso, e, ed ogni definizione passeggiava in su ed in giù per dieci minuti, per farci analizzare la gravità delle parole, come Socrate con i suoi allievi per i problemi dell'anima; poi si cavava il cappello e con la stessa mano si grattava la pera, si lisciava i baffi, si carezzava il mento, e tutti a guardarlo con gli occhi istupiditi e come per cercare di penetrare nella mente di quel maestro dell'arte militare. Col pollice e l'indice della mano combaciati tracciava delle linee verticali immaginarie, poi ricominciava, lenta e sconnesso e finiva con l'esempio pratico per non fare lavorare troppo le nostre menti borghesi atrofizzate. Sono tornato in camerata ed ho sentito il bisogno di scrivervi. Tralascio perchè squillano le trombe che ci chiamano alla frugale mensa e continuerò meno.
28 Luglio 1915
CARISSIMI, Scrivo sulle panche della Casa dei Soldato ed ho intorno migliaia di bersaglieri curvi. Uno di essi, in questo momento, mi domanda Come faccio a scrivere così in fretta: dice che lui per scrivere una, lettera deve impiegare dieci anni: «A parole se ne dicono tante belline, ma a scriverle...
23 Ottobre 1915
CARA TINA. Noi abbiamo una vibralità nervosa, che ci fa agire senza una vera coscienza di ciò che facciamo, e viviamo senza sentire la nostalgia della vita cittadina. I primi giorni era in tutti un pò di oppressione, vedevo i visi dei miei compagni contratti da vero dolore nostalgico. Tutta la grande laboriosità silenziosa e continua, il can-none lontano con i suoi boati lunghi, ci rendeva tristi; pareva avessero strappato dalla nostra anima qualche cosa. Ora siamo diventati pure noi anima di tale vita di distruzione e di redenzione, tanto che uno scoppio di shrapnel a pochi passi di distanza ci lascia insensibili con sulle labbra un sorriso diretto al tiratore non capace di colpirci. Papà avrebbe piacere di conoscere i particolari delle nostre camminate, ma temo che qualora incominciassi a descriverle, cadrei in parole e periodi censurabili e la lettera non vi giungerebbe. Saliamo e scendiamo pendii rocciosi, che forse, quando ripenserà ad essi comodamente seduto tra voi, mi parranno pericolosissimi ed azzardosi, ma ora non ci si fa caso. Il mulo viene dappertutto qualche volta si pietrifica su di un sasso al lume della luna ed allora devo rammollirlo, a legnate. Per lo più il ritorno lo percorriamo a cavallo, a piccolo trotto, avviluppati nelle mantelline, fra bagliori fantastici lontani: Sono luoghi inaccessibili di giorno, perciò in vista del nemico e facilmente bersagliabili. Abbiamo giornate di sole magnifiche, con buona temperatura; siamo attendati con tutto il desiderabile e non, ci lamentiamo. Sono a fianco della tenda scrivo colla, carta sulle ginocchia, ed il carattere è forse poco leggibile; un muletto bianco mangia, l'erba ai miei piedi lungo il pendio; più là, un compagno si rade la barba, col naso contro un albero ove ha appeso lo specchietto. Un gruppo, in mezzo al prato, più oltre, gioca a carte. Si avvicina l'ora del rancio. Assicura Mamma e Papà sulla mia salute e sul mio stato d'animo. Un abbraccio a te e a tutti. Tuo aff.mo WALTER
20 Dicembre
CARISSIMI, Per la prima volta, passerete Natale senza di me, che probabilmente sarò fra la mitraglia a portare viveri ai compagni in trincea. Ieri sono stato ad un chilometro da Gorizia e a pochi metri da un trinceramento austriaco. Penso che la parola «coraggio» fa fremere d'entusiasmo chi sta sempre chiuso fra quattro pareti e non sa rendersi conto del valore delle parole. Coraggio non è altro che abitudine al pe-ricolo. Se mi avessero condotto il i Ottobre dove sono stato ieri, mi si sarebbero piegate le gambe e sarei morto di paura. L'abitudine dà la disinvoltura e rende tutto facile certi eroismi e certi sacrifici sono valutati alcune volte da più di quello che si dovrebbe. Qui la lotta è più continua e più accanita ancora che a Tolmino e S. Lucia. La notte le colline eruttano fiamme e si sente portato dal vento, un rumore come di migliaia di treni lanciati a rincorrersi, prodotto dallo spostamento d'aria degli obici. Mi auguro che passerete il giorno di Natale tranquilli, senza malinconia anche se sarà nascosto il sole altro non so nè posso augurarvi. Speriamo che il Natale venturo sia veramente giorno di gioia e di intima pace per tutto il mondo. Auguri ancora a tutti. Quest'anno mi pare di vedere il vecchio barba bianca non sorridente, ma la faccia buona triste e pensosa tranquillo ma senza gioia. Abbracci vostro, WALTER
11 gennaio
CARISSIMI Ieri sera ho percorso sul tramonto la strada che conduce alle nostre linee. Tutto era calmo; alcuni artiglieri ci facevano segni di non arrischiarci e di aspettare la notte. Io ed il mio compagno eravamo invece affascinati dal monte Sabotino, rosso nel sole, spoglio, glabro; tagliato dalla trincea nemica. Durante tutto il percorso non abbiamo sentito una fucilata; la calma era ancora più impressionante; perchè l'idea di tanta forza distruggitrice in riposo terrorizzava ed entusiasmava. Ai piedi del monte una fila dei nostri ricoveri era in fiamme, non una voce; non, un grido; tutto deserto; il cielo aveva il colore del sangue. Siamo arrivati dai nostri che la luna cominciava a rischiarare. Quando il cielo è sereno, passano tutte le tristezze e tutte le paure. Peccato che da oltre un mese e mezzo pochissime siano state le belle giornate. Oggi il tempo è già guastato; ma la speranza di una prossima licenza ci fa sopportare anche l'acqua ed il fango. Vi abbraccio tutti. Vostro Walter
20 Marzo
CARISSIMI, Il mio nuovo incarico mi diverte e mi fa passare le giornate molto bene. Questa mattina col capitano, sono salito sul Post-Sabotino, sono passato sul Lenzuolo bianco e sulle rovine di Oslavia ed ho avuto la promessa di essere condotto di notte a visitare le trincea di prima linea. Di giorno, abbiamo percorso posizioni avanzatissime, ho disegnato i nostri trinceramenti di Trebuchi e della quota 181 e mi sono fermato a schizzare i ruderi di Lenzuolo Bianco: ma il capitano non mi ha lasciato finire perchè eravamo troppo in vista. Ci siamo allontanati cento passi ed una granata ha spezzato i muri seghettati che rimanevano in piedi, miserevole ricordo di una vita, passata. La quota 188 ed Oslavia hanno un aspetto tragico ed impressionante. Gli alberi non, danno illusioni di chiedere pietà, come quelli di seconda linea; ma sono ridotti tronchi insecchiti senza membra, e pare s'appoggino l'uno all'altro per sostenersi ancora; non è più terra che vive, è morta. Il capitano non ha paura di nulla e quando granate ci assordavano mi diceva; ma tu diventi rosso, guarda che, ti si é allungato il naso! Io invece rimanevo più che tranquillo, anzi trovavo la calma di disegnare e credo che fossero sue illusioni. Passando entro un camminamento in salita alcune pallottole mi sono passate vicine; allora l'ho visto correre ed io dietro. Poi mi ha dato il consiglio di tenermi ragguardato. Mi sono riconciliato con i muli e con umanità mi sento diverso, più svelto sono ritornato anche artista; oggi ho disegnato il ritratto del capitano a cavallo e gli è molto piaciuto. Aveva prima scommesso che non sarei riuscito a riprodurre la testa della sua cavalla, ma poi si è ricreduto soddisfatto. Non, abbiate paura, sono in mano di Dio e mi tengo riguardato. A Medana prima di rientrare in compagnia, ho avuto accoglienze festose dal prete e dal telefonista, veri e buoni amici. Il mattino ho fatto la comunione con loro due ed ho raggiunto la compagnia. Abbracci Vostro WALTER
7 Agosto
CARISSIMI, Le traiettorie di centinaia di proiettili percuotono gli spazi sui nostri capi. Il monte Santo sembra diventato un vulcano; figure di sfere, di lunghi cilindri, di coni immensi, s'alzano lenti dalle vette e sono polvere, fumo e terra. Le pareti delle montagne paiono diventate metalliche, si scuotono, vibrano, poi ripercuotono il suono dello scoppio, e lo moltiplicano gli uomini non si vedono e la guerra è meccanica. Ho cambiato di alloggio ed ho una camera insieme ad un altro tenente della mia compagnia. Ieri sera non abbiamo lavorato per l’azione: per stasera, non ci sono ancora ordini. Ho abbozzato un'allegoria del Genio rappresentato dall'aquila romana che abbatte l'aquila bicipite. E' piaciuta molto ed appena, avrò preparato il disegno se ne stamperanno molte copie. L'allegoria dei telegrafisti non so come e dove si sia dimenticata oppure avranno dimenticato l'autore e non ne ho mai avuto copie. Vi abbraccia il vostro WALTER
ALFONSO PAGANI NATO A VOGGIANO D' AMENO (NOVARA) IL 12 AGOSTO 1894 TENENTE ESPLORATORE DEL 190 REGGIMENTO CAVALLEGGERI SALUZZO CADUTO SUL CARSO IL 12 DICEMBRE 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
17 Ottobre 1916
Ieri sera al crepuscolo ho riunito i miei uomini, ho letto il bollettino di guerra ed è spiegato le posizioni dove sì battono i nostri. Poi s'è intonato l’inno delle batterie a cavallo: instradatili li ho lasciati a sè stessi. Intorno la quiete solenne d' una sera d'estate. E continuarono i soldati a cantare in bella armonia di voci fino a notte, quando già le tenebre erano calate all'intorno e le stelle brillavano in cielo. Poveri ragazzi! come sono facili ad entusiasmarsi! Quanto si può ottenere da loro, purchè si sappia trattarli! Ciascuno di essi ha una passione gentile, ha un'anima che sente e, questa sera, s'ispira dinanzi alla bellezza del creato. Essere amato, benvoluto dai propri inferiori è già anche questa una soddisfazione per l'uomo. Caro soldato italiano che si lagna sempre di tutto, ma che è la più buona, pasta d'uomo! Un soldato di guardia al telefono ha intonato una mesta canzone. E' una canzone lenta lenta, soave e patetica. Meravigliosa anima italiana, che senti tanto e che tanto ami!
20 Novembre 1916
Ah mondo ingrato e vano; tu non pensi e non rifletti come soffro il fantaccino nella trincea, tu non sai che, il carattere italiano è dolce e mite; tu non sai che l'uomo è fatto per amare e non per odiare; tu non Capisci che noi italiani per combattere e vincere dobbiamo due volte superare noi stessi! Noi non ci inebriamo nel sangue, e, per combattere siamo ridotti conio le bestie. Non è questa infatti la tortura più atroce? Avere un cuore che amerebbe tutti ed essere costretti ad uccidere, perché così ci comanda il nostro dovere. Ecco la tortura più grave per chi sente da uomo e da uomo civile! Ecco il grande sacrificio che ho fatto appena entrai nella zona di guerra. «La guerra é troppo lunga » si va dicendo da coloro che, rimasti nella città, continuano la vita di comodità e di lusso — « Vi abbiamo salutati partenti e speravamo che tornaste presto vincitori ma invece la va troppo per le lunghe ; è ora di finirla ». Ecco le frasi del mondo vano e leggero. Ma non si pensa ai sacrifici di sangue, alle sofferenze inaudite di tasti uomini, sofferenze materiali e morali d'ogni genere. Non si pensa che l'esercito italiano, per avviarsi alla vittoria ha dovuto vincere i sentimenti più dolci di umanità e carità onde abbattere un nemico astuto e crudele. Si, questa è la più grande sofferenza che ha patito il nostro esercito, e questa evoluzione ha dovuto avvenire in dai generali ai subalterni, per le anime nobili è costata sacrifici immensi. Ora l'anima nostra è temprata. Dopo tante sofferenze, dopo tanto sangue versato, tu, mondo vano e leggero, ti lamenti e ti lagni della guerra, perchè ti impedisce di riprendere il lusso e lo sfarzo di prima.
FRANCESCO SABATINO NATO A RIOLO (BOLOGNA) IL 1° LUGLIO 1895 STUDENTE NEL R. ISTITUTO COMMERCIALE DI RAVENNA S. TEN. DI COMPLEMENTO DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO IL 19 DICEMBRE 1916 A SANTA MARIA DI TOLMINO
20 Novembre 1915
Da una lettera alla famiglia. Bisogna essere sempre Con i piedi nel fango (e qui ce n'è molto) e con la testa nel cielo, bisogna che la grande idea che ci ha fatto brandire le armi ci sia sempre davanti agli occhi, presente sempre, perché è quella che ci illumina, che ci sostiene, che ci fa vincere e che ei fa anche morire volentieri...
ENRICO EDGE NATO A FIRENZE IL 3 FEBBRAIO 1895 STUDENTE IN INGEGNERIA NEL R. POLIT. DI MILANO TEN. DI COMPLEMENTO DELL' 85° BATTAGLIONE GENIO ZAPPATORI MORTO IN SEGUITO A FERITE IL 28 DICEMBRITE 1916 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Maggio 1916
Ad un amico. Ho pur sempre presenti la morte e l'eternità, e tuttavia mi sento felice in pace e senza timori, benchè la morte potrebbe sorprendermi da un momento all'altro. Mai mi sono sentito così tranquillo!
UGUSTO DELLA SETA S. TENENTE NELLA BRIGATA GRANATIERI DI SARDEGNA MORTO A PADOVA NEL MESE DI FEBBRAIO 1917 PER MALATTIA CONTRATTA AL FRONTE
28 Agosto 1916 ore 22
Dai ricoveri del San Michele. Finalmente ci risiamo davvero. Iersera, alle 8 mentre mangiavo, venne un ciclista del Comando a chiamarmi. Dovevo portare la bandiera. Lascio a mezzo di mangiare, e via di corsa al Comando. C'era il plotone di guardia, che mi aspettava; prendo la sacra insegna con una certa emozione, e scendo in cortile. Confesso, che portare la bandiera era sempre stato uno dei miei desideri più grandi, e pensavo, che se diventavo tenente, non avrei potuto più portarla. Invece, per stranezza di combinazioni, mentre andavo con la Bandiera a prender posto nel battaglione, Coen mi borbotta passando: «Sei Tenente!». Che emozioni una sull' altra! Provai una gioia immensa, confesso, nel chiudere la mia carriera, di sottotenente con la mia Bandiera sulla spalla. Quel peso sacro mi dava una specie di ebbrezza, sentivo risorgermi in testa tutte le, migliaia di episodi, di leggende, di atti dei vari portabandiera del mondo. Il pensiero di perdere la vita in un combattimento, se pure era cosa gloriosa, mi dava un certo rimpianto, ma sentivo in me un coraggio superiore, una specie di orgoglio pensando a quello che avrei fatto, se avessi dovuto difendere la mia Bandiera in Combattimento. Nessuna emozione, nessun palpito mi dava più il ricordo delle atrocità dei combattimenti. Non so perchè, sentivo quasi un'invulnerabilità miracolosa su me, se avessi dovuto far sventolare quel drappo cli fronte al nemico. Quella stessa bandiera che già aveva sventolato a Monfalcone, a Monte Cengio, che era passata salutata ed ossequiata per le vie di Roma, che era stata portata da tanti miei compagni morti tutti, era affidata alla mia difesa, alla vita mia! Non potevo abbandonarla che abbandonando io stesso questo mondo I Così viaggiai tutta la notte, con la mia Bandiera in spalla, per una via lunghissima, piena di polvere, di autocarri, di fango. Passammo il ponte di Sagrado spezzato al centro, e a notte giungemmo al San Michele. Qui cominciò l'arrampicata fantastica, al buio, fra i di rupi, in terra sconosciuta...