ERNESTO GROSSI NATO A CASTROCIELO (CASERTA) IL 15 MARZ0 1893 LAUREATO IN LEGGE ALLA R. UNIVERSITÀ DI NAPOLI CAPITANO DI COMPLENTO DEGLI ARDITI FIAMME NERE CADUTO SUL GRAPPA IL 14 MAGGIO 1918 GIÀ DUE VOLTE GRAVEMENTE FERITO DECORATO DI MEDAGLIA, Di BRONZO AL V. M. E DI DUE CROCI DI GUERRA PER ENCOMI SOLENNI
Ottobre 1915
Ai genitori, Mi trovo in trincea e solo mi dispiace la vostra pena. Ma non sono nel dolore tutte le famiglie d' Italia? Noi sapremo difendere la nostra bandiera, e voi saprete essere sereni. Spero che le mie parole varranno ad impedire lacrime sterili. Venne la guerra a rapire in un turbine la gioventù nobile d' Italia. Ma noi la volemmo perchè era necessaria. Ora bisogna vincere. Voi ci vedrete tornare cinti di allori. Noi diremo a voi «il nostro sacro dovere compimmo. Ora siamo felici».
L'11 Agosto (dal deposito dove era stato rinviato dopo esser stato gravemente ferito)
Non il disgusto della caserma m'indusse a partire con le mitragliatrici. Se fossi stato diverso mi sarei accomodato, come altri, al regime di piccole transazioni, e ne avrei senza rossore goduti i vantaggi. Ma io ho un altro padrone. Un padrone severo ed inesorabile che mi legge nell'anima ogni sentimento, nel cervello ogni pensiero. Esso prescinde da ogni affetto, da ogni interesse, da ogni tornaconto; vive di forza propria ed é immutabile attraverso gli eventi variabili. È il dovere che ci fa giustificare la sventura il dolore e il capriccio della sorte. Pure esso è fonte di sana, gioia. Che cosa sono i piaceri che si traggono dal mondo esteriore? Fantasmi vuoti di sostanza, combinazioni di fatti evanescenti, come le combinazioni di luce riflessa dalle faccette di un diamante.. Brillano per un istante solo e poi si spengono per sempre. Non dura a lungo Ia felicità che deriva da cause esterne che non possiamo dominare. La vita è continua distruzione, perché è Continua creazione. Io sono contento di me». Che ne sarebbe di me se mi fossi nascosto? Ogni ricordo un veleno, ogni augurio uno scherno per l'impostore...
Alla fidanzata. MI accorgo che sei un pò triste - povera bambina! Pensi forse alla pena del tuo Ernesto che é lontano, alla neve che gela le sue membra, all'insidia che talvolta presso di lui si nasconde? E alla sera tu pensi alla fatica superata ed al mattino alla prova incerta che Io attende? E' sempre l'ansia dell'ignoto! Ma perché chiedere ad ogni ora il diritto alla vita, perchè struggerti invano? Io non ti voglio così. Occorre che tu ti faccia quella coscienza di guerra, per cui è legge ad ogni cuore il destino. Se il piombo mi atterra io sorgerò ancora, e se mi uccide volerà a te l'anima mia. Soffrire senza un lamento è il mio dovere, ed il tuo quello di preparare la festa con fervido amore. Cosi suona la coscienza di guerra.
Dall'ospedale di Bassano, (in attesa della venuta degli zii). Oggi vengono, come domani verranno — dovunque. E' la tema incerta ed eterna dell'avvenire che non ha legge e che non si può regolare col cuore gonfio di affetto. E' il disperato amore che si tramanda col sangue ai cari che da noi discendono, e che ci fa sentire nostro il loro dolore; è la folle speranza che non si può sradicare perchè conflitta nell’imo dell'essere, perchè su di essa la nostra vita riposa. E' l'immenso bisogno del bene, è l'immenso terrore del male. Oggi vengono e domani partiranno, un pò pallidi sotto il peso del vuoto. E torneranno nella casa lontana con la spina confitta nelle carni che palpitarono. Torneranno tristi col loro sogno che non fu appagato — per soffrire un'altra volta.
Novembre 1917
Dopo oltre un mese di speranzosi palpiti e di rabbioso disperare, noi ci troviamo in un fremito che ci accumuna come ad una festa, alla piccola luce che domani sarà una fiamma travolgente, se avremo fede. Che dirvi della vita passata? Ho atto un pò di tutto. Premuroso ed inesorabile coi soldati, riconoscente dei buoni e Castigatore dei cattivi, ebbi il piacere di portarmeli tutti fiduciosi e compatti nelle vie lunghe della ritirata, e facemmo miracoli»
Novembre 1917
Nell'alba già chiara scivolarono nel fiume turbinoso due barche, contro la vigile custodia nemica. Eravamo tutti volontari dell'avventura, ed avevo scelti i miei soldati fedeli, audaci, svelti e pratici di zuffe. L'avventura era l'ignoto — erano pochi, erano molti i barbari? — Calma, come un'ondata la barca tagliò la corrente, con un piccolo fragore di remi sul fondo sassoso — A terra prostrate le armi ci avviammo in esplorazione. Qualche fucilata e qualche fuggente ci aprivano il cammino. I primi posti di guardia si ritrassero per chiedere rinforzo — E le belle mitragliatrici si avanzavano silenziose. Quando s'iniziò lo sbaraglio vidi e sentii la furia, ma dimenticai di avere paura. Parecchi nemici vennero uccisi e fatti prigionieri, e poi ci portammo innanzi per acchiappare gli altri, ed era piacevole caccia di leprotti. Ma ci fecero ritirare perchè l'obbiettivo della spedizione erasi raggiunto, anzi superato, e gli austriaci correvano troppo. Il Generale mi strinse la mano tanto forte da farmi soffrire ed il Colonnello mi riempì le tasche di sigarette (N. B. non se ne trovavano da 24 giorni).
NEGROTTO MICHELE NATO IN GENOVA COLONNELLO 12° REGGIMENTO BERSAGLIERI CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 2 GIUGNO 1915
A te, Enzo figlio mio, nel momento di lasciare la vita per sempre, questo il retaggio che il tuo papà ti lascia, sii obbediente e rispettoso verso tua madre; essa sola ormai nel mondo, fedele al nome ed al ricordo di tuo padre, ha diritto di trovare in te la sua consolazione e il suo appoggio solido e sicuro, in te figlio nostro carissimo. Sii sempre e dovunque onesto, laborioso e coraggioso, orgoglioso del nome di italiano e adoperati in tutti modi perché le tue azioni servano ad accrescere la potenza e la gloria della nostra nazione e ad onorare il nome intemerato che io, ti lascio in eredità. Tanti grossi bacioni dal tuo papalotto che ti ha sempre voluto tanto bene.
LEONARDO CAMBINI NATO A LIVORNO NELL’ ANNO 1882 PROFESSORE DI LETTERE NELLA R. UNIVERSITA’ DI PISA CAPITANO DEL 129° REGGIMENTO DI FANTERIA MORTO IL 12 GENNAIO 1918 IN SEGUITO A FERITE RIPORTATE IN COMBATTIMENTO DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO al V.M.
Venezia 16 Ottobre 1915
CARO NICCOLAI, Tu che hai quattrini piglia un bel biglietto e vieni a godere Venezia al buio. Non l'abbiamo mai veduta così bella: stasera, sotto l’albore diffuso di una luna velata le Procuratie si stendevano a perdita d'occhio, e i vani neri delle finestre davano un risalto strano alla linea dell'antico e agli archi dei balconi: in fondo, un accavallarsi, un aggroviglio di cupole, di cuspidi, di ricami lumeggiati d'oro qua e la: e dall'ombra che lo fasciava per tre quarti balzava nell'aria il campanile possente. In cima, un punto di luce: una stella o la testina dell'angelo che ride alla luna? — E tu, buon Niccolai, tu potresti goder bene questa rivelazione divina; potresti sentir davvero come i Maestri nostri abbian creato queste divine opere di bellezza non soltanto perchè le ammiriamo in pieno sole o sotto la luce falsa e sfarzosa delle lampade ad arco: ma perchè ci parlino al cuore, così come parlavano ad essi, che le vagheggiarono, queste figlie della loro fantasia, del loro sogno, in questa luce serena e pacata che dà al marmo una morbidezza, quasi, di cosa immateriale; che fascia di un velo sottile d'incantesimo questi portenti divini dell'arte. Tu potresti ammirare e analizzare e sentire fino in fondo: io, ad un certo punto, mi metto a piangere. Sempre, sempre, era venuto Lui con me: e lo avevo condotto, lo avevo guidato a Perugia, ad Assisi, a Pompei, a Napoli., a Genova, in Riviera, e, quando non avevo potuto accompagnarlo, gli avevo fatto io i piani delle gite; e gli avevo io illustrato quel che sarebbe andato a vedere: avevo voluto suscitare in Lui questo bisogno di bellezza e di grandezza che ha dato, ha dato, si, povero figliolo, i suoi frutti... Era così intelligente ! e aveva un'anima così aperta ad ogni opera di bellezza e di bontà: e così buono era ! ! Era, era, era, capisci... Povero bimbo mio. Io vivo con Lui tutta questa mia nuova vita di soldato: e se Dio mi dà la grazia di vederli, ho portato apposta la pistola, sua, quella, che han tolto di dosso a Lui ferito a morte per riprender la partita interrotta il 30 Giugno..., ma vedrò?...
Zona di guerra 30 Giugno 1916
AL PROF. AGOSTINO SAVELLI, Gli amici pisani mi scrivono con la stessa vostra ansia angosciosa della vostra amara dolorosissima, attesa: ma mi dicono anche che niente nessuno ha finora contradette le prime confortanti notizie. Si aspetta si aspetta con fiducia e con strazio. E l'atteso verrà. In questa grande guerra, in questo fatto superiore a tutte le nostre immaginazioni, che ha brutalmente, ferocemente sconvolto tutti i nostri sentimenti, tutte le nostre idee, una verità consolante si è a poco a poco diffusa nei nostri cuori, una pacata certezza, che permette a noi di abbandonarci fidenti, sereni, nelle braccia, di Colui che sa. Mai come oggi abbiamo sentito che misera, che meschina cosa siano le forze, le potenze degli uomini, e 'come tutto sia retto da una mano potente, che nessuno di noi può regolare, di cui nessuno può scrutare i movimenti. A questa mano mi affido: la so giusta e pia, so che misura il vento al vello delle agnelle, so che misura il dolore alle madri. Hai sofferto tanto, povero amico mio, in questi giorni, e la sofferenza vedrai cesserà: quando? Presto: credo prima dell'11 Luglio. Vedrai, Savelli, vedrai; tu sii buono e spera e prega. E vedrai che quando l'altare sarà fatto, e pronta la vittima, e il braccio sarà alzato per colpire, il Signore non lascerà che il sacrifizio si compia. Io oggi rivivo l'agonia del mio povero fratello, che l'anno scorso, a quest'ora, aveva già avuta la sua ferita, che agonizzava, a quest'ora, nell'ospedale; e sono tutto preso dal dolore del suo sacrifizio, e, così innalzato, mi par di vedere, nelle cose nostre, e al di là. E ti dico di esser forte, fiducioso e sereno: e spera e credi.
Zona di guerra 8 Luglio 1917
ALLA MOGLIE, Una bomba è scoppiata un pò troppo vicina, e una scheggia mi è venuta, a colpire proprio sul naso. Dice Truci: «Sono disgraziato! Se ti pigliava nell'occhio: te lo fregava e ti rimandavano a casa... » Ma io son più contento così: quando verrò a casa in licenza ti regalerò la scheggia; ma non ti potrò far vedere la ferita, perché in due giorni si è già chiusa e rimarginata. E così anche tu vedrai cosa sono mai di terribile queste famose schegge di bomba; un pezzettino di latta non più ampio di mezzo centimetro quadrato, che mi hanno fatto un taglietto come quelli che Benna si faceva sul naso, quando ruzzolava le scale. Ma, son disgraziato! una ferita sul viso, che non mi lascia cicatrice, ed è per di più opera di proiettili italiani! o Trucina, mia, bimbina cara, sarà passato l'8 di luglio, e tu non avrai avuto nulla da Papà tuo: ma Papà tuo oggi è stato tanto tanto con te, bimbina mia, ha vissuto con te stretto stretto in una sorte di meraviglioso stupore, che m'impediva di vedere la tenda, i soldati, la guerra. Ero tornato un ragazzo, e avevo vicino una bimba: e questa bimba, ancora come allora, mi si prometteva faro e luce della mia, vita: unico faro, amica mia, unica luce. Per tutto il bene che mi hai dato, per tutta la felicità che mi darai, io ti tendo da lontano le braccia; nè la lontananza mi duole quest'anno e non duole neppure a te, quest'anno, l'ultimo che passeremo divisi. Sii sicura di me, amore mio: quando scesi a riposo, dopo il mio mese di trincea, corsi subito a Lui, e a Lui chiesi perdono di non poter esser come Lui bravo ed ardito: Lui mi ha capito, Lui mi ha visto e sa. Sa che io, buono e bravo soldato, non posso abbandonarmi alla gioia che Egli volle, e che io gli invidio: non posso e non debbo. E a Lui io ho chiesto perdono della mia necessaria prudenza, che tanto contrasta con il suo generoso ardimento. Sii tranquilla, bimbina; vivi sicura, riposa tranquilla, in me, nella mamma, in Lui, povero bimbo nostro: e sta sicura che vinceremo, e che tornerò e che la tua luce, il tuo affetto, mi scalderanno, mi illumineranno vicina. Papà tuo stringe in un abbraccio solo i bimbi e te.
ROBERTO SARFATTI NATO A VENEZIA IL 10 MAGGIO 1900 STUDENTE VOLONTARIO DI GUERRA SOLDATO SEMPLICE NEGLI ALPINI CADUTO COMBATTENDO SUL MONTE ECHELE IL 28 GENNAIO 1918 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ORO AL V. M.
23 Maggio 1915
PAPÀ MIO, TI scrivo dopo il decreto di mobilitazione, dopo cioè che la guerra è stata virtualmente dichiarata. Papà mio, che momenti, che gioia, quale ridestato fervore di patriottismo in questa nostra Italia. Ho visto vecchi piangere di commozione e giovani abbracciarsi per la gioia. Era un solo grido in tutti: Evviva L'Italia, una sola speranza la vittoria; un solo proponimento il proprio dovere. E non solo in questo fervore di anime e di cuori, ma anche prima io avevo un solo dovere quello di arruolarmi. Io sono abbastanza grande di statura e possente di forze e sviluppato d'intelligenza se non di età per farlo; io mi sento abbastanza robusto per sopportare le fatiche e gli strapazzi della guerra. Io penso che non si fa impunemente l’interventista per nove mesi per rimanere a casa giunto il momento buono. Papà, papà mio buono, e tu mamma, che sai comprendere quello che il mio animo contiene in sè in questo momento, datemi il vostro permesso e la vostra benedizione, datemeli perchè io sento io sento che con essi andrò corazzato contro le palle nemiche. Credilo, papà, io non andrò in guerra per uno stupido desiderio di distruzione o di avventure, io ci andrò perchè così vogliono la mia coscienza, la mia anima, le mie convinzioni. Io non so se morrò, ma anche se questo accadesse, che sarebbe ciò? La morte trovata combattendo pel proprio Ideale non è morte, ma trapasso, il sangue versato per un idea fruttifera e produce. E poi, che cosa è la morte di tanto terribile che si debba temerla e odiarla come una nemica? Ricordati, ricordati di Socrate, e rileggi ciò che egli diceva prima, di morire. E che cosa ti sembra meglio, la morte incontrala a quindici anni, combattendo per l'ideale a cui si abbandona come alle braccia d'arridente sposa oppure da vecchi in un letto e senza ricordarsi d'aver fatto niente di glorioso? A me pare non dubbia la scelta. Ricordati che questa sarà una di quelle guerre in cui da vecchi, chi «dovrà dir sospirando io non v'era», sarà guardato con disprezzo da, tutti, perciò tu, che sei interventista, e che sai che ho la capacità a sopportare una guerra, mi darai il tuo permesso e così anche la mamma. L'aspetto presto, domani, anche per telegramma. Salutami tutti, Amedeo, Fiammetta salutameli forse per l'ultima volta tutti e ricevete un bacio, tu e la mamma. ROBERTO
15 Dicembre 1917
CARA, CARA MAMMA, Ricevo la tua lunga e cara lettera del 12. Mi domandi come ho perso la roba è stato una, mattina che siamo andati alla baionetta, per essere più libero nei movimenti, ho gettato il sacco a terra che la conteneva e anche il rotolo e «Avanti Savoia». E' stato un assalto da ridere, perchè i Tedeschi sono scappati via quasi subito e non avevano nessuna, mitragliatrice per fortuna. Ma si sono vendicati poi con un bombardamento d'inferno. Se tu sapessi che sensazioni desta un bombardamento di quella specie! Si era distesi per terra senza nessun riparo. Con un pò di pratica si conosce dal sibilo la direzione e il calibro d'un proiettile. Questo che fischia come un uccello — sssi... sssi... — è un proiettile da montagna; oh ma scoppia lontano! Quest'altro vuv-vtiff — è un 305 corto a destra: boom! ecco scoppia. Ed ecco il 75 elegante e preciso, questo mi scoppia proprio sopra la testa; ssen pan! Mi ricopre tutto di terra. E le schegge sembrano mosconi che passino rapidi. Una mi ha (già te l'ho scritto) ammaccato l'elmetto. Non credo che si possa dare l'impressione, sia pure approssimativa, che desta un bombardamento. Sembra d'essere il centro d'un fuoco d'artificio. Ho molta simpatia per l'artiglieria da montagna. E' elegantissima. E le mitragliatrici? Sembrano comari che si raccontino delle maldicenze ta ta ta ta... bella ragazza, ma... Dio ce ne scampi e liberi. E poi ci sono le pistole; ti...ti…ti, quelle paiono collegiali che giocano e urlano come uccellini spauriti. Uh, l'ha presa, ma no... veh!, scappa ! Brava, Rosa! corri! Ti... ti... ti... Ed é la, morte che passa! Ah, la mort est una gaie mài tresse! E quando si sentono cadere le schegge intorno a sé, si hanno dei momenti di dubbio. Mi prenderà, si... no... si... chi sa? Era, mi pare, il 5 dicembre; quel giorno, poi venne d'improvviso l'ordine di ritirarsi. La destra aveva ceduto e se si fosse stati là ancora mezz'ora si era tutti presi. Ecco come ho perso il rotolo e la roba. Mi dici di scriverti tutti i giorni; ma come è possibile, santo Dio! Non tutti i giorni può partire la posta, sai. Non sempre vengano a prendere la posta in partenza e... pour cause! Mandami francobolli, che qui non si trovano, e soldi. Mi hanno voluto proporre per la nomina a caporale. Ma non mi lascerò ubbriacare dalla gloria, sai, e penserò sempre, sia pure nella porpora di caporale, alla umile casetta dove nacqui. Mi raccomando appena saranno ristabiliti i pacchi postali, di mandarmi, oltre alla roba da vestirsi, anche roba da mangiare, magari periodicamente. Tanti baci al mio Fiammin caro, a Amedeo e al papà. Il tuo ROBERTO
31 Dicembre 1917
Questa sera è l'ultima dell'anno; io la passerò lavorando sotto alla imminente luna», lontano da voi che amo, ma vicino col cuore, come non mai. Che Dio vi benedica tutti per l’anno nuovo e con voi benedica l'Italia e inspiri gli animi di tutti gli Italiani, affinchè si ricordino di essere prima di tutto, e innanzi tutto, tali. Io vi abbraccio o vi bacio tanto a lungo e vi voglio più bene.
SONSINI CLEMENTE NATO A CAPESTRANO (AQUILA) IL 1° GENNAIO 1895 TENENTE DEL 238° REGGIMENTO FANTERIA MORTO IL 25 MARZO 1918
8 Aprile 1917
Sono in marcia per la nostra destinazione. E' la terza volta ormai torno in trincea. Sono calmo. Ho la coscienza di compirlo intero il dovere. Sarò sempre forte per te, per tutti voi che mi amate. Sorridi alla, mia povera mamma, dille che ho una fede illimitata nella vittoria, nel mio ritorno, nella nostra felicità. Qualunque siano le mie notizie, liete o dolorose, le comunicherai subito ai miei. Sarò degno di voialtri forte, coraggioso. Voglio che possiate benedirmi ora e sempre. Anche nel martirio più atroce, anche nella più orribile sciagura potrete essere orgogliosi di me, che vi porto nel cuore, che vi bacio con l'ardente pensiero.
25 Aprile 1917
Stanotte ha nevicato un pochino ma ora vi è il sereno splendente: tempo da areoplani, dicono i soldati. Il sorriso della primavera è soltanto nel cielo, poi ovunque è un inverno desolato, tutto silenzioso e privo di mistero. La primavera adesso mi pare un delirio di fantasia, un sogno lontano del quale l’anima è ancora palpitante. Provo sempre mille sensazioni nuove, mille fremiti dolci, arcani, e la vita intera passa in un vaneggiamento sottile, con ansie trepide, speranze radiose, abbandoni voluttuosi. Il reggimento va avanti, nella linea dei rincalzi. Io rimarrò qui per altro tempo: sono stato scelto ad istruire un reparto d'assalto. Il mio incarico è lusinghiero, di fiducia, sebbene grave di responsabilità. Vorrei che non vi rattristate troppo pensando a me: tutto passerà come son già passati gli altri anni di lotta. Sono abituato ad impormi a me stesso, e guardo costantemente l’avvenire che mi sorride dolcemente allettatore, e mi cullo nelle speranze del domani tranquillo quando, vinta la guerra, sapremo apprezzare maggiormente la vita, godere di più e con migliore coscienza. Il vero eroismo sta nel saperla vivere questa vita lenta, piena di privazioni, di sacrifici, di disagi, nel saper attendere con calma, nell'aver una fiducia incrollabile; se la lotta si riducesse solo al combattimento, non sarebbe poi una cosa tanto grande. Ed ora si è forti e tranquilli come me.
12 Maggio 1917.
LE cime dei giganteschi abeti si slanciano verso il cielo chiaro, con aneliti d'ardore e di voluttà. Io guardo sempre il cielo perchè è bello, misterioso, infinito. Le cose infinite son fatte di aria, d'azzurro, di profumo; esse raccolgono il sospiro e la preghiera delle anime intellettuali; esse hanno il fremito di tutta la poesia della vita sublime. Ci sono areoplani nel cielo. La freschezza d'ogni mattinata bella è straziata da battaglie aeree.
LUIGI SALARGLI NATO IN CESENA IL 26 OTTOBRE 1885 LAUREATO IN MEDICINA ALL’UNIVERSITÀ DI TORINO TENENTE MEDICO MORTO IL 13 MAGGIO 1918 IN SEGUITO A MALATTIA CONTRATTA NELLA PRIGIONIA
18 Maggio 1916
Dal diario della prigionia. Dalla Vallarsa, di sotto a Rovereto, da due giorni siamo sotto una pioggia torrenziale di ogni calibro, di ogni genere. Scoppi, sibili, esplosioni assordanti! Per fortuna ho trovato una roccia dentro alla quale posso impiantare un posto sicuro di medicazione. Affluiscono i feriti e portati dai miei coraggiosi aiutanti e accorsi trascinartisi a piedi, a carponi. Ad un tratto mi accorgo che un sepolcrale silenzio è subentrato all'infuriar tempestoso della battaglia. Ore di prolungata angoscia. Attendo inutilmente i miei portaferiti e tutti i feriti già medicati e non gravi scomparsi. Sopraggiunge la dolorosa notte. Gemiti, gridi rompono l’oscuro silenzio. Affranto, disteso fra quei martirizzati, cerco consolarli con le mie parole, attendendo l'apparire dell'alba! Lunga, prolungata l'attesa! Ai primi albori, scorgo ancora attorno a me una cinquantina di feriti gravi! Riprendo le medicature. Due occhi di un viso fanciullesco mi fissano immobili... Sono impotente! Marchiamo di acqua: dove procurarla? Mi sporgo dal cavo: calma sepolcrale! Non scorgo nessuno... Dà oltre 24 ore, non cibo, non acqua! Aumentano gli spasimi, i guaiti le strida... Uno s'irrigidisce vicino a me. Il sole è già alto! La disperazione non mi dà nessun consiglio. L'arsura strazia quelle addolorate fauci. Le ore trascorrono lentamente! Oh! come ricorderanno quegli infelici fanti del 1° Battaglio e dell'80° Io sforzo delle mie parole inutilmente consolatrici... Finalmente i cuori nostri balzano, ci sembra udir voci umane... mi sporgo fuori con tutta la mia persona. Certamente sono scorto non sono voci umane, sono grida umane; in un attimo siamo attorniati... Sono austriaci! Raccomando, impongo loro il rispetto ai miei feriti. Sembra di essere ascoltato! Il sergente è triestino e mi affido, ci affidiamo a lui. Moviamo come al seguito di un mesto corteo. Il sole è scomparso, nuvole nerissime si accavallano, il temporale già minaccia acqua... Raccolgo una coperta per avvolgermi e imploro acqua, acqua... Il triestino dà fortunatamente ordini per provvederla: oh! benedizione! ... Rimaniamo un momento solo io e lui. Mi abbraccia e mi propone la fuga insieme!... No, no, non voglio abbandonare i miei cari. Vengono le gamelle! come proterve si attaccano quelle labbra secche, aride da incipiente febbre! Quei volti abbattuti si trasformano. Odo ordini in voci gutturale. E' il triestino che comanda! Non si scosta da me, e, senza comprendere, sento che raccomanda con grazia la, delicatezza del trasporto de' miei cari feriti, dai quali cerco non allontanarmi. Questa volta l'avrei abbracciato io! Non sento nemmeno più lo stimolo del l'intensa fame.... Siamo in movimento! dove ci porteranno? In questo, succede un gran tramestio. Entrano in mezzo alle nostre colonne tre soldati austriaci armati di coltellaccio, furibondi, con gli occhi fuori dalle orbite, gesticolando forsennatamente, urlando, minacciandoci. Cercano di avvicinarsi a me col braccio armato. Ignaro di ciò che volessero, li guardavo fissamente e attendevo... Il triestino impose loro di uscire d'infra le file e mi disse poi che io l'avevo scappata bella !! L'avevo già compreso!
Agosto 1916
Ci sembra vivere in un roseo sogno! Una felicità straordinaria c'invade tutti; tutti i nostri spiriti sono sollevati! Scomparse sono le nostre pene, e chi può pensare più a queste? Gorizia è caduta! Oh come sono avviliti i nostri carnefici! non hanno nemmeno più il coraggio di reagire contro di noi! Da, tutto il campo echeggia il grido di W l'Italia Noi ci abbracciamo fidenti... E loro ammutoliti lasciano tutto fare! Sono avviliti, però qualcuno sembra condividere la nostra allegria... Oh! almeno finisse la guerra! Non ne possono più nemmeno loro. La fame li tormenta! Come sgranano quegli occhi pieni di avidità allo scorgere i nostri pacchi .., per una briciola di pane alcuni messi alla nostra guardia si prostrano ai nostri piedi. Soffrono però, si consumano, rimangono idioti, ma ciecamente subiscono i comandi. Anche loro pensano alle famiglie lontane, alle quali è proibito di scrivere che l'inedia fa morire, ma la notizia giunge loro ugualmente... e resistono. Dalle discussioni loro comprendo il loro serio timore l'avanzata nostra sempre progredisce e loro sono costretti a sgombrare.
Maggio 1917
Oh! come è triste la prigionia! Ore piene di sconforto, di nostalgia. E' un anno che io sospiro in queste bolge! Trecentosessantacinque volte si è levato il sole, per farmi assistere, collo strazio nel cuore, al solito, doloroso dramma! I nostri fratelli imputridiscono, denutriti e sfiniti, in quelle baracche fetide, in quegli immondi pagliericci! E che nessuno raccolga i nostri gridi d'aiuto e di... maledizione contro l’Austria? E sono migliaia i caduti, già scheletriti prima della morte, che hanno invocato, benedicendola quale liberatrice, e hanno imprecato contro gli aguzzini e i carnefici! Mai Austria è stata umana, e men che meno oggi che sente di perdere la Partita. Oh! se fosse dato distruggerci! Per noi, mano assassina, ma anche per i loro soldati, affamati, trattati come bestie, come macchine, disciplina di ferro e loro sommessi e feroci sempre più, più di ingrazionire il padrone, ubbidiscono ciecamente.
Novembre 1917
S'inizia l'ora di tristi giorni... oh, come la loro mano creduta oggi vincitrice peserà su noi
Novembre 1917
In alto i cuori, compagni di sventura... L'oblio cada sul triste fato del 24 Ottobre... Troppo abbiamo sofferto noi relegati! Altro che sfondamento! Dal Grappa al Piave la voce della giovane entusiasta recluta che grida: qui non si passa!
DEMETRIO PILLAS NATO A PERUGIA NEL GENNAIO 1897 S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 23° BATTAGLIONE D’ASSALTO «FIAMME CREMISI » CADUTO COMBATTENDO IL 27 MAGGIO 1918 PROPOSTO PER LA MEDAGLIA D' ORO AL V. M.
Zona di guerra, 10 Luglio 1915
MAMMA, Ho compreso! So! Quello che il mio essere aveva con orrendo intuito presagito, che la mia mente aveva subodorato ed il mio cuore fino a dianzi rifiutato, mi si è svelato in tutto il suo profondo, con, crudele verità. Ho ricevuto ora la tua cartolina del 3, dopo sette giorni. Sono orfano di padre. Vedi, la mia mano non trema. Io non ho pianto, non ho vacillato. Ho riletto la tua cartolina cinque, dieci volte, con orribile bramosia, cercando di indovinare attraverso le righe sul tremolio dei caratteri, poi non ho più mosso. La mia mano non trema e rabbrividisco. Il mio cuore sanguina, eppure una calma apatica è in me. Guardo l'immensità del baratro in cui sono sceso e mi domando come. Non potevi essere più enigmatica e più esplicita. Quando da questi monti mi spingevo avanti con i miei soldati, ed un invincibile, amore era in noi, mio padre moriva... Quando? Come? Era dunque lui, babbo, questa notte, mentre passavo ispezione alle piccole guardie, che mi è apparso, verso il Nord, sullo sfondo cinereo di un cielo lampeggiante? Si, era lui, esiste un al di, là! Una piccola luce umana, ritta, che mi fissava. Credevo, sapevo fino allora che mio padre viveva, e sentivo, ho visto che era lui che mi guardava. Rammento un'altra volta, ma sarà un dieci giorni, ho avuta la medesima visione Mio padre è con me. Ma una cosa, io non sento. La tragedia. Tu mi scrivi in questo sentimento. No, mamma, non chiamarla tragedia. La tragedia è una cosa fulminea, strana, sanguinosa. E' il frutto di un'ebrietà, o di azioni malvage. E' un mesto tramonto. Noi non dobbiamo ululare dal cordoglio, né rendere sinistra la sua fine. La sua vita, unica, indissolubile, piena di un'infinita tenerezza ne è testimone. E' il tramonto calmo, senza pene, senza rimorsi di un uomo che fu infinitamente buono. E' la fine della giornata serena, di chi ha sempre lavorato, di chi ebbe la vita con tanti pochi raggi di sole. Egli non ci abbandona, sta, con noi. Non è un addio, è un congedo. Egli si conceda da noi, modesto, semplice, come modesta, semplice fu la sua esistenza. La sua giornata ha finito il suo corso, è declinata, dolcemente senza dolore. Egli ci lascia un retaggio di affetti, di nobiltà d'animo, di onestà, di dolcezza, più ricco di qualunque tesoro. In questo momento la foga del pianto mi assale, ma non piango. Non piango, non piangere mamma, di ai miei fratelli che non piangano. Non dobbiamo piangere, Egli non lo vorrebbe. Ma nel tesoro del nostro essere bisogna conservare di Lui tutto, perchè è nel venerarlo che purifichiamo noi stessi e lo amiamo di più. Non ti dico parole di conforto. Non bisogna il conforto a chi ha ai tuoi sentimenti. Non ti piegare, non ti accasciare. Vedendo la sua fine come la vedo io, e come dobbiamo vederla, aumenta l'amore e non il dolore. Non so se questa lettera ti arriverà o quando. Scrivimi tutto non nascondermi niente. Parlami di Lui, di te, di quei poveri ragazzi. Essi sono molto più sventurati di me. Dimmi come siete restati. Io vi mando ciascun mese lo stipendio netto. Circa 150 lire. Io prendo l’indennità alpina e l'indennità di guerra. Cercherò di mandarvi dell'altro. Ditemi, per essere a posto, che somma vi occorrerebbe. Per la casa vi consiglio di restare nella medesima. Non vi dico altro. Non sono più capace, ma lo immaginerete voi che vorrei dire. Il mio cuore, il mio essere con voi. DEMETRIO
Zona di guerra 20 Luglio 1915
CARISSIMO FRATELLO Scrico a te come capo della famiglia a cui incombe un sacro dovere. Tu sarai conscio della tua responsabilità: la sventura passata sul tuo cuore, avrà distrutto gli ultimi residui di fanciullezza: il dolore ti avrà fatto uomo. Sarà meglio che questa mia, non sia letta che da te. Almeno alcune parti: del resto ne puoi fare un sunto a voce. Ripeto che ti parlo da uomo e son sicuro che rifletterai e provvederai in seguito da uomo. Veglia sulla nostra famiglia. Siine il capo per indirizzarne gli sforzi ed addossartene le fatiche, non per autoritaria vanità. Veglia costantemente su quelle tre povere donne, con amorevolezza di figlio e di fratello. Sii custode geloso della loro e tua dignità, dei decoro della famiglia, dell'integerrimità del nome che mio padre mi trasmette e che io ti delego. L'esempio mirabile di onestà, di lavoro, di bontà infinita, che egli ci lascia, sia tua guida e tua, meta agognata. Saremo noi lavoratori, onesti come Lui, ma forse non potremo essere parimente buoni. Ama tua madre, ma di un amore fatto di adorazione e di ammirazione. Poche donne hanno così sofferto e così eroicamente resistito al dolore, in nome delle sue creature, come Lei. Ama le tue sorelle e proteggile. E te fatti uomo di mente e di cuore. So già che sei stato buono e forte rimanendo a casa. No, sai, non sei un vile. Chiunque ti rinfacci questo, smentiscilo Con qualunque mezzo e disdegnalo. Il tuo posto è in mezzo alla famiglia. Il sacrificio è più grande, più oscuro, ma più proficuo. Cosa avverrebbe senza di te? Dovesse anche, cosa quasi impossibile, l'Italia chiamare, invocare braccia, resisti al tuo nobile impulso. E tuo posto è quello ch'io ti affido. Intanto bravo, per aver già saputo dominarti. Per la Patria c'è già uno della famiglia. Studia, prendi la licenza. Il tuo antico desiderio di andare all'Ufficiale così era una cosa assurda. E poi la vita offre tante carriere e tanti vantaggiosi guadagni. In ultimo quello di più riservato. La guerra in cui combatto è guerra di coltello. Sarà fino in fondo, e con tutto Io sforzo della Nazione. Adesso ascolta seriamente. Io posso non tornare più. Spero bene che per la mia famiglia, per tutto, scampi. Ma la lotta è terribile. Allora rimarresti te, capo vero della famiglia. Ricordati tutto quello che ti dico. E' la mia volontà. Adesso, mio buon fratello, ti saluto. Sii forte. Abbi coraggio. Ricordati. Baci. Tuo fratello DEMETRIO
GUALTIERO CASTELLINI NATO A MILANO IL 15 GENNAIO 1890 LETTERATO E PUBBLICISTA CAPITANO DI M. T. DEGLI ALPINI MORTO IN FRANCIA IL 15 GIUGNO 1918 DECORATO DI MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. E DI DUE PROMOZIONI PER MERITO DI GUERRA
28 ottobre 1917
CARA AMICA, Credo che per molto tempo non avrò animo, forse non modo di scriverle. Tengo la sua lettera come una parola amica. In queste tremende ore fa bene sapere che qualcuno si ricorda di noi. La nostra patria ci prova con tanto amore e con tanto dolore, che, quando usciremo da questa crisi saremo certamente mutati in qualcosa. Mi pare di essere vecchio! Ma c'è la forza ancora per fare tutto dovere e anche - oggi si può dirlo - per insegnarlo ad altri quando sia necessario. Ho visto tante lacrime in tanti vecchi soldati (abbiamo cinque battaglioni alpini dei paesi invasi) e ho dovuto lavorare per molte cose che non credevo si preparerebbero mai. Credo di essere ancora al mio posto, e sereno, come soldato. Ma se mi chiudo in me stesso un momento, mi sfogo - come ora - e penso ai miei, al ora non sono più cosa sereno. Perciò silenzio e viva l’Italia in ogni ora di gloria o di dolore.
12 dicembre 1917
Cara mamma Non preoccuparti dei bollettini tamponiamo col valore di molti. E' una cosa mirabile, date le difficoltà che abbiamo con le tremende nevicate d'oggi. Tutti soldati che fanno il loro dovere in questi giorni meriterebbero la medaglia d'oro e chi avrà fatto questo inverno sui Grappa ricorderà grandi cose. Io sto bene, non mi svesto, ma mangio, il che è l'importante. Solo mi dispiace quasi, di essere tutto preso dalla situazione di qui e di non poter vivere con tutto il mio pensiero vicino a voi. Cerco i minuti per scrivervi, come cercherei il tempo in un'altra vita.
14 dicembre
CARA AMICA, Quarto giorno di lotta tremenda. Siamo ai ferri corti sul saliente dello Spinoncia, che vedrà nominato nel bollettino. Gli ultimi eroici alpini nostri si battono come leoni, ma a poco a poco finiscono tutti. Non ho mai passato giornate come queste. Cadono tutti i miei amici. Abbiamo di fronte una divisione della Guardia Germanica. L'altra sera ho passato una Forcella che ricorderò nella vita come l’Inferno. E dopo le giornate di lotta più tremenda la neve per agghiacciare i soldati, ma non per fermare la situazione. Poveri cari Alpini, come attaccano e contrattaccano! Qui è diventata verità la frase del difendere a brano a brano il paese. Non vorremo mai bene a sufficienza a questi nostri soldati, se altri simili avessero tenuto in questi giorni tremendi, lassù, non saremmo oggi nella sventura. La nostra situazione è in certo senso la nostra esaltazione è tale che si vive solo della nostra guerra; quando le dico che il mio dolore mi ritorna, ogni tanto come una parentesi da un'altra vita. Povera mamma! Pensai che il fuoco d'artiglieria nemica è tale che la neve è scomparsa dai monti nostri per il vampare delle cannonate nemiche che la sciolgono e tornano a far nereggiare le montagne. E' notte e abbiamo un momento di pausa. Ma son quattro giorni e quattro notti che non si dorme e si cammina e si lavora. Scusi dunque se scrivo sconnesso è per sentirmi legato al caro Mondo lontano.
14 dicembre
CARA MAMMA, Qui continuano giornate di passione per i cari nostri alpini che, sotto bombardamenti infernali, contendono brano a brano le nostre linee. Per tua tranquilla, siamo sempre al nostro posto e ti prego di non essere inquieta con me. Ma quanti cari perduti! L'Armata e il Corpo d' Armata, mandano parole di elogio commosso per la resistenza dei nostri. Stanotte sono andato a trovare il Generale e oggi mi sento anche più fresco, dopo qualche ora di riposo. Sai mamma, che ho un dolore, e cioè di essere stato ripreso qui da un tale turbine della grande tragedia, che mi rimprovero quasi di non pensare abbastanza a quanto è successo, e di pensar solo a te che sei rimasta, come se soltanto il presente avesse valore per tutti gli affetti che sono vivi, e il passato fosse sommerso in un'unica tremenda parentesi.
ITALO LEOPARDO NATO A TERNI STUDENTE NELLA E. SCUOLA DEGLI INGEGNERI DI ROMA TEN. DI COMPLEMENTO 24° GRUPPO BOMBARDE CADUTO IL 18 GIUGNO 1918 DECORATO DI MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
11 Febbraio 1918
Questa mattina alle 3 un attacco a q.102 sembra ben riuscito: i nostri hanno rioccupato le trincee che avevano abbandonato alcune notti prima. Mentre albeggia il nemico comincia un violento bombardamento sulle linee del Sober; i colpi arrivano con un sibilo rapido e furioso, gli scoppi si seguono con rapidità, tutto intorno è quel ronzio delle pietre delle schegge lanciate in aria, ogni tanto il miagolio felino degli shrapnell. In alcuni punti la trincea è colpita e qualche soldato rimane ferito; finalmente ritorna un pò di calma si riprende la vita. Vado in ricognizione a Sober I. A Sober è tutto rovinato e sconvolto, dura ancora il tiro nemico e il passaggio da Sober II a Sober I è continuamente battuto; alcuni soldati mitraglieri si avviano curvi di corsa, a distanza l'uno dall'altro per raggiungere l'estrema linea del Sober 1. Tutti sotto l'impressione del bombardamento sono agitati, ansiosi, parlano in fretta e a bassa voce come se temessero d'essere uditi, corrono curvi riparandosi dietro tutto ciò che trovano. Mi avvio per una traccia di camminamento, ad un certo punto trovo del ghiaccio rotto, dei graticci, delle buche, avanzo un piede guardingo e riparandomi dietro alcune stuoie, avanzo ancora di un passo poi giù entro con una, gamba in una buca piena d'acqua, cado e vado giù fino al collo mi attacco a qualche cosa che trovo sotto mano, mi sostengo, riesco a trami indietro tutto bagnato e infangato. Provo un'altra strada, non è possibile, mi riposo un poco poi presa una decisione mi avvio di corsa e allo scoperto verso la trincea avanzata; giungo finalmente tra le vedette. Sono tutti accovacciati come in attesa, un ufficiale mi indica la trincea più elevata e più indietro da, dove potrò veder meglio. Mi avvio e trovo la trincea tutta sconvolta rovinata, fucili abbandonati, pastrani, coperte, elmetti, tutto un groviglio impraticabile, vado vagando in cerca di un punto di uscita e sempre sotto la minaccia dei colpi che sento scoppiare vicinissimi, finalmente trovo la trincea che cercavo, è ancora quasi del tutto isolata, vi sono ancora un morto ed un ferito del mattino ed è ancora, sotto il fuoco degli shrapnell, eppure trovo proprio qui dei soldati che vedendomi, sorridendo mi dichiarano la loro soddisfazione per la nostra artiglieria che la mattina stessa aveva bombardato violentemente ed efficacemente tutte le posizioni nemiche, vedere qua soldati contenti lì, in quel momento, mi commuove, mi stimola. Brava gente, son lì chi sa da quando soli, senza aiuto ma hanno ancora tanto spirito da sostenere una avanzata!
DON EGIDIO MACCANTI NATO A POGGIO A CAIANO (FIRENZE) TEN. CAPPELLANO 3° REGG. BERSAGLIERI CADUTO IL 18 SETTEMBRE 1918 DECORATO DI UNA MEDAGLIA D' ARGENTO E DI UNA DI BRONZO AL V.M.
Dal fronte, al principio della guerra:
Sono alla vigilia di grandi avvenimenti; e siccome sì cercava l’occasione di riabilitare uno dei battaglioni del mio Reggimento, a questo è affidata la parte più ardua. Era naturale che io domandassi di andare con quello; è proprio in questo momento ho domandato istruzioni, al comando. So a che cosa mi espongo, ma io non posso fare diversamente. La parola è una grande cosa; ma l'esempio è molto di più. Che cosa accadrà di me? Io non lo so. Una cosa solo io so, che il Signore mi è Padre, e che non può non volere il mio bene quindi se viene la morte, la saluterò calmo e sereno come la dolce amica che Egli mi manda per liberarmi da mali maggiori. Una cosa sola mi angustia... la mamma e la sorella che non hanno che me al mondo. E' vero la Provvidenza non le lascerebbe perire ma è sempre vero che senza di me sarebbero delle grandi disgraziate. Tolto questo, sono calmo, tranquillo e sereno, disposto in tutto e per tutto a fare la volontà del Signore».
Da un'altra lettera Non ho mai amato il mio stato come in questo momento. Se io mi trovo qui, è stato si perchè io prevedevo che sarei stato chiamato, come sono stati chiamati quelli della mia classe; ma soprattutto per il desiderio di salvare delle anime, per sostenere colla mia parola e col mio esempio i soldati d' Italia... Conosco la mia debolezza, la mia fragilità; ma non verrà mai e poi mai il giorno in cui mi dimentichi della mia condizione. Lo giuro solennemente dinanzi a Dio e al mondo. Può essere che sia, meno fervoroso, è la vita militare che porta questo; ma con tutto ciò non ho mai perduto di vista la mia missione e lo scopo della mia missione. Non so quello che il buon Dio abbia disposto di me; ma non mi nascondo le grandi, le immensi difficoltà alle quali dovrò andare incontro, per adempiere fedelmente il mio ministero. Non mi esporrò certo inutilmente per far l'eroe; ma non tralascerò nulla di quello che si richiede da me. Se ci dovrò rimettere la vita son pronto anche a questo; ho però bisogno delle preghiere dei buoni per essere un vero domenicano, nella vita e nella morte.
CESARE AMAR NATO IN ALESSANDRIA DI EGITTO IL 19 MARZO 1896 RAGIONIERE TEN. DI COMPL. 38° REGG. DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO L'8 OTTOBRE 1918 DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
Zona di Guerra, 22 Ottobre 1916
Fuori scrosciava la pioggia. Nell'angusta caverna sudicia e fangosa stanco sedevo, e accovacciato a me d'accanto il comandante del battaglione sfogliava alcune carte al tenue chiaror di un lumicino ad olio. Vagava il mio pensier lontano lontano: Era il giorno di «Simhà Torà». Avrei voluto confidarmi tutto al mio superiore, avrei voluto che lui pure mi avesse raccontate le sue gioie passate, i subì dolci ricordi ma temevo, non osavo, forse avevo timore di mostrarmi debole, davanti al mio nuovo comandante di battaglione che appena avevo conosciuto il giorno prima. Eppure a me, suo aiutante maggiore, s'era mostrato buono, affabile, m'aveva ispirato fiducia strana, una simpatia che non comprendevo... Il «tà, pum» del Cecchino austriaco più intenso in quei momento, m'aveva completamente destato. Il mio pensiero però vagolava ancora. L'occhio mio fissava il superiore che avevo a me d'accanto, ma Io fissava di uno sguardo atono senza espressione. Era come una nube che pareva alla mia fantasia eccitata che uscisse dal lumicino ad olio, e in quella nube tutte le sfumature apparivano me gentili scene del passato. Era una lunga processione di «Sefer Torà» che sfilavano, stretti abbracciati in purissimo amplesso da casti giovinetti, era il coro dell'Atikvà che nell'armonioso suono di voci femminili mi portava su, si; in alto... in estasi... Il mio comandante di battaglione non sfogliava più le carte, lui pure pareva assorto di profonde meditazioni…pensava. Io l'osservavo. Tratto tratto alzava il braccio, e guardava una medaglietta d'oro appesa al polso; pareva sospirasse, qualche memoria forse, qualche santo protettore. La guardava a volte con Considerazione ed amore io sorridevo, ed istintivamente la mano mia si posava sul petto dalla parte del cuore dove tenevo il Sadai regalatomi dal babbo prima di partire... e io pure non so perchè, guardavo la medaglietta del mio superiore che indistinta giungeva sino al mio sguardo. Voleva vederla, non so, era come una smania che mi aveva preso, non ti pareva, no, alla luce del lumicino ad olio, non mi pareva un'immagine, non Io doveva essere, lassù su quel dischetto d'oro, che quasi mi aveva ipnotizzato, c'era scritto qualcosa di confuso, di indistinto che alla tenue luce del lumicino non potevo distinguere. L'occhio mio bramoso, scintillante, seguiva il movimento della mano del mio comandante, era una smania, una ossessione, volevo vedere, dovevo vedere, e non mi riusciva... era uno spasimo... ero impazzito... Il mio superiore mi osservava, sorrideva, e poi indeciso mi tese il polso: inutile che guardi, tanto lei non ci capirà nulla in questa medaglietta. Quasi io svenni, mi pareva una novelletta di quelle che mi faceva leggere la mia mamma, quando ancor ero bambino. Misi una mano dalla parte del cuore, estrassi il mio «Sadai», lo porsi al Capitano mio, signor Enriquez. Mi guardò strabiliato lei pure? è un sogno, che «Scemagn Israel» sia con noi !... ». Fuori l'austriaco continuava a far «ta pum».
DELFINO CONCONE NATO A MONDOVI' IL 2 AGOSTO 1896 STUDENTE DI LEGGE NELL' UNIVERSITÀ DI TORINO S. TEN. DI COMPL. DEL 3° BATTAGLIONE ALPINI VALDORA MORTO IL 7 DICEMBRE 1918 IN SEGUITO A FERITE DECORATO DI MEDAGLIA DI ARGENTO AL V. M.
Senza data
CARISSIMA ADORATA MAMMINA, Finalmente ti posso scrivere la tanto attesa lettera. Dopo giornate di lavoro ed ansia, dopo giornate vissute ora per ora nella trepidazione e nella speranza, senza sonno, senza quiete, nel terribile, incessante, lacerante scoppio delle bombarde, nel rombare dei cannoni, nel fischiare, stridere, miagolare dei proiettili, salvo non so come ne perché, ecco un'ora due ore di relativa quiete, benché i nervi siano tesi all'estremo e la testa in subbuglio e la mente piena d'orrore. Gli occhi vorrebbero chiudersi per non vedere, le orecchie per non sentire. Eppure c'è in questo orrendo spettacolo qualche cosa che non può essere ne più bello nè più grande. Emozioni che nessuno fuorchè noi potrà provare, terribili e infinitamente dolci. O gli sguardi commossi, indefinibili scambiati fra me e, i miei rudi soldati, rudi e infinitamente buoni ed eroici dopo la spasmodica trepidazione! Ora silenzio, calma, pericolo lontano. Cime di pini ondeggianti al vento, profumi acuti, biancore accecante dell'ultima neve! E fervore di lavoro per il domani. Una bella cavernetta, una fresca nicchia scavata nel calcare dalle robuste braccia dei miei soldati, vecchi minatori che sanno il Gottardo e lo Spluga, ecco la sicurezza, l'incolumità, il riposo. Sonno che mi prenderà annientandomi d'un colpo! Cosi per qualche ora. Il piacere che proverò diventa più acuto ora che è ritardato per te, mio unico amore. Non posso per imperiose esigenze alle quali devo sottostare come soldato e come italiano descriverti in modo chiaro e minuto queste grandi giornate. Gloria, gloria sempre per la nostra grande, invincibile Italia! Notte paurosa: la strada sassosa, ripida ed aspra si andava per la salita; luccicare di razzi, bagliori di scoppi lontani di granate e lunghe infinite teorie di uomini e di quadrupedi nel buio corvèe di rifornimenti, feriti. Pioggia a dirotto: acqua sino alle ossa, alle midolle; vento gelido della montagna. Furia d'elementi, furia d' ordigni distruttori. Andavamo avanti in fila indiana col fucile ben stretto fra le mani. Nè un brivido nè un lamento... Trincea lunga, tortuosa, stretta: una baionetta ad ogni feritoia e pronti! Crepitio di mitragliatrici, fischiare rabbioso di pallottole, silenzio pesante, trepidante degli uomini, tutti supini nel fango, nell'acqua... E' passato!... Qualche istante ci veniva insistente, penosa la visione della città lasciata da, tempo, gente spensierata, godente... Ma ci apparivano allora le madri sole, vaganti per le stanze così vuote! Nessun rimpianto allora! No! Fucile e baionetta inastata e pronti! Qualche prigioniero ho visto: uno mi si è accostato e mi ha chiesto con rispetto beffardo, in italiano perfetto, del fuoco per il suo sigaro. Gli ho voltato le spalle si è allontanato con gli altri a passi pesanti. In questi giorni di febbre e d'azione le tue lettere mi sono giunte ugualmente. Tanto, tanto gradite! Conforto inesprimibile! Con esse il ricordo di amici e conoscenti lontani parenti di Mondovì; Ronzi, Prof. Pacchini e Gian di Torino. Grazie, grazie! Abbiamo tanto, tanto bisogno noi di essere ricordati e seguiti dal vostro pensiero. Ti ho già detto che ho incontrato in trincea Carlo Couvert. Oltre a lui anche Marta, vecchia conoscenza di Bussoleno, colleghi di Modena... Tutti fermi sereni e sicuri. Puoi immaginare quante feste ci siamo fatte! Ho avuto ieri, per via indiretta, notizia della morte di Enrico Gama ieri, sul campo della gloria. Sbarazzino un pò sventato ma buono in fondo. Mi rincresce tanto tanto. Se avrò tempo scriverò a suo padre. Sono contento che si abbiano nuovamente notizie di Enrico. Vedi che gli allarmi non erano giustificati. Bisogna sperare sempre, fino all'ultimo. Per quanto riguarda me, la crisi é passata. Qualche momento brutto sì, per altro non sono stato agli avamposti che poco tempo. Nemmeno fra i miei soldati ci sono perdite da deplorare. Se sapessi come tutti mi vogliono bene, ormai! In questi giorni la mia vita è stata in tutto e per tutto la loro. Uguali disagi, uguali privazioni, rinunzie, pericoli... Dio mio! Se vedessi come siamo sporchi e poilus! Sporcizia che volentieri ostenteremo a Torino, per quanto poco estetica, fra mezzo alle eleganze degli imboscati. No! Fango di trincea, ricordi di notti insonni, passate all'aperto, sotto un albero, fermi nell'imperversare della pioggia, dei proiettili! Altro che Valentino — Scusa la calligrafia incerta, l'asperità della roccia non mi ha permesso di più. E crederci coi baci più affettuosi e con affetto infinito il tuo DELFINO
Tutto bene, miracolosamente bene. Quasi fuori da qualunque pericolo attendo d'ora in ora il meritato riposo durante il quale il mio primo pensiero sarà raccontarti tutta l'ansia e le emozioni supreme passate. Ieri ho fatto un bollettino Cadorna nientemeno. E me la sono cavata con qualche ammaccatura, grazie a Dio. A ben presto. Baci infiniti.
24 Giugno
Raggi di sole, timido, malato, riescono a farsi un pò di strada fra le nubi ancor spesse che la tempesta ha lasciato a combattere le ultime scaramucce decisive col tratto di cielo assai ristretto che queste aspre mordace circoscrivono, stringendosi addosso a me soffocanti colle loro rocce biancastre, che tonnellate di ferro hanno sgretolato e infranto con fragori infernali. Un raggio di sole è la speranza e la vita. C'è pure un buon fuoco di legna di pino che fuma e fa, lagrimare gli occhi ma riscalda anche e riasciuga. Stendiamo un po le gambe rattrappite, e raccontiamo ciò che è passato. Scrivevi in una delle tue ultime lettere che non avrei dovuto ingannarti dicendoti di non essere nel peri- colo, che tu vedevi tutto, immaginando. No, mammetta, bella e buona. No, non vedevi nulla. Ciò che è passato è infinitamente più terribile di qualunque sogno pauroso tu abbia potuto fare nella tua cameretta, dopo una sera piena di pensieri neri. Abbiamo vissuto giornate cui quasi non crediamo più noi stessi, ora qualche allucinazione anzi, nei momenti più spaventevoli, deve esserci stata certamente. Tutto, forse, non fu realtà. Quanta pioggia e quanta grandine! Ogni giorno, ogni notte, dopo fuggevoli sorrisi di sole o di stelle, erano diluvi rabbiosi. Immagina mammina, che io abitassi in una caverna. No. Non c'erano caverne. Quattro sassi e qualche sacchetto a terra formavano in pochi minuti, un riposo contro le pallottole e le schegge di granata più piccole. Al resto non si poteva nè si doveva pensare. Ci rannicchiavamo così contro le rocce con un lembo della mantellina sul capo e aspettavamo. Sopra di noi il crepitio possente intensissimo di cento mitragliatrici; gli scoppi delle bombe e delle granate frequentissimi, laceranti, vicini o lontani. Tensione suprema di muscoli e di nervi. Le dita stringevano convulsivamente il fucile, gli occhi fissavano il luccicare incerto delle baionette... Quante ore passate così! Di tanto in tanto l'artiglieria c'inviava qualche proiettile bene aggiustato orrendo scempio di due o tre tomini; urla di feriti, pioggia di pietre sulle spalle, le braccia, le gambe, degli illesi — Bisogna che mi rifaccia da principio a raccontare. Dopo la prima pausa, brevissima, durante la quale potei scriverti un a po a lungo si ricominciò una notte a risalire. Un sentiero appena segnato sulla roccia, lunga fila indiana di uomini guardinghi e silenziosi. Razzi bianchi partenti dalle linee nemiche ci illuminavano tratto tratto di sorpresa. Tutti a terra allora nel fango. Le pallottole dei fucili e delle mitragliatrici ormai spesse, fischiavano rabbiosamente. Chi può dire la varietà di questi rumori strazianti? Dieci, dodici giorni di questo concerto! Giungemmo ai roccioni conquistati. Tutto l'orrore e la desolazione del... campo di battaglia ci avvolsero. Non c'erano morti, non feriti. Un, caos. Filo di ferro spianato, pali di reticolati, sacchetti, giberne, fucili, scatole di latta tutto minuzzato, frastagliato, accatastato tra l'orribile ferraglia di schegge e di bossoli. Traccia eloquente del meraviglioso lavoro di distruzione della nostra artiglieria. Buche profonde aperte, formate e riparte: in fondo ciarpame sanguinoso... Quando venne la mattina, qualche spiacevole sorpresa ci fu Un braccio, tre dita di un piede, un elmetto spaccato dal quale usciva qualche grumo di cervello sporco di terra. Riparati alla meglio si stette lì tutto il giorno sotto un furioso bombardamento ad aspettare. Sopra di noi, sulla montagna nella quale s'annidavano gli ultimi nuclei nemici, tra i cespugli, i nostri eroici compagni resistevano saldamente ai contrattacchi, attendendo l'ordine di avanzare. Le granate giungevano a due metri, a un metro da questi meravigliosi pionieri generalmente sul terreno già smosso, sminuzzato, triturato, non scoppiavano, ma seppellivano i nostri interamente. E allora affannosamente si risaliva alla superficie spesso con un sorriso. Più sotto noi attendevamo. Ugualmente la furia nemica c'era addosso. Più riparati resistemmo senza perdite. Sull'imbrunire ecco l'ordir e di cambiar posizione. Una marcia di due ore verso il passo. Molti tratti scoperti sui nevai non più candidi, sotto tiro di mitragliatrici puntate. Il movimento riuscì. Molta fortuna, molta audacia, molta abilità. Qualche pallottola, esplosiva scoppiava in alto contro i roccioni. Giungemmo di notte. Qualche cadavere straziato sulla neve, urla di feriti gravi nostri ed austriaci, non trasportabili. Urla che finivano col divenire lunghe nenie, indicibilmente 'tristi. Uno stellato di paradiso. Dai roccioni si vedeva sotto la meravigliosa valle tutta verde di campi e prati. Di fronte, lontane lontane, molte montagne nostre ad anfiteatro. Ci buttammo per terra, stanchi. Alla mattina un mio collega ebbe la sorpresa di constatare che i suoi vicini di destra e di sinistra erano morti, morti, di tre giorni e quattro. Che pose macabre in quei corpi! Che espressioni nei visi! Ne vidi uno che non, dimenticherò Più. Gli occhi aperti perduti nel cielo. Il corpo disteso, quasi placidamente e un braccio alzato e irrigidito in un gesto di conclusione come dicesse così» Doveva essere stato fulminato da una mitragliatrice. Il lezzo soffocava.
MELCHIORE SPORGIA NATO NEL 1894 STUDENTE NEL R. ISTITUTO TECNICO DI BRESCIA BERSAGLIERE CICLISTA CADUTO COMBATTENDO A CAPO SILE IL 16 GENNAIO 1918
9 Dicembre 1917
CARISSIMI In quest'ora benedetta, in attesa, di battermi per la nostra cara e santa Patria, atrocemente calpestata dal piede nemico, a voi, miei amatissimi, il mio più tenero ed affettuoso pensiero, dal quale attingerò gran forza morale per essere degno figlio d' Italia. La voce del dovere s'innalza imperiosa ed imponente a chi ancora non ha compiuto tutto Ciò che di più sacro alla Patria deve. Io sono pronto; tranquillo e sereno, preparato a tutto, cosciente del sublime e grande compito che mi è affidato ed aspetto religiosamente la grande ora. Ho la certezza di adempiere a tutti i miei doveri fino all'ultima goccia di sangue che mi resterà nelle vene; sicuro che la vostra memoria e il nostro nome contribuiranno efficacemente a non venire mai meno di un solo attimo, al mio dovere e mi daranno forza e coraggio per vincere nei momenti più critici. Quale sarà la sorte a me serbata? Ritornerò o no? Ben poco me ne importa, purché l’Italia ne esca vittoriosa e onorata. Il mio sangue, che pure è il vostro, non avrà nulla da invidiare a quello di migliaia e migliaia di eroi, che hanno bagnato e bagnano il sacro suolo della Patria. Nè pianti nè lagrime nè lutto voglio, s'io non dovessi più tornare. Le lagrime dovranno essere di gioia nei giorno in cui la vittoria sarà nostra, e da quel dì felice io sarò con voi presente. Ecco tutto 'ciò che di bello e di buono vi ho potuto dare nella vita in contraccambio delle amorevoli cure che mi avete sempre prodigate e alle quali non corrisposi mai Come meritavate. Siano le mie adorate sorelle, Rosita e Bianca, il vostro conforto, sostegno ed orgoglio e vi diano tutte quelle gioie e consolazioni che si Possono dare nella vita, e che tanto meritate, e dì cui avete bisogno. Addio, siate felici, baciandovi tutti quanti teneramente, siate fieri del vostro Rino. W l’Italia! W i Bersaglieri!
BIAGIO GIORDANI NATO A GAGLIANO DEL CAPO IMPIEGATO DI TESORERIA S. TENENTE DI COMPLEMENTO NELL' ARMA DI FANTERIA MORTO IL 19 AGOSTO 1918 IN SEGUITO A FERITE RIPORTATE IN COMBATTIMENTO.
17 Novembre 1917
Finalmente, dopo una lunga e tormentosa attesa, la posta di questa sera mi porta le carissime tue del 2 e del 10. Non sapevo più cosa pensare, pur sapendo che il servizio della posta è ora quasi sospeso. Ed ora ti parlo un pò delle vicende mie.. Come già ti accennai, dopo cinque giorni di marcia sotto pioggia e bufera, abbiamo raggiunto la riva destra del Piave, ed abbiamo preso posizione rafforzandosi, su di una quota che scende a dolce pendio sul fiume. Il nemico punta e ei martella sempre, ma a nulla sono valsi i suoi sforzi. Ma il motto della nostra Brigata è: «dove c'è la Trapani non si passa», e lo manterremo! E' troppo radicato nel nostro animo il sentimento del dovere e del pe-ricolo che corre il nostro sacro suolo per recedere di un sol passo. E di qua non passeranno, te lo assicuro, dovesse costare a tutti la vita il mantenimento di queste alture che sbarrane il passo per la pianura. In mezzo a tutto questo trambusto, in tanta tensione di nervi e di spirito il pensiero di voi tutti mi conturba talvolta, specie pensando a quanto soffri tu, cara Mamma mia! Ma state pur sicuri, miei cari, che nell'adempimento del mio dovere saprò essere cauto, calmo, tranquillo. Ve lo prometto, e voglio che siate tutti persuasi di questo. Ormai sono rotto a questa vita, e tante cose che per un novellino sarebbero gravissime, per me sono inezie. Animo, dunque, cari miei tutti, e fidate in migliori destini per noi e per la nostra cara Patria, così duramente provata. Auguriamoci che presto giunga il momento della riscossa, che il nemico, reso tracotante da un momentaneo ed insperato successo e possa al più presto essere ricacciato 'dì là dal confine, al di là delle zone ove giacciono i nostri eroi che gridano vendetta! Perdonami come scrivo. Sono sotto un sasso, e le granate fischiano rabbiose. Scrivimi spesso e dimmi che siete tranquilli. Dammi notizie di tutti. A Doré e a Giovannina che preghino; a Pipi che sia sereno e calmo nell'eccessivo lavoro; a te con la cara mamma mia, animo forte e sereno per sopportare queste dure provo che ci daranno la Patria libera e indipendente. Abbiatevi mille baci e tanti pensieri dal vostro Biagio, che attende sempre la vostra benedizione.
DEL BUTTERO RENATO NATO A CORTONE NELL'ANNO 1886 RAGIONIERE TENENTE DI COMPLEMENTO D' ARTIGLIERIA 57° GRUPPO D'ASSEDIO CADUTO SUL PIAVE NEL GIUGNO 1918.
Dal Piave, 15 Giugno 1918
Li avvenimenti di questi giorni mi hanno tenuto occupatissimo. Finalmente ora la calma è tornata, e ti invio la presente perchè conosco il tuo desiderio di sapere. Poco posso dirti perchè su di una fronte di attacco così vasto ciò che ho visto rappresenta un semplice episodio, sia pure uno dei più importanti, poiché il mio settore è stato quello in cui più accanita, più cruenta si è svolta la lotta, e dove le fanterie si sono mostrate veramente eroiche. L'artiglieria le ha coadiuvate, come sempre, molto bene ed al momento opportuno ha saputo difendere i propri pezzi con le bombe a mano e con le baionette. Comprendo l’onda di gioia che è passata traverso ogni animo italiano ma che in fondo dimostra anche una cosa che in un angolo, magari ignorato dell'animo di coloro che erano spettatori dell'immane lotta vi si annidava un lieve dubbio. Ed era giusto che fosse così. Quassù però non vi era che certezza se non altro certezza che ci si sarebbe battuti fino all'ultimo. Avevamo ritrovati noi stessi, avevamo ritrovato la fiducia smarrita nella scura notte di Caporetto. Io non ho dubitato neanche allora. La mattina del 15 alle ore 3 1/4 incominciò l'attacco austriaco con intenso bombardamento e lancio di gas lacrimogeni perciò per potere operare bisognò mettere il respiratore. Dopo parecchie ore d'intenso bombardamento fu sferrato l'assalto ed il nemico riuscì a passare il Piave, non posso dirti dove, ma in, posto maggiormente nominato nei bollettini; da quel momento le nostre fanterie, per dar tempo alle riserve di giungere, si batterono meravigliosamente. Un manipolo di pochi nomi, in una località anche molto nominata, quasi isolata ha attinto veramente le supreme cime dell'eroismo. Poi... poi é venuta la rotta austriaca. Ho percorso il campo di battaglia poco dopo la rotta austriaca. I segni della lotta erano recenti e raccapriccianti ma con che gioia si miravano gli immani carnefici austriaci. Nessuna pietà per l'invasore. La pietà riprenderà il suo impero al di là dei nostri confini. Ora tutto è quiete. Il nemico indubbiamente sta traendo la morale della batosta ricevuta.
ANGELO CATTANEO NATO A ROVELLASCA (COMO) IL 22 DICEMBRE 1895 STUDENTE DI LETTERE E FILOSOFIA NELL'UNIVERSITÀ DI PAVIA TEN. DI COMPLEMENTO DEL 138° REGG. FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL MONTELLO IL 17 LUGLIO 1918 DECORATO DI DUE MEDAGLIE D'ARGENTO AL V. M.
4 Gennaio 1918
«S'è aperto l'anno nuovo che sarà ferreo per sacrifici — teniamo denti stretti per lo sforzo dei nervi tesi adagio si levano le albe fredde e il sole rischiara il dramma. Tutto è buono per la lotta — la mente, il cuore, il braccio, l’ugna. L'occhio vigilante della vedetta e l'areoplano che gira a spirali di girifalco; il camion che porta velocemente il filo spinato e la vanghetta che scava il terreno; il tipografo che stampa i buoni del tesoro e il bambino che scrive al babbo combattente, Nino — Tutto è arma, dà lampi di acciaio, fornisce impulso alle macchine della guerra. Sappi che la causa nostra è quella della giustizia; e con noi combattono i grandi morti, gli schiavi ansanti per la vicina, liberazione; e il flutto enorme dell'umanità pacifica avrà ragione della nazione quadrata. Il nostro cuore è fiamma è rombo di riscossa — Pensa che stiamo vivendo l'ora più tragica e più solenne, da quando la terra ha salutato la venuta del Giusto».
EMILIO BONGIOVANNI NATO A TORINO IL 30 SETTEMBRE 1898 STUDENTE DI LETTERE TEN. DI COMPLEMENTO DEL 16° REGG. FANTERIA CADUTO SUL MONTELLO IL 19 GIUGNO 1018 DECORATO CON MEDAGLIA D' ORO DI MOTU PROPRIO DI S. M. E CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Novembre 1917
MAMMINA MIA CARA, Dopo tanti giorni di ansia e di dolori indicibili ho finalmente trovato la calma dell'anima. Il saperti in salvo con Papà e Nuccio mi dà la forza di guardare con fermo animo all’avvenire, certo che ben presto ripasseremo il Piave e il Tagliamento. Oh Mamma! aver conquistato col sangue, palmo a palmo, le nuove terre d' Italia e doversene ritirare! I miei soldati piansero di rabbia e di dolore quando venne l'ordine di lasciare il Monte Santo! Io ti giuro, Mammina mia, che se i Tedeschi avessero tentato di passare dove c'eravamo noi, saremmo morti tutti prima di lasciare un palmo delle nostre posizioni. Non volevamo cedere! Fummo gli ultimi a passare l’Isonzo, il ponte di Zagora lo feci saltare io, con le mie mani, eppure credevamo ancora che fosse un sogno. Da quel giorno fu la fame, il freddo, le fatiche, eppure combattemmo. Sempre in coda a tutti, per dieci giorni la mia Brigata protesse la ritirata di dieci divisioni, con gli Austriaci alle calcagna. Il nemico era a Udine, e noi sul Torre ancora, e vedemmo nella notte del 28 ardere Udine, e non solo io, ma tutti, sentimmo che era la nostra casa che perdevamo, ci sentimmo tutti profughi e soli. E i soldati levarono alte le baionette gridando vendetta. Oh Mamma! allora io ti credevo ancora a Udine, e ti piangevo perduta ormai, eppure mi salvò la fede dei miei soldati, io sentii che per essi dovevo vivere, perché essi mi avrebbero vendicato. Mammina, i soldati nostri non hanno colpa alcuna di questa immensa sventura. Dillo, dillo forte ai vili che ci hanno traditi con la falsa politica, dillo forte a tutti coloro che osano, dalle nicchie sicure, parlare di quello che avvenne laggiù. Ora noi abbiamo giurato la rivincita e vinceremo, ma non per loro, ma per quelli de verranno dopo di noi, e, non devono pagare il fio dei nostri errori. Povera Mammina mia, ti riporterò io, coi miei Soldati, nella nostra casetta piena di sole, ora oscurata da chissà quale lurido Croato. Ora cerca solo di rimetterti dalle fatiche e dal dolore. Pensa che tu sei ora non solo la nostra Mammina ma la nostra casa, la nostra Patria. Papà ha bisogno tanto di te, della tua forza morale; povero Papà mi farai le sigarette quando ti verrò a trovare? Per te ora, o Mammina, voglio vivere, voglio combattere, voglio vincere. Per ridarti la tua casa che è il tuo regno, per vederti ridere ancora di gioia, come da tanto tempo non ridi. Le fatiche, i disagi, pericoli, tutto dimentico. Oggi fra me e il nemico v'è la visione di mia madre, sola su una strada, carica e affranta e senza casa.., e non avrò pietà. Sii forte Mammina, abbi fede e speranza, e cerca di diffonderla agli altri e io ti benedirò sempre più, per me, per la Patria, per tutti coloro che per essa combattono e muoiono. Addio Mammina mia, dà un bacio a Papà e al nostro Nuccio; per te tutto il mio amore, tutti i miei pensieri, ora e sempre con un grido che faccia tremare i Tedeschi e Austriaci e Turchi, e quegli Italiani peggiori di loro. Viva, viva sempre l’Italia».
FRANCESCO PADOVANI NATO A MATERA IL 18 LUGLIO 1889 CAPITANO DI COMPLEMENTO CADUTO COMBATTENDO SUL BASSO PIAVE IL 19 GIUGNO 1918 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. E DELLA CROCE DI GUERRA AL V.
28 Giugno 1916
Cade qualche goccia d'acqua e mi toccherà smettere. In giornata riscriverò ancora. Ti mando dei fiori alpestri raccolti qui ieri. Sono senza profumo ma tanto delicati. Invece del profumo han tutta la poesia di questa grande epopea nazionale! Han sentito e resistito all'uragano del piombo nemico, forse vicino a loro son passati lamenti dì feriti do-loranti, avranno assistito forse all'ultimo anelito di qualche morente, e sono perciò più cari, più belli fragranti d'una sublimità non comune, sani d'un amore ch'è fatto di gloria e di sangue, del miglior sangue di nostra gente. Il nastro paglierino era d'un fascio di buste da lettere. Non t'avevo detto che nonostante la nebbia e la pioggerella nei sottostanti boschetti è un'armonia di garruli uccellini che commuove pensando che tanta delicatezza e tanta poesia fiorisce accanto alla più colossale tragedia del mondo. Ore 11. Ti prego di conservarmi con gelosa cura, come una, reliquia, le mostrine del 29 ed i galloni di aiutante che di quà io bacio come segni della mia, ventura. Alla mia giubba che porto ed al berretto non ho ancora sostituito i fregi del 63. Sono il solo degli ufficiali! Eppure questo 63 così provato dalla sorte è anch'esso uno dei più gloriosi reggimenti dell'Esercito e con gelosa cura i suoi ufficiali e soldati ne conservano e perpetuano le tradizioni. Anch'io ho cominciato a farlo con tutto il cuore perchè servo la mia Patria... ma amo il mio 29 come la mia prima culla. Sto benone e sono contento. Spero a pace fatta di farti vedere questi luoghi incantevoli, almeno in parte: ma occorrono molto buone gambe per trotterellare su per queste balze, che noi abbiamo saputo rendere ospitali, a tutti i costi, anche per i morti, poiché quà e là, sorgono rozze croci, senza nazionalità. Sulla morte tace ogni ira nemica. Oh santa nostra terra che dai ricetto anche ai nostri nemici
20 Dicembre 1917
Bivio Osteria di Gravezza (Altopiano di Asiago) Ce spensierata! Tu mi comparisci con le tue lettere come un giunco come darei tanti anni della mia vita per rivederti sana, florida esile che voglia spezzarsi per volontà propria, quando ancora la nostra missione non è compiuta, missione di gloria che i posteri invidieranno e di cui inorgogliremo nei bei giorni di sole, sull'Altare della Patria, sotto i sacri rintocchi del Campanone del Campidoglio! Non ti ricordi quelli squilli fatidici del Maggio 1915? Così quando sventoleranno i vessilli dei nostri baldi e gloriosi Reggimenti su quell'ara consacrata alla più grande Italia, in un cantuccio noi baceremo con gli occhi quei drappi strappati dalla mitraglia e beveremo avidamente gli Inni sacri della Patria, lì, a Roma, dove nel nostro piccolo nido, sognato nei giovani anni di ascensione nella vita, gioimmo e soffrimmo insieme. Per te, mia dolce compagna e gioia, io guardo il sole della nostra grandezza avvenire pensando al giorno in cui sarà cantato il trionfo della nostra stirpe, e sarà ricompensa grande per me una tua lagrima di commozione, un lampo d'orgoglio tuo. Perché vivere quest'ora senza aver portato il proprio granellino di sabbia al maestoso edificio che s'innalza? Pensi tu che la «Espressione Geografica» del Maetternick, avrà il suo scettro di Grande Nazione e come una volta sarà maestra di civiltà e di sapere e di virtù? E noi non saremo stati i piccoli artefici di questa Opera Grandiosa? Dalla scuola alla guerra, da questa nuovamente alla scuola, con i severi moniti delle gesta compiute: non è un programma di vita da rendere orgogliosa un'esistenza? Tuo FRANCESCO