Con l'esercito italiano nell'oriente balcanico Capitano Mario Apicella 1928 Dal trentino a Salonicco Perché nessuno si occupa della nostra vita in Macedonia? Perché nessuno parla di quanto fa l’esercito italiano nell’oriente balcanico? Qualche telegramma da Parigi appare ogni tato sui giornali per dire al nostro paese che anche qua giù il fante sopporta disagi infiniti e combatte senza posa. Sono notizie brevi buttate fra i titoli sensazionali dei grandi avvenimenti che appassionano il lettore, il quale forse, non sa neppure che l'Italia, fin dall'agosto dell'anno scorso, li ha mandato un forte contingente di soldati in Macedonia. ................Gli italiani sanno che in Macedonia sono delle brigate che, dopo gli aspri cimenti del Carso e del Trentino, si sono imboscate a Salonicco, e godono le delizie dei misteri orientali. Ce lo dicono i complementi che arrivano e restano delusi della vita che trovano. Infatti, quando partimmo, si disse che dovevamo fare la guardia alle bandiere che, spiegate nel cielo di Salonicco, avrebbero affermato solennemente la nostra adesione di cavalieri antichi alla redenzione della Serbia. (omissis)................Si partì da Taranto fra i canti di gioia, con mille speranze di avventure. Chi dice che l'Egeo nascondeva l'insidia dei sottomarini nemici? La traversata fu ottima; mai gitanti spensierati ebbero più buon umore; e si arrivò a Salonicco dopo una navigazione che sembrò brevissima. Primo a sbarcare, l'11 agosto 1916, fu il 63° fanteria della Brigata Cagliari...(omissis). La folla si stipava sui marciapiedi stretti, gremiva i balconi panciuti. Un magnifico sole cocente dava bagliori e riflessi a tutta una gaia vivacità di colori. Una musica inglese in testa, i brandelli gloriosi della bandiera spiegati, e il primo contingente italiano sfilò in parata dinanzi al generale Sarrail e alle rappresentanze alleate, a traverso tutta la gente di Salonicco che ammirò la correttezza e la disciplina dei figli d'Italia che davano il primo spettacolo della loro forza, della loro omogeneità, della loro organizzazione. Salonicco? Fu attraversata per un tratto della strada principale lungo il mare. La commozione e l'orgoglio non fecero vedere che i fiori, lo sventolio dei fazzoletti, le mani plaudenti, la gentilezza del mondo femminile che nascondeva la città. Un vecchio si fece largo tra la folla e, riverente, baciò un lembo della bandiera. Una lacrima di commozione e di riconoscenza per l'omaggio spontaneo, velò gli occhi che non ebbero curiosità. E si prese la via della campagna, gialla, nuda, deserta. Si fecero dei chilometri sotto il sole, su una strada in costruzione terribilmente polverosa, serpeggiante fra accampamenti degli eserciti di tutte le razze del mondo, fra i depositi immensi di materiali di ogni genere. Dove andiamo? A Zeitemlik. Un compagno dotto ci apprende che Zeitemlik significa campo d'ulivi. (omissis)................................... ...........................Non un cespuglio a perdita d'occhio, non un filo d'erba. Un vasto succedersi di gobbe di terra rossa arsa dal sole, abbagliante come rame, degradante verso il mare. In basso la città in una nuvola di polvere, in un rumore confuso dei grossi camion militari. In fondo il mare chiuso come un lago, calmo, stupido, che dava negli occhi i riflessi terribili del sole d'agosto. (omissis).................................... ....................................La città si estende in basso lontano, in un arco ampio sul mare, con i suoi immensi cimiteri turchi insinuati fra le case e i giardini. A destra, quasi all'estremità della città, è l'accampamento inglese, con le tende ampie, con un campo spazioso ben battuto; forse un tennis o un foot ball. Dalla città vi porta una bellissima strada larga, ingombra di grossi camion che in colonne lunghissime trasportano materiali. La linea ferroviaria passa da quel lato. Non un alito di vento increspa il mare scialbo, immoto. Nel golfo, sbarrato da una rete di mine, piccole imbarcazioni filano rapide fra la banchina e i vapori ancorati al largo. Delle navi da guerra, francesi e inglesi, stanno impassibili. V'è pure una nave italiana, (un vecchio rudero), la Piemonte. Lontano a oriente, una prora esce dall'acqua come uno scoglio: un vapore silurato mentre raggiungeva la meta. Resteremo qui. Bisogna fare la tenda. Al sole, senza il riparo di un ramo. Un po' d'acqua. Per bere. La gola è arsa. E per lavarsi un po'. Il sudore scorre dalla fronte e riga la polvere rossa che si è impastata sul volto. Ma non c’è acqua. I soldati vanno intorno un pezzo per trovarne. Sorgono le tende. (omissis)........................ Si va a Salonicco? A piedi. La via è lunga, il caldo è soffocante, il sole non ancora è tramontato. Ordini severi proibiscono di servirsi dei camion alleati. (Ci si rassegna, e si va). Sulla sinistra troviamo il campo serbo con le tende fra i campicelli di ortaggi. La via comincia lì. I mori delle colonie francesi la sistemarono. Gli accampamenti di neri, di gialli, di olivastri, si susseguono. La ricchezza dei materiali francesi fa pensare a cifre favolose di lire spese con prodigalità munifica e ci fa sentire a disagio perchè al nostro campo noi non abbiamo ancora niente: non una tavola, non un travetto, non un attrezzo. E si susseguono a perdita d'occhio i magazzini franco-inglesi. Cataste di tavole, di travi, di tondoni, di assi, di paletti; montagne di rotoli di filo di ferro, di travate metalliche, di binari per Decauville. Campi immensi di munizioni. Per la via bisogna essere cauti. Lunghe file di camion francesi e inglesi, grossi, lenti, coi motori potenti, infilano i campi dei magazzini, sbucano da cento strade laterali. Centinaia di carri bassi, tozzi, con le piccole ruote di un sol pezzo, tirati da buoi rossicci piccoli come giocattoli, guidati da mori e da annamiti, vanno avanti piano, con uno scricchiolio monotono. Piccole Ford veloci, guizzano rapide fra quella folla di veicoli, lacerando le orecchie con la tromba rauca o con la sirena stridula. Motociclette, irritanti col loro scoppiettio di mitragliatrice, ci rasentano con una noncuranza ironica che strappa una maledizione. E cavalieri galoppanti, e biciclette, vanno, vengono in un moto perpetuo..(omissis). E con una gaia spavalderia infiliamo un budello, tutto bottegucce basse, piccole come scatole, luride. Un puzzo indefinibile di aglio e di grasso, ammorba l'aria. Camminiamo senza meta. Non conosciamo la città. Non ci siamo neppure orientati. Infiliamo le straducce così come vengono o come la curiosità ci consiglia. Ci spingiamo fra una folla multicolore, fra mille fogge di costumi della città cosmopolita: turca, ebrea, greca, bulgara, serba... Una torre di babele. Ci stanchiamo un po' nel caos in cui non comprendiamo nulla, in cui non riusciamo a farci comprendere. È …..strano. nessuno ci guarda, nessun segno di curiosità accoglie il nostro passaggio. La città è letteralmente invasa da francesi, inglesi, russi, serbi, greci. Pare che per noi non ci sia posto. Usciamo al mare, sulla via principale. Non è più pulita delle vie interne. Lungo la banchina senza parapetto un gran numero di velieri carica e scarica merci, ingombrando il passaggio, lasciando cumuli di immondizie. Un polverone nero, sollevato dai camion militari e dalle piccole Ford, avvolge ogni cosa e acceca. Qualche carrozza ribalta sulle grosse buche che sono la delizia delle strade di Salonicco. Una automobile francese scaraventa contro la colonnina di un fanale una carrozzella: il cocchiere protesta, il conduttore francese grida furibondo, il cocchiere si rassegna, chiede scusa se non ha fatto a tempo a dare il passo, e porta via i suoi rottami. Una sequela ininterrotta di caffè, spacci di sigarette, cinematografi, teatri e teatrucoli di varietà. Una fiera dove ognuno ha piantato la propria baracca dove gli faceva più comodo; dove la folla oziosa si urta e si pigia senza garbo. I banchi delle piccole botteghe danno sulla strada. Una moltitudine di soldati dalle uniformi più varie ingombra il marciapiede stretto, toglie alla vista ogni mostra. Vogliamo comperare delle cartoline illustrate, delle sigarette, qualche oggetto per ricordo. Con un poco di buona volontà e soprattutto con non poca pazienza, riusciamo ad accostarci ad un banco, chiediamo un oggetto; ma il mercante apata non si scompone: fuma e non ci comprende. Eppure ci avevano detto che a Salonicco la nostra lingua era molto conosciuta. Siamo costretti a fare ricorso alle lontane reminescenze scolastiche di francese e inglese. Finalmente il mercante si scuote, ma... non vuole la nostra moneta. Poi si decide e ritiene un forte cambio. Non ci avevano detto che la nostra moneta perdesse, e perdesse tanto, in confronto di quella greca e di quella degli alleati. Vogliamo bere un caffè. Tutti i tavoli di tutti i caffè sono occupati. Divise militari di ogni foggia, piene d’ori e di argenti, contrastano con la nostra semplice, severa, senza luccicori, eppure tanto elegante. Lo spirito comincia ad opprimersi. Non siamo più gai, spigliati. Nei ritrovi non troviamo un posto disponibile; nessuno si muove o si scosta al nostro passaggio, nessuna cortesia, da nessuno. Ci sentiamo a disagio, un po' umiliati. In tutta quella folla abbiamo la impressione di essere della povera gente sopportata per una convenienza di cui non si può fare a meno. Girando si è fatto notte. La città è all'oscuro. Entriamo in un caffè concerto: la Tour Bianche. Una bolgia infernale. Un baraccone malamente illuminato in cui si grida e si canta in coro in tutte le lingue. In fondo un povero essere imbellettato, seminudo, gesticola sconciamente: canta una canzonetta. Dicono. Poichè non si sente. L'aria densa di fumo di sigaretta, è rotta dal continuo scoppio delle bottiglie di Champagne che si sturano. Ci mettiamo da parte, muti, meravigliati dello spettacolo nuovo. A tutta quella gente ubriaca e scomposta dobbiamo sembrare dei provinciali venuti per la prima volta nella grande città. Tristi femmine non ci guardano neppure, abbarbicate come sono ai francesi, agli inglesi ed ai russi. Gli italiani non sono ricchi….. Parecchi ridono alle nostre spalle. C’è un ambiente smanioso di scherno e di provocazione. Qualcuno grida sghignazzando "macaroni". Il nostro volto, che la noia ha depresso, diventa duro, l'occhio si aggrotta, lo sguardo è severo, sprezzante, provocante. La compostezza militare, in tanta scorrettezza di militari, ci irrigidisce. La nostra educazione di buona razza, di signori che hanno una nobiltà antica, ci riempie di alterigia. Restiamo Per puntiglio, ma su di noi non si ride più: le pistole si poggiano sul tavolo come per avvertire che la nostra dignità ed il nostro orgoglio di ufficiali e di italiani, non sono disposti a tollerare. Un gruppo di ufficiali francesi viene a chiederci scusa per gli ubriachi incoscienti. Usciamo nella notte con l’anima oppressa. I vetturini si rifiutano di portarci al campo. Siamo seccati e, poiché pare che fra questa gente bisogna farsi largo con la forza, saliamo in una carrozza con la convincente promessa di una pallottola in testa, rendiamo umile e sottomesso il automedonte. Per via troviamo tre ufficiali a piedi, mentre erano partiti in carrozza. Sono stati appiedati da un gruppo di soldati francesi ubriachi (omissis)................... Al campo apprendiamo che si lascerà Salonicco fra qualche giorno, per raggiungere la fronte. Ne siamo lieti. (omissis)...............