CONTINGENTE ITALIANO Quando il contingente italiano sbarcò a Salonicco, ai primi d'agosto del 1916, l'esercito interalleato di Macedonia - costituito da alcune divisioni francesi ed inglesi, da due brigate russe e dai resti dell'Esercito Serbo - occupava una fronte di oltre 300 km estendentesi dal confine greco-serbo a S. W. del Lago di Prespa allo sbocco dello Struma sul golfo di Orfano. Tale esercito aveva il compito di coprire l'importante base navale di Salonicco e di sbarrare al nemico l'accesso alla Grecia; la lunghezza della fronte in relazione alle scarse forze disponibili lo costringeva ad uno schieramento e ad un contegno puramente difensivi. Il contingente italiano, costituito dalla 35° Divisione agli ordini del Tenente Generale Petitti di Roreto sbarcò a Salonicco l'11 agosto. Esso comprendeva:
la Brigata Sicilia, 61° e 62° Reggimento fanteria;
la Brigata Cagliari, 63° e 64° Reggimento fanteria;
2 compagnie mitraglieri bersaglieri, a disposizione;
1 squadrone di cavalleria;
4 gruppi di artiglieria da montagna (7 batterie);
4 compagnie zappatori del genio;
1 compagnia minatori del genio;
1 compagnia pontieri del genio;
1 compagnia telegrafisti del genio;
numerosi e ben forniti servizi di divisione con aliquote di servizi di corpo d'armata e d' armata.
Appena sbarcato, il contingente italiano fu destinato dal generale Serrail, Comandante in capo delle armate alleate d' Oriente, ad occupare il settore del Kruska Balkan, dal lago di Butkova sulla Struma al lago di Dojran. La lunghezza della linea, superiore ai 40 km e I'importanza di essa richiesero alle nostre truppe non lievi sforzi per assicurarne la saldezza con grandi lavori di fortificazione e vigilanza attiva. Nel settembre 1916 essendosi fatta minacciosa la pressione nemica con l’ingresso della Bulgaria mentre le febbri malariche per contro erano andate diminuendo l’efficienza delle varie unità, il gen. Serrail chiese un aumento del contingente italiano. Nell'autunno del 1916 infatti, coll'invio dei seguenti nuovi reparti, le forze Italiane salirono a 50.000 uomini e 10.000 quadrupedi. Giunsero allora a Salonicco:
la Brigata Ivrea, 161° e 162° Reggimento fanteria;
2 compagnie mitraglieri a disposizione del Comando di Brigata;
3 compagnie mitraglieri a disposizione del Comando di Divisione;
1 comando di gruppo ed un altro squadrone di cavalleria;
3 batterie e 4 sezioni autonome di bombarde;
2 squadriglie di aeroplani;
1 compagnia zappatori del genio;
1 reparto ferrovieri del genio con 16 bagagliai, 150 vagoni;
1 sezione aerostatica auto-campale;
diversi reparti specialisti del genio con notevole materiale teleferico; motoristi con perforatrici ecc;
3 stazioni radiotelegrafiche;
parecchie stazioni fotoelettriche;
numerose sezioni di autocarri ed importanti aliquote di sanità e sussistenza.
L' ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI. Il corpo di spedizione italiano, giunto ultimo in Macedonia, trovò non lievi difficoltà a impiantare i servizi nella base navale di Salonicco, già affollatissima perchè serviva come primo centro di adunata, di rifornimento e di irradiazione a cinque armate alleate. Superando ogni ostacolo i servizi furono subito sistemati in modo che appena tre settimane dopo il primo sbarco le truppe potevano entrare in linea sul Kruska Balkan, a 80 km da Salonicco e andarono poi man mano organizzandosi più perfettamente in modo da sopperire a tutti i bisogni delle truppe anche quando, trasferite nel settore di quota toso, distavano dalla base 200 Km. SERVIZIO SANITARIO Con cura particolare venne organizzato il servizio sanitario che provvide non solo al servizio di sgombero e di ospedalizzazione ma anche a quello di profilassi. Furono impiantati 5 ospedali forniti di complete dotazioni ospedaliere e di gabinetti di batteriologia, di clinica, di chimica, di stomatologia, di radiologia, ecc. La capacità totale degli ospedali era di 4000 posti-letto; il solo ospedale 0151 era capace di 2000 posti distribuiti in alcuni padiglioni in muratura ed in 85 baracche militari - in esso prestarono servizio con alto spirito di abnegazione e di sacrificio, una quindicina di dame infermiere venute volontariamente dall’Italia. Vennero impiantati anche due depositi di convalescenza-tappa ed un convalescenziario per inalanti nella saluberrima località boschiva di Niaussa. Gli ospedali alla base provvidero anche al servizio ambulatorio civile e svolsero una preziosa attività nel soccorrere le vittime del grave incendio scoppiato a Salonicco nell'agosto 1917.
SERVIZI DI COMMISSARIATO, D'ARTIGLIERIA, DEL GENIO Sistemati I magazzini alla base con ogni sforzo sfruttando le scarse risorse disponibili vennero realizzate strutture in muratura, un parco buoi e vari laboratori per le riparazioni, il Commissariato cercò di alleviare le difficoltà create dalle deficienze di trasporti. Numerosi laboratori furono impiantati pure dall'artiglieria e dal Genio; quest'ultimo condusse a termine importanti lavori fra cui utilissimo quello dei pozzi artesiani e delle condutture d'acqua stendentisi per una lunghezza di oltre 6 km. Fu opera del genio la sistemazione della via Canaris - chiamata poi via Italia - in Salonicco, con uno sviluppo di fognature di 1350 m di condotti piccoli e 870 m di collettore. SERVIZIO TRASPORTI AUTOMOBILISTICI E FERROVIARI Importantissima fu l'attività automobilistica che dovette svolgersi in un terreno difficilissimo e su strade quasi impraticabili, di percorso lunghissimo e reso più aspro dalle sfavorevoli condizioni climatiche. Il XXVII° Autoreparto, superando la composizione organica del normale autoreparto, giunse ad avere più di 20 auto-sezioni, con oltre 500 autoveicoli; ai numerosi bisogni provvide costituendo depositi ed officine che poterono eseguire sul posto qualsiasi riparazione. In confronto delle enormi esigenze del servizio i mezzi automobilistici risultavano tuttavia di quantità insufficiente e machine e uomini furono sempre sottoposti ad uno sforzo veramente eccezionale. Un sensibile miglioramento dei trasporti si ebbe nel luglio 1917 quando fu possibile stabilire un treno giornaliero italiano da Salonicco verso la fronte, valendosi delle 10 locomotive e 150 vagoni inviati dall'Italia. Le principali linee di tappa erano due: Una di 180 km da Salonicco a Florina era seguita dalla ferrovia, l'altra di 135 km da Florina ad Erzek si ricollegava alla linea di tappa delle nostre truppe d' Albania, da Erzek a Santi Quaranta. Il tratto Florina-Erzek si svolgeva tutto in zona montana su una strada di percorso assai difficile, costruita dagli alleati ed alla quale soltanto l'enorme sforzo fatto dai nostri automobilisti potè dare un forte rendimento logistico, superiore ad ogni aspettativa. LE OPERAZIONI NEL 1916-1017 La controffensiva condotta nel settembre 1916 dalle truppe serbe e francesi nella regione del lago di Oshovo e di Florina aveva allontanato l'immediata minaccia contro la Grecia e contro Salonicco. Le truppe bulgare costrette ad indietreggiare da 40 -50 km, sotto la pressione franco-serba avevano abbandonato Florina ed erano ripiegate su Monastir lasciando ai serbi il dominio del Kaimackcialan: truppe serbe realizzavano progressi anche ad est della Cerna, nella zona di Venenick, mentre le truppe italiane impegnavano fortemente il nemico sul Kruskan e le truppe inglesi respingevano i bulgari sul Vardar e sullo Struma. Per il cattivo tempo, durante il mese di ottobre le operazioni avevano dovuto limitarsi ad azioni di non grande importanza condotte da serbi e da francesi nel settore ad occidente della Cerna. L'offensiva veniva ripresa nel mese di novembre per giungere alla conquista di Monastir, centro di grande importanza per il nemico. Il principale attacco doveva essere portato contro Monastir da truppe serbe francesi e italiane che avrebbero operato nella pianura e nell'ansa della Cerna coll'obbiettivo di occupare la città e le posizioni dominanti attorno ad essa. Sulla fronte fra la Cerna ed il Vardar, nella zona del lago Dojran e sullo Struma le rimanenti truppe alleate dovevano impegnare il nemico con energiche azioni dimostrative. Decisa l'offensiva, venne destinato a prendervi parte un distaccamento italiano cosi costituito:
Brigata Cagliari, 63° e 64° Reggimento fanteria;
una compagnia mitraglieri;
un gruppo di due batterie da montagna;
uno squadrone di cavalleria;
aliquote dei vari servizi.
Questo distaccamento, con una marcia di 200 km sotto la pioggia e in terreno in gran parte inondato, si portò dal Kruska Balkan a nord-ovest di Florina sulle aspre montagne del Baba e fu immediatamente impegnato alle dipendenze tattiche della 57° Divisione francese. Il 19 novembre ebbe ordine di avanzare tenendo la sinistra sulla cresta dei monti Baba e la destra a contatto delle truppe franco -serbe operanti nella pianura della Cerna. La zona, aspramente montagnosa, elevata dai 1000 ai 2000 metri, tenacemente difesa dal nemico bene appostato, presentava difficolta tattiche e logistiche particolarmente gravi, accresciute da una violenta e persistente bufera di neve. Superata la prima resistenza nemica il 19 stesso, l'ala destra della Brigata Cagliari, dopo aspro combattimento, occupò il Dente di Velusina; l'ala sinistra si impadronì della quota 1182: in tal modo il nemico fu privato delle posizioni dominanti la pianura della Cena e l'avanzata su Monastir divenne più facile. Vinta la difesa nemica ad oriente di Monastir per opera di una colonna del 63° Reggimento fanteria, la sera del 19 le truppe italiane, assieme con quelle francesi e serbo entravano nella capitale macedone. Nei giorni 21 e 22 venne ampliata l'occupazione delle alture ad ovest e a nord della città, ma poi le operazioni dovettero essere sospese perché il freddo intenso e la neve molto alta rendevano difficilissime le operazioni contro il nemico aumentato di forze e favorito da posizioni dominanti. IL CONTINGENTE ITALIANO NEL SETTORE DELLA QUOTA 1050 NELL'ARCO DELLA CERNA Mentre si svolgevano le operazioni su Monastir, le rimanenti truppe italiane venivano ritirate dal Kruska Balkan ed avviate per via ordinaria nella regione di Monastir. Verso la fine di novembre il trasferimento di tutto il contingente si era effettuato, ed il comando italiano fra i due settori di Monastir e di quota 1050 proposti dal Generale Serrail, scelse di presidiare quello della quota 1050. Situato in zona priva di qualsiasi vegetazione, parte in terreno paludoso e fortemente malarico, parte in terreno montano, roccioso, scoperto e completamente dominato dell'avversano. Il settore di quota 1050 costituiva una delle più difficili posizioni del fronte. I franco-serbi ch'erano avanzati in questa zona dopo l'occupazione di Monastir si erano arrestati nelle pendici sud di quota 1050, del Piton Brule e del Piton Rocheux, su una linea che doveva soltanto esser provvisoria e che invece, per forza di circostanze, divenne definitiva malgrado le gravi difficoltà che presentava il possesso di tali posizioni era per gli alleati di capitale importanza. Il nemico concentrò contro di esse tutti i battaglioni prussiani e le migliori artiglierie, ma le truppe italiane seppero così bene assolvere il compito loro affidato, che il Comando in Capo interalleato si oppose poi sempre ad un loro trattenimento in altro settore. Per poter rendere sostenibile la posizione continuamente bombardata dal nemico e priva di qualsiasi riparo naturale, dovettero esser compiuti, attraverso difficoltà e sacrifici grandissimi, ingenti lavori di fortificazione: basta dire che furono scavati 110 Km di trincee e camminamenti profondi da 1,30 a 2 metri per la massima parte in terreno roccioso, costruite oltre 500 caverne in roccia e distesi 130 Km di reticolato della profondità media di 5-6 metri. Le truppe si trovavano forzatamente sottoposte a duri disagi: delle tre brigate costituenti la divisione, due rimanevano in prima linea per due mesi continui, la terza passava in turno di riserva per un mese, lavorando però alla costituzione Iella seconda linea in terreno battuto dall'artiglieria. La difficoltà di rifornimenti e la mancanza di risorse locali obbligarono spesse volte ed anche per periodi non brevi, a ridurre la razione di viveri; per la stessa ragione non affluivano materiali e non fu mai possibile costruire per le truppe a riposo baraccamenti comodi, in modo che esse in qualunque stagione dovettero stare attendete o riparate in misere baracche fatte di pietra e di fango. A queste privazioni materiali altre se ne aggiunsero forse ancora più penose, quali l'irregolarità del servizio postale, che si effettuava da Santi Quaranta (500 chilometri da Salonicco, circa 300 dalla fronte) lungo un'impervia strada montana spesso interrotta dalla neve o dalle frane, e l'impossibilità di usufruire in modo regolare delle licenze. Nella regione squallida, priva di vegetazione e di abitati, il soldato era completamente isolato dal mondo civile. Alle perdite inflitte dal nemico si aggiunsero, gravi, quelle malattie, soprattutto per forme epidemiche predominati in Macedonia malaria, dissenteria amebica, tifo ecc.); nell'autunno specialmente e per la durata di circa quattro mesi, dalla sola linea di combattimento venivano sgombrati su Salonicco in media 6.000 ammalati ai mese, dei quali la metà doveva essere rimpatriata. In queste condizioni vissero le nostre truppe per 21 mesi senza che, per disagi e pericoli diminuisse la loro combattività. Il settore di quota 1050 era ritenuto così difficile che il Comando Supremo serbo giunse fino a suggerire al Comando italiano l'opportunità di abbandonarlo; esso fu invece saldamente tenuto e difeso contro tutti i tentativi avversari dalle nostre brave truppe. L'OFFENSIVA GENERALE DEGLI ALLEATI - SETTEMBRE 1918 Le notizie che nell'estate del 1918 pervenivano al Comando in capo di Salonicco sulle condizioni interne della Bulgaria, stanca della guerra e sfiduciata del successo, lasciavano prevedere che un offensiva generale condotta vigorosamente avrebbe dato buoni risultati. Era però noto che la Bulgaria se era disposta ad abbandonare gli alleati, era decisa a difendere accanita mente le terre che essa aveva riconquistate con tanti sacrifici. Gli alleati disponevano complessivamente di circa 160.000 fucili e 1.600 pezzi: i bulgaro tedeschi di 200.000 fucili e 1.300 pezzi. La maggior quantità di fucili di cui il nemico disponeva era compensato dal maggior numero di pezzi da parte nostra; questo nostro vantaggio era però in parte neutralizzato dal fatto che il nemico possedeva bocche da fuoco di calibro e gittata superiore a quella delle nostre maggiori artiglierie. I bulgaro-tedeschi erano inoltre grandemente favoriti dalle condizioni del terreno assai propizio alla difesa. L'azione principale degli alleati si doveva svolgere contro il centro del fronte nemico, nella regione di Vetrinik-Koziak (tra Cerna e Vardar) col compito di penetrare profondamente nelle posizioni nemiche per forzare l'ala destra del bulgari, minacciata nelle sue comunicazioni, a ripiegare dalla regione dei Laghi e da quella di Monastir e ad aprire cosi la strada verso Prilep e Uskub. Tale azione dovevi essere condotta dall'esercito serbo rinforzato da due divisioni francesi. Un attacco secondario doveva svolgersi per opera di truppe britanniche e greche nel settore Vardar-lago Dojran, non appena si delineasse il successo dell'azione principale, per minacciare sul fianco le forze bulgare che tentassero di ripiegare sulla sinistra del Vardar. Un'altra azione, a scopo diversivo, doveva essere condotta dai greci nel settore dello Struma. Dal settore di Monastir le truppe italiane e le truppe francesi a sinistra di esse dovevano puntare decisamente in direzione Topolcani-Prilep quando i serbo-francesi fossero riusciti a sfondare il centro bulgaro. ATTACCO SERBO FRANCESE Il mattino del 15 settembre, la 2° Armata serba, rinforzata da due divisioni francesi, attaccò il settore di Vetnnik e riuscì a sfondare in poche ore la potente prima linea nemica. Lo sfondamento si approfondì il giorno 16. Contemporaneamente alla sinistra entrò in azione la prima armata serba convergendo ad ovest per rovesciare l'ala destra nemica verso la Cerna, ed alla destra un gruppo misto di divisioni puntò in avanti convergendo ad est per respingere l'ala sinistra nemica verso il Vardar. II nemico continuo a cedere al centro, ma resistette alle ali, obbligando gli attaccanti ad una lotta di 5 giorni; il 21 gli alleati riuscirono finalmente ad occupare tutta la zona compresa fra il ramo orientale della Cerna ed Vardar. CONCORSO DEL CONTINGENTE ITALIANO I compiti ch'erano stati assegnati al contingente italiano dalle direttive del Generale Franchet d'Esperey erano i seguenti:
Nei giorni immediatamente precedenti l'attacco serbo, spiegate intensa azione dimostrativa nel settore dell'ansa della Cerna per impedire al nemico di spostare le sue riserve di Prilep verso il settore serbo, ad est dell'ansa stessa, prescelto per l'attacco;
Sferrato l'attacco serbo, intensificare l'azione dimostrativa e resistere tenacemente a qualsiasi contrattacco nemico sul settore della Cerna per formare il perno della manovra avvolgente della 1° Armata Serba;
Non appena questa manovra avesse avuto l'effetto previsto, sferrare l'attacco delle truppe italiane e spingerle all'inseguimento con obbiettivo Prilep, principale centro di rifornimento nemico.
Questi compiti, erano difficili ad assolversi sia per l'infelice situazione delle posizioni italiane dominate completamente dal nemico, sia perché le artiglierie pesanti nel settore italiano erano state ridotte a tre sole batterle da 155 per aumentare la dotazione del settore serbo.
AZIONE DIMOSTRATIVA Dal 13 al 21 Settembre, con violento fuoco di artiglieria e bombarde ed efficaci incessanti dimostrazioni di fanteria; le truppe italiane incatenarono il nemico sulle sue posizioni, in modo che esso non solo non potè inviare riserve nel settore sfondato dai serbi, ma, ritenendo imminente un nostro attacco a fondo, reagì con tutti i suoi mezzi distruggendo quasi tutte le nostre difese e sottoponendo le nostre truppe a sensibili perdite ed a gravissimo sforzo. Ma le scarse artiglierie italiane del settore e quelle francesi risposero con intensissima azione e le fanterie ricacciarono più volte l'avversario oltre la linea di partenza infliggendogli fortissime perdite. ATTACCO Il pomeriggio del 21 settembre alle ore 17.45, avuto notizie che la minaccia serba contro le retrovie di Prilep si era delineata, Il comandante italiano, generale Mombelli, lanciò le truppe all'attacco. Un'ora dopo, le prime linee nemiche erano dovunque oltrepassate e benché il terreno molto accidentato favorisse il ripiegamento al nemico qualche centinaio di prigionieri restava nelle nostre mani: l'inseguimento proseguì nella notte ed il 22 mattino le truppe erano già penetrate di oltre 10 km in territorio nemico; il 23, superate le ultime resistenze avversarie sulle alture di Topolcani, occupavano il margine settentrionale delle medesime, pronte a spingersi il giorno dopo su Prilep. Ma alle 14 dello stesso giorno 23, dal comando francese giunse l'ordine che l'obbiettivo di Prilep doveva essere lasciato alla divisione francese che era alla nostra destra, e che le nostre truppe, facendo una brusca conversione a Ovest di 90 gradi, dovevano dirigersi su Kruscevo attraverso l'impervio massiccio dei Baba Planina e puntare su Sop per tagliare la ritirata al nemico che dalla regione Monastir-Laghi, rimontando l'alta Cerna, tentava sfuggire per Pribilci e Kicevo su Uskub.
CONVERSIONE SU SOP L'ardua operazione fu iniziata nello stesso pomeriggio del 23, malgrado la stanchezza delle truppe; alla sera esse raggiungevano la fronte: Cepik ponte sulla Beravika, fronte al massiccio dei Baba Planina, distante una ventina di km. Il 24 la marcia fu ripresa benchè vivamente contrastata dal nemico che si trovava sul margine dei Baba Planina, scendente quasi a picco nella pianura di Prilep. Il 25, l'ala destra italiana raggiunse i piedi dei monti, il centro fu arrestato da resistenza nemica al margine del gradino a picco di Kruscevo e la sinistra iniziò l'attacco dalla stretta di Bucin non potuta superare d'impeto. Il 26, tutte le resistenze nemiche furono spezzate, l'ala destra si spinse fino sotto il monte Cesma, il centro occupò Kruscevo, la sinistra giunse fino a Pribilci dove già sbarrava la strada principale di ritirata dell'avversario da Monastir verso Sop. La sera dello stesso giorno una forte colonna di truppe delle varie armi fu spinta da Kruscevo attraverso i Baba Planina su Sop. Il 27 l'ala destra, vincendo gravi difficoltà di terreno avanzava nelle parti più elevate dei Baba Planina e minacciava - assieme con truppe francesi che aveva a destra - l'avversario che difendeva le posizioni a est e sud-est di Kicevo; la colonna centrale giungeva a contatto colle truppe di Sop che pareva volessero difendersi ad oltranza; l'ala sinistra da Pribilci per Delenci avanzava su Sop, collegandosi a sera con la colonna centrale. Il 28, vincendo tenaci resistenze dell'avversario, le truppe italiane stringevano sempre più da vicino le posizioni di Sop. Per ottenere però risultati decisi apparve evidente che, data la natura del terreno, era meglio impegnare il nemico a sud e sud-est aggirandolo contemporaneamente sul fianco sinistro e sul tergo. Il 29 infatti l'ala destra ed il centro continuarono l'aggiramento mentre l'ala sinistra attaccava da sud. Il nemico, che come si seppe poi, nella notte aveva ricevuto rinforzi di truppe e di numerose mitragliatrici, oppose una tenace resistenza obbligando le nostre truppe ad aspri combattimenti che esse affrontavano con ammirevole slancio come ebbe a riconoscere lo stesso generale bulgaro comandante delle forze avversarie. L'attacco si sarebbe rinnovato il giorno 30 e la situazione faceva presumere un sicuro successo; ma alle 5 giunse l'ordine di sospendere le ostilità. Lo stesso giorno si costituirono prigionieri nelle nostre mani, un generale bulgaro comandante di divisione, due comandanti di brigata 240 ufficiali, 7.627 soldati, 7.000 fucili, 70 mitragliatrici, vari cannoni pesanti e da campagna e molto materiale da guerra. Per ragioni di ubicazione e di più facile accesso le truppe bulgare che avevano combattuto contro la nostra ala destra, comprendenti due reggimenti di fanteria, molte mitragliatrici e parecchie batterie si resero alla divisione francese di Kicevo.
VERSO IL DANUBIO E COSTANTINOPOLI Costretta la Bulgaria a capitolare, l'armata alleata d'oriente continuo senza tregua la vittoriosa offensiva irradiando le sue truppe contro le forze avversarie che ancora rimanevano nei Balcani e in Turchia. L'esercito serbo, rafforzato da truppe francesi e greche puntò verso Nish e Belgrado. Alcune divisioni inglesi e francesi, rafforzate da un terzo del contingente italiano, si preparavano ad operare contro la Turchia per affrettarne la capitolazione; le rimanenti forze francesi, inglesi ed italiane, attraversando la Bulgaria si diressero verso la Romania dove pareva che l'armata tedesca del maresciallo Mackensen avesse intendimento di resistere. Ma la Turchia capitolava in breve volgere di tempo, e l'annata di Mackensen, in seguito al crollo della resistenza austro-tedesca in Europa doveva arrendersi. Soltanto i franco-serbi operanti nella vecchia Serbia incontrarono qualche resistenza per rioccupare Belgrado. La generale cessazione delle ostilità arrestava la avanzata e concedeva riposo al nostro valoroso contingente che per 27 mesi, in aspri combattimenti, superando ardue fatiche, privazioni e sofferenze d'ogni genere, aveva tenuto gloriosamente alta in Oriente la bandiera della Patria ed emulato in valore i fratelli combattenti sulla fronte italiano, su quella francese e su quella d'Albania. Nell'ultimo decisivo periodo della grande offensiva le truppe italiane dovettero compiere uno sforzo veramente eccezionale: staccatesi da Monastir per oltre 350 km, attraverso la zona montana difficilissima, priva di risorse, quasi impraticabile per il mal tempo persistente, dovettero sopportare dure privazioni per l’insufficienza dei mezzi di trasporto. Dopo solo 7 giorni dall'inizio dell'avanzata al 75% dei camion era reso inservibile; per conseguenza le truppe, benché cercassero di supplire con tutti i mezzi d'occasione che era possibile utilizzare, si trovarono spesso in grandi difficoltà. Con mirabile prova di abnegazione e di resistenza, i nostri soldati seppero compiere lo sforzo che per le esigenze del momento dovette essere loro imposto: sfiniti, privi del necessario, proseguirono senza posa nella marcia durissima giungendo ai primi di novembre in Bulgaria. Pochi giorni dopo una metà di essi toccava già il Danubio, pronta ad entrare in azione contro la armata del maresciallo Markensen se essa avesse tentato di resistere. Il contegno dei nostri per tanto tempo duramente provati, la loro disciplinatezza, la loro instancabile attività, il loro coraggio valsero a stabilire fra essi e gli alleati una vera fratellanza d'armi e meritarono ripetuti vivi elogi dal Comando in capo. Le perdite da noi subite in Macedonia sommano a 2.841 morti e 5.353 feriti - le aspre condizioni di vita sopportate dalle nostre truppe sono dimostrate dal fatto che dall'agosto 1916 al dicembre 1918 ben 80.000 uomini furono complessivamente ricoverali negli ospedali.