Campo di prigionia di Philippopolis (Plovdiv) Ufficiali Gli ufficiali erano ospitati in una vecchia costruzione un tempo adibita a ospedale per malattie infettive (Colera). Il pavimento era in cemento, il tetto in lamiera (ben presto venne sventrato da una bufera), le pareti erano ricoperte di fango e paglia tritata. Mancavano i mobili, stoviglie, e i lavandini, così i prigionieri erano costretti a costruirsi quello che necessitavano acquistando in città i materiali. La razione giornaliera era di 300 gr di pane nero, un frutto, scarti di riso macinato, a volte un cavolo. I pacchi alimentari che ricevevano da casa erano indispensabili per il loro sostentamento. Venne istituita una sorta di spaccio interno dove si scambiavano indumenti e alimenti. In città a prezzi proibitivi si potevano trovare: zucchero, il burro, la farina, pollo, patate, uova, mele, prugne, tè, caffè, cacao, sapone e scarsa. Gli ufficiali dovevano pagare il carbone per riscaldarsi e il petrolio per l’illuminazione. Truppa I soldati semplici furono soggetti a condizioni disumane. Subito dopo la cattura venivano spogliati degli stivali e dei cappotti. Durante la marcia verso Sofia (circa 150 km da Dojran), molti di loro erano a piedi nudi, mangiavano quello che trovavano per strada e per 16 giorni ricevettero dai bulgari solo una pagnotta. A Plovdiv furono sistemati in baracche talmente luride che alcuni preferirono dormire all’aperto. Come per gli ufficiali la razione giornaliera era insufficiente e la loro sopravvivenza dipendeva dai pacchi alimentari che ricevevano dalle famiglie.