Fronte Macedone 1916-18
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Il terreno nell'ansa della Cerna
​Mario Pecchio

​Nella vasta zona ad est di Monastir, nella piana impaludata della Cerna, che si innesta alle alture sanguinose di quota 1050 e della cima Rocciosa, le truppe italiane, dal 27 al 30 dicembre entravano in linea. E ad esse affidato il posto d'onore, la difesa della disputata quota 1050, che fu oggetto di strenui e violenti combattimenti da parte delle armate serbe ed alleate, nella avanzata del novembre, durante la conquista di Monastir. La quota terribile, che rappresenta in tutta la Macedonia, il punto più arduo, il posto dove si combattono i tedeschi, la quota chiamata anche «del tormento» e più semplicemente «la quota», (omissis).
Al di là della Cerna, addossata a montagne altissime, dove il sole invernale tramonta, Monastir è come una visione tra le evanescenze dell'atmosfera. La strada di Sakulevo, su cui ferve ininterrottamente il movimento intenso, necessario alle operazioni di guerra, conduce a Brod, ove la Cerna (il fiume nero) forma il famoso anello od ansa del fiume, che risale nel suo corso, per Rapes, ad est di Makovo, sino alla foce, nel Vardar. Le casette del paese di Brod, diroccate, cogli usci e le finestre spalancate sulla campagna piena di silenzio e di malinconia hanno sui muri cadenti i segni visibili dei bombardamenti accaniti che appoggiarono l'avanzata dei serbi e degli alleati. Sorgono all'intorno cimiteri militari improvvisati, tombe ancora fresche. Le caratteristiche alture macedoni, da Brod, per Jaratok, Gniles e il massiccio del Tridente dalle tre punte accidentate, prevalentemente argillose si alternano alle colline irte di una roccia che si sfalda o che va in frantumi, alle colline pietrose e formate da schisti argillosi, fatti a strati, ora orizzontali, ora inclinati, ora a linee irregolari e tortuose. Tutte hanno il loro carattere di aridità: non vi è traccia di vegetazione.
Dalle rovine di Paralovo sulle pendici occidentali del Tridente le alture si attaccano dolcemente verso ovest a quelle del Cappello del gendarme, che unitamente al costone di Bilianik, costituiscono lo sbarramento naturale della piana della Cerna, rinsaldato ad est dalla serie fiancheggiante di alture, i cui punti più alti sono rappresentati dal Tridente, col di Vrata, sino allo Smetch che si congiunge alla cima Rocciosa.
È interessante il quadro grandioso del fronte, come si osserva dal Tridente, in tutte le sue sfumature. Serpeggia la linea nemica nella zona eminentemente paludosa e malarica del piano, presso la Cerna, avanti a Dobromir, villaggio dai tetti rossi e dalle casette diroccate. Più ad est sorge il villaggio di Vlaklar, col suo minareto sbrecciato dai bombardamenti; leggere ondulazioni si attaccano dolcemente al contrafforte O, che si collega con una serie di alture senza nome, al Teton Epaule (quota 903) dalla cima triangolare, chiamata anche, punto A. o Collier, dalla forma con cui scende, a forma di collana, il reticolato che ne circonda la vetta. Le alture si fanno sempre più ripide e sassose. Dal punto A la cresta continua verso est a cocuzzoli quasi impercettibili, detti A.1, A.2, A.3, sino a raggiungere la quota 1050. Questa altura non è un monte isolato. Fa parte di una propaggine della catena che dal Badimas, ad est di Prilep, per M. Visoko, Bobiste, cima Rocciosa, Smecth, Ciauka, si protende ai contrafforti del Tridente. Origine di tale propaggine è la cima Rocciosa, con andamento generale N-E,S-O che per la cima Bruciata, il Piton Vert va sino a quota 1050, punto questo più elevato e che si erge con pareti ripide e quasi a picco sulle colline circostanti. Degna di nota la configurazione della quota 1050 che dalla cresta tutta sua speciale, si protende verso sud in un costone lungo e ampio degradante successivamente in dossi, martoriati giornalmente dal cannone, che si abbassano alquanto nella sella di Meglenci, dal paesino omonimo e che si collegano verso ovest alle tre alture di Lebac a nord delle quali trovasi la conca di Meglenci. E questa un'oasi di verzura nell'aridità circostante, ma anche qui rimangono poche casette intatte : fra queste, la chiesina bianca, ove notansi alcune immagini, vari quadretti dipinti sul legno, icone, Santi dalle teste dipinte in una aureola dorata. Dappertutto segni della battaglia recente e tombe isolate di tedeschi e di bulgari... Dalla celletta di Meglenci scendendo al piano, ai piedi della quota, Sukodol Rajà, eleva il suo campanile scheggiato sulla desolazione del villaggio, giornalmente martoriato dal cannone.
​Ad est della quota, la cima Bruciata e la cima Rocciosa innalzano i loro profili brulli e spettrali. Oh! come belle le nostre Alpi lontane, a cui il pensiero corre nostalgico e fidente. Questo, a grandi tratti, il terreno d'azione assegnato (fronte di 12 Km.) difficile in verità, perché comprende la guerra in piano ed in montagna, con un'estensione notevole di retrovie, con distanze enormi dalle basi di rifornimento..(omissis).
Nella regione desolatamente brulla, il terreno è sconvolto dalle esplosioni delle granate e le colline tristi si profilano in tutte le loro sinuosità. Qualche albero, rarissimo, si leva ancora, e nell'arido tronco mostra i segni e le ferite del lungo martirio di guerra.
I bulgari-tedeschi fanno, come noi, apprestando a difesa le loro linee impenetrabili, in posizione dominante alle nostre. Nel silenzio la tolleranza dei lavori è reciproca : ma al più lieve rumore di picconi o brillare di mina, le mitragliatrici si svegliano, rabbiosissime e nella notte, terribili cercano le vittime destinate.
La nostra linea di combattimento, (su una fronte di 12 km 2 brigate in linea, ed una in riserva) in ispecie alla quota 1050 e Cima Bruciata, consisteva soltanto in molteplici buche, poco profonde, non collegate le une alle altre, ove il soldato doveva restare immobile, presso i reticolati che si confondono con quelli nemici. In alcuni punti la linea nostra dista una ventina di metri solamente da quella germanica ed i nostri fanti sono in posizione più bassa aggrappati al terreno ripido. Le trincee italiane, se ad esse si può dare un tal nome, erano quotidianamente soggette a bufere di fuoco. Occorreva scendere nella cavità della terra, per poter vivere, per aver un riparo resistente all'urto ed alle esplosioni di proiettili d'ogni calibro, in ispecie di quelli da 105 mm di cui fa largo uso il nemico e che producono effetti terribili, per le schegge numerose lanciate all'intorno. Un lavoro minuto, faticoso, febbrile; è incominciato subito ad opera dei fanti del 61° e 62° e di quelli della Brigata Ivrea, maestri infaticabili e lavoratori coscienziosi... Scavi di caverne, di riservette munizioni, di nicchie, di ricoveri, a pochi passi dalle vedette nemiche, semplicemente a colpi di piccone, pazientemente. (omissis).
Nel febbraio le posizioni hanno già cambiato fisionomia. Trincee ancora poco profonde hanno unito fra loro le piccole buche: sono servite da camminamenti, che man mano prendono consistenza, sebbene bersagliati continuamente dal nemico, cui nulla sfugge. Entrano in azione le perforatrici del genio, dal ritmo sordo, metallico, incessante; il rumore delle mine si confonde con quello del cannone. I viottoli si trasformano in mulattiere agevoli e le caverne acquistano man mano la loro efficienza. Tutta questa mole di lavoro, a cui attendono con operosità ogni notte i fanti e gli zappatori del genio, si effettua sotto il freddo, il vento, la neve, contro la natura ostile e contro il nemico nelle notti lunghe e rigide, mentre i razzi, i riflettori, frugano tutte le pieghe del terreno….(omissis). 
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