MOMBELLO CESARE NATO A GENOVA. VENTENNE STUDENTE UNIVERSITARIO SOTTOTENENTE DI M. T. NELL' 11° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO A PODGORA 11 NOVEMBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO LA V. M. DI MOTU PROPRIO DI S. M. 1 novembre 1915
Ai miei colleghi: CLAUDIO BELLAVITA, LEONE PROVENZAL, MARIO BRUSCHETTINI, ALDO VIALE, GIOVANNI PEZZOLO, BATTO MARCELLO, che con me formavano la cricca.
Se avrò l’onore di morire per la Patria ricordate sempre il vostro amico CESARE. Io muoio felice, sicuro che sul mio corpo saranno sparsi fiori. Sappiate che in venti anni (che non ho ancora compiuti) non ho mai pianto. Per me la vita fu come una gioia continua, un piacere infinito. L'ultima gioia fu quella di morire per la patria. Voi godete, cantate, gioite sempre e date fiori e tanti alla mia memoria. Dite agli studenti d'Italia che seguitino sempre a farsi onore. A me la laurea ad honorem. A Claudio Bellavita per la Cricca lascio il mio berretto goliardico e tutto ciò che è contenuto in una cassetta militare chiusa da un lucchetto di cui ho indosso la chiave e che è per ora in casa mia. Ai miei genitori, alle mie sorelle e a mio fratello la preghiera di non piangere per la mia morte. Meglio di così non avrei potuto morire. Ai soldati d' Italia l’augurio mio più fervido. Agli ufficiali e soldati dell'11° il ringraziamento di avermi insegnato a combattere. Alla mia bella Genova il mio ultimo saluto. All'Italia il mio ultimo pensiero. A mia madre il mio ultimo bacio. RENATO SERRA NATO A CESENA IL 5 DICEMBRE 1884 LAUREATO IN LETTERE NELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA TEN. DI COMPL. IN FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL PODGORA IL 20 LUGLIO 1915 DECORATO DI MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. Dal suo scritto «Esame di coscienza di un letterato»
E così tutti gli altri che mi han fermato, interrogate tante volte quest' inverno. Tanti che avevo dimenticato, tanti che non avevo mai conosciuto; ma tutta gente che dovrebbe andare, se vien quel giorno; si sentono più vicini intanto. Erano sempre le stesse domande: “che sì vada? e quanto si tarda? e quand'è che ci ritroviamo?” qualcuno sorridendo aperto, qualche altro rassegnato, qualcuno anche sospettoso, con un desiderio torvo di sentirsi rispondere di no. E sempre le solite risposte: “ma, se ci tocca, si va tutti questa volta. Quasi, quasi, credo che ci siamo proprio. O prima o dopo, quando bisogna andare, si va. Ci troveremo...”, con una reticenza istintiva, che mi spingeva a velare il mio desiderio, per avvicinarlo alla loro preoccupazione senza, offenderla. Tanto, quello che conta non è la parola; è l’occhiata di complicità che ci scambiamo e che ci unisce, anche su rive opposte e con animo diverso, gente legata alla stessa sorte, che s'incontra e si riconosce. Tutte le parole son buone, quando il senso di tutte è uno solo: siamo insieme, aspettando oggi come saremo dell'andare, domani. Fratelli? Sì, certo. Non importa se ce n'è dei riluttanti; infidi, tardi, cocciuti, divisi; così devono essere i fratelli in questo mondo che non è perfetto. E accanto a quello che brontola o si ritrae diffidente, ci son tutti quelli che si aprono a un sorriso istintivo nell'incontrarmi. — sorriso semplice e lieto che ha vent'anni un'altra volta sui volti cambiati, con le pieghe fisse e la barba aspra dell'uomo già logoro; quelli che mi stendono, la mano dura con una timidezza affettuosa; quelli che posano sopra di me i loro occhi un pò turbati con un senso di improvvisa fiducia, come avendo ritrovata, nel momento dubbioso la loro guida di ieri... Guida da poco: ma io andavo avanti, e loro dietro. Così si farebbe ancora. L' uomo non ha bisogno di molto per sentirsi sicuro. Purchè si vada! Dietro di me son tutti fratelli, quelli che vengono, anche se non li vedo e li conosco bene. Mi contento di quello che abbiamo di comune, più forte di tutte le divisioni. Mi contento della strada che dovremo fare insieme, e che ci porterò, tutti ugualmente; e sarà un passo, un respiro, una cadenza, un destino solo, per tutti. Dopo i primi chilometri di marcia, le differenze saranno cadute come il cultore a goccia dai volti bassi giù sul terreno, fra lo strascicare dei piedi pesanti e il crescere del respiro grosso e poi ci sarà solo della gente stanca che si abbatte, e riprende lena, e prosegue; senza mormorare senza entusiasmarsi; è così naturale fare quello che bisogna. Non c’è tempo per ricordare il passato o per pensare molto, quando si è stretti gomito a gomito, e c'è tante cose da fare; anzi una sola, fra tutti. Andare insieme. Uno dopo l'altro per i sentieri fra i monti, che odorano di ginestre e di menta; si sfila come formiche per la parete, e si sporge la testa alla fine di là del crinale, cauti, nel silenzio della mattina. O la sera per le grandi strade soffici, che la pesta dei piedi è innumerevole e sorda nel buio, e sopra c’è un filo di luna verdina lassù tra le piccole bianche vergini stelle d'aprile e quando ci si ferma, si sente sul collo il soffio caldo della colonna che serra sotto. O le notti, di un sonno sepolto, nella profondità del nero cielo agghiacciato; e poi si sente tra il sonno il pianto fosco dell'alba, sottile come l'incrinatura, di un cristallo; e su, che il giorno è già pallido. Così, marciare e fermarsi, riposare e sorgere, faticare e tacere, insieme; file e file di uomini, che seguono la stessa traccia, che calcano la stessa terra, cara terra, dura, solida, eterna ferma sotto i nostri piedi, buona per i nostri corpi. E tutto il resto che non si dice perchè bisogna esserci e allora si sente; in un modo, che le frasi diventano inutili. Dalle lettere. S. Vito al Tagliamento 25 aprile 1915
CARO OTTAVIO, E son passate due, e questa è la terza Domenica, da quando ho detto di scriverti, Crederai che io mi sia un poco scordato dì te, non è vero? Non volevo mandarti una cartolina telegrafica; e il momento per fare un po' dì conversazione, come si fa tra amici veri, quando capita un’ora da stare insieme, senza essere distratti dai soliti fastidi di tutti i giorni, con la soddisfazione di guardarsi in faccia e di sentirsi vicini, anche senza parlar molto, non avevo ancora trovata a modo mio. D'altronde qui cose da raccontare non ce n'è molte anzi nessuna che sia speciale; tante piccole faccende una dopo l’altra che ti assorbiscono e ti fanno passare i giorni come un volo; solo ogni tanto, quasi alzando la testa dal tuo sentiero, hai impressione di tutto quello che è cambiato intorno e che si prepara silenziosamente: e ti senti anche dentro un po' mutato, alla vigilia di un momento decisivo della vita o di quello che sarà. Del resto notizie precise di quel che vedo quassù non te ne potrei dare; ne ho scritto lungamente a Nino poco fa; ma son tutte cose vaghe, al di infuori di treni d'uomini e di materiale che arrivano metodicamente. Certo una cosa si può dire che siamo vicini, senza incertezze, ormai. Ma non vicinissimi forse, a giudicare da tante cosette che seguitano a procedere, anche del nostro piccolo campo, con ordine e con calma, come se si avesse un certo margine di tempo a propria disposizione per terminare tutto sicuramente. Di qui ci muoveremo forse più presto, per accostarci al confine ci arrivai l’altro giorno in automobile, con altri ufficiali; dalla cima di un campanile in riva ad una laguna si vedevano le caserme della finanza austriaca, i campanili di Grado, e, a tratti le vette boscose intorno a Trieste, e poi i monti dell'Istria: era un pomeriggio di questa primavera, fra pioggia, e sole, sotto un cielo tinto d’inchiostro, con degli sprazzi di luce che piovevano improvvisi dagli squarci delle nuvole sulla terra fumante di vapore e rilevavano in un lampo caldo le case rosse e i campanili di marmo e tutto il verde fresco delle pinete e dei coltivati; di dietro la laguna immensa come un velo fermo e poi l’acquitrino e la pianura come un reticolato di canali e di argini e di giuncaie silenziose, dove sarà il nostro posto probabile. L’ultima sosta a guardia dei forti, o poi, se Dio vuole, avanti. Qui resterà uno dei tanti depositi per rifornimento di seconda linea; tutti i giorni si formeranno magazzini nuovi, e non fanno altro che ingoiar materiale. Fra l’altro cominciano ad arrivare, a centinaia a centinaia i bovi che trascineranno cannoni d'assedio; vedevo smontar stamattina, bovi rossi del Piemonte, e magnifici buoi gentili delle nostre parti e passavano nelle mani dei richiamati di terza categoria, classe 1879. Tutte queste cose, e tante altre di cui non ti dico, si fanno molto tranquillamente; una dopo l'altra come per seguito naturale; arriveremo invece a quella mattina, che invece della solita marcia si comincerà l’avanzata e non ci parrà, niente di nuovo. Come, dicevo, quel che fa un po' di impressione è soltanto il cambiar paese, lasciare questi luoghi, in cui abbiamo passato ormai un mese, di cui, se si torna credo che ci ricorderemo sarà stato l’ultimo mese quiete; spostati di qui anche prima di arrivare alla dichiarazione guerra, saranno giorni di marcia, accampati probabilmente e un po' in trambusto. Qui siamo stati invece in una calma che non si immagina, chiusi in questo paesino pulito, quasi perduto in un, angolo della pianura bassa, dove non si sente un rumore e la posta e i giornali fanno fatica ad arrivare; e non c'è altro orizzonte, che, nelle ore della mattina e quando l'aria è più pura, le Alpi, sospese sul cielo come una barriera di neve così tersa e netta che par di toccarla, di averla addosso e non si capisce di dove venga fuori tanto è alta e improvvisa. Del resto il paese è piatto, ricco d'acqua, che affiora dalla terra da per tutto, corre in canali ed in rocce d'un verde limpidissimo: un guaio se sì dovesse manovrare per i campi e di tanto in tanto poi si trova addirittura la palude, o piuttosto l’acquitrino; praterie velate d'acqua, boschetti e giuncaie cogli orli allagati. Così abbiamo avuto un aprile freddo al soffio delle Alpi, è una primavera timida, in, ritardo solo da due giorni si sente il sole vero scottante sulla campagna tutta in, rigoglio. Anche questo ci dà l’impressione di un periodo finito, e di un altro che comincia. E' il periodo della preparazione e dell'aspettativa che è finita; è passato senza che ce ne accorgessimo, o solo adesso si pensa con un certo senso affettuoso a tutte queste giornate di San Vito; tante ore passate coi miei soldatini a camminare per queste strade lunghe e lisce, o a sfilare su questi argini e per queste radure, in mezzo ad una campagna un pò malinconica, ma che mi ricordava tanto la nostra valle a fine d'inverno, con quel verde pallido sotto un sole freddoloso, e tanta distesa di cannuccia secca fra l’acqua e di praterie larghe, con qualche striscia di vimini rossi, e sugli orli filari altissimi di pioppi ancora nudi, di macchie di bosco giovane colla ramaglia rada e la prima peluria di gemme e di fogliette verdine tutto questo in una, gran pace attraversata solo dai frulli e dai tuffi di tanti uccelli che facevano scattare nostri soldati quando ne avevo vicino (perchè spesso mi son trovato anche solo, come ufficiale esploratore) meravigliandosi della gente di quassù che non vanno a caccia: si contentano di andare a ranocchi son poveri contadini in genere, umili, buoni, ma patiti; una razza mal nutrita, e che coltiva male anche la sua terra: sono stati troppo oppressi fino a poco tempo fa; i vecchi si ricordano dell'Austria. E tutti sono in mano dei preti; anche le donne hanno certi musini sparuti e insignificanti, e certi occhi spenti; da che son quassù posso dire di essermi scordato che esista il genere femminile; ma tutti però, uomini e donne, ci guardano dietro e ci fanno festa con un affetto commovente; che diventa energia risoluta se t'accosti al mare dove l’altro giorno delle donne di pescatori mi dicevano parlando dei loro uomini che vanno via. ecc. - Se mai “andemo anca nualtre”. E mi han fatto pensare a te più d'una volta che avresti potuto essermi vicino col fucile, e riconoscerli anche meglio di me, cha arrivavo solo a distinguere i merli, le ghiandaie, i cucoli, il falco, quando volava basso a caccia anche lui rasente terra e qualche gallinella d'acqua se non mi sono sbagliato e poi al rumore, il picchio e il canto delle lodole perdute nel cielo, le mattine di sole, e il rosignolo che faceva le prime prove, sui quercioli ancora rugginosi. Così i giorni son passati, e adesso manca il tempo per voltarsi indietro. Ci voleva proprio un pomeriggio di domenica - fuori termina di suonare la musica militare fra una folla che non mi attira affatto - e il desiderio di chiacchierare un poco con te, per far questa ricapitolazione, così sommaria del resto e confusa. Mancherebbe solo di parlare un pò dei soldati, che sono, in fondo, più del paese e degli abitanti, la parte principale della nostra vita ma appunto perchè siamo così intimamente uniti, par di aver meno da dire: sono i soliti soldati che ci portiamo alle solite istruzioni; la solita allegria, i soliti incidenti; non c’è niente di cambiato, se non fosse un pò più di serietà e di attenzione a certe istruzioni. Un certo senso della gravità dell'ora, e una certa convinzione di necessità inevitabile, è in fondo a tutti i pensieri e s’è visto meglio nei richiamati, che arrivando qui, son subito a posto, seri come soldati vecchi. Del resto ce n'è dei buoni e dei cattivi; ma tutt’insieme io ne ho sempre pensato bene, e me ne fido con piena sicurezza, oggi più che ieri. Può darsi che ti scriva ancora, se non potrò un giorno a salutare la mamma avrò anche ecc... ecc... Saluti e una stretta di mano affettuosa dal tuo RENATO
8 Luglio 1915
CARO OTTAVIO, Un saluto affettuoso a te e a tutti gli amici. Scrivi alla mamma che ci troviamo benissimo a riposare in mezzo a un bel boschetto di robinie sul dorso di una collina nuda e ripida: il sole scotta un poco attraverso il fogliame magro e frastagliato e il terreno indurito è abbastanza faticoso; ma non dobbiamo muoverci molto, e ce la passiamo nelle nostre buche. Soltanto non le ho detto che per l’aria è tutto un passare e fischiare e ansimare e rombare di proiettili di tutti i calibri e di tutte le sorta: in genere passano alti o strisciano via: qualcuno se la prende con gli alberi e qualcuno anche con gli uomini: io finora ho sentito solo il calore delle vampe lontane e qualche scroscio di pallette innocue. Siamo a poche centinaia di metri da loro sul rovescio del colle sono le trincee di attacco, con le altre compagnie sotto i reticolati in attesa. Ma si sta e si dorme benissimo. Salvo quando mi avvisano di tenermi pronto colla compagnia, per un possibile ordine che non è ancora venuto. Ormai sono a posto con gli altri. Le cose sono un pò diverse da quelle che appaiono di lontano ma sono contento ugualmente. La posizione è un pò dura e credo che ci staremo un pezzo, ma nessuno ci pensa. Una stretta di mano dal tuo RENATO
Dalle note di un taccuino. 17 luglio
Arriva il pacchetto campione della mamma. Povera mamma! Non parlo mai di lei in queste note, ma come è possibile? E nel cuore, nel respiro, nei vivere così naturalmente e continuamente, che non si sente il bisogno di parlarne. Se non, a certi urti, a certe scosse, che riempiono di commozione dolorosa. Come quando incontrai quella donna vestita di nero con un ragazzo pallido, stretto al braccio soli loro due uniti e silenziosi nel vasto mondo. E come m’arriva questa roba: chi sa quanto impazzire e crucciarsi nei prepararla, a scordare un poco le sue pene senza perderle...
18 luglio — Podgora (Il giorno dell'avanzata? ore 16... mentre si aspetta l’assalto?) Dopo il bombardamento che dura da stanotte. Odore di esplosivo in aria. Poca voglia di scrivere. Finchè non si possa fare un pò di bilancio: o chiusura...
19 luglio... Ore 11 E' cominciato i' attacco. Ore 19. La 2° e 3° compagnia sfilano per pigliare posizioni. Toccherebbe a noi dopo. G... mi porta la: notizia la trincea è occupata e riperduta. Da ricominciare. Che cosa resterà a fare a me? Esame di coscienza; triste. Si fa sera, fra le nuvole e la luce fresca.
ROMANO ORSI Modena, 25 luglio 1915
Miei cari
Ieri non vi scrissi: ero troppo impressionato per la morte sul campo di Renato Serra che tanto ho ammirato e amato attraverso i suoi scritti - e che conobbi a Firenze un giorno dell’anno passato. Cesena ha perduto il suo figlio migliore: la critica d'arte italiana ha perduto uno, e forse il migliore, dei critici moderni, il temperamento più delicato, più fine, più intelligente d' artista. A 31 anni soltanto egli ha portato alla morte gloriosa olocausto meraviglioso! tutto un patrimonio stupendo d'intelligenza, di bontà, di finezza che un senso indefinito di quella nostalgia dolorosa così nota ai figli della Romagna solatia rendeva artisticamente meravigliose. E' morto sapendo di morire (c’era nel suo ultimo articolo sulla Voce quasi la certezza del solenne destino) eroe tra gli eroi, bello fra i belli, compiendo in se l’incarnazione più alta dell'ultima bellezza, sulle Alpi candide per le strade che domani i figli profughi di Trieste e dell'Istria, forte ricalcheranno per tornare alle loro case Italiche, nella terra libera per virtù di fraterno amore. Fino ad ora non mai vidi cosa più bella, destino più superbo, incarnazione più divina di questo che ieri non era ancor sogno e che oggi lo spirito della guerra rende rude cronaca di giornale. E molti di questi fenomeni sublimi produce la guerra, questa epopea barbara che idealizza, straziando la materia, l’azione degli spiriti che vi partecipano e fa passare sui mucchi orridi, fetidi, dei suoi cadaveri le visioni più pure e più alte, alte così che sembrano attingere e confondersi col cielo. Umano e divino si fondono. Gli antichi attribuivano agli Dei come la somma bontà e l’immenso amore anche il sommo della barbarie e della crudeltà. A ogni eccelso le cose eccelse. E gli antichi avevano un senso purissimo d’arte. Quante illusioni cadono oggi! Quanta vita si crea uccidendo la vita! La guerra non distrugge: essa crea perciò rigenera. E il mondo, questo povero vecchio mondo, ha bisogno ogni tanto di scuotersi, di mondarsi, e per questo c’è la falce epica della guerra che netta estirpa e porta via; e ciò che resta, resta fresco e molle come una guancia rosea di adolescente che sente le minime impressioni dello spirito e delle cose. E la vita nuova si fa solo con gli adolescenti, con la purezza e la freschezza, con la sete dell'ignoto, con l'ingenuità.
Modena, 31 luglio 1915 MAMMA E BABBO CARI,
Stamani la posta mi ha portato la tua lunga e buona lettera, babbo mio caro, e mi ha portato tante notizie che cercavo, che desideravo da voi; ma forse voi vi preoccupate troppo di me, pensate troppo a me; e questo in parte se mi commuove, se mi avvince sempre più a voi, a voi soli, con tutti i battiti del cuore, mi rende altresì più dolente questa lontananza pensando quante volte durante il giorno volgerete lo sguardo, l’occhio fisso verso il cielo lontano ansiosi, dubbiosi, sospirando ed attendenti le notizie come il sollievo, le parole come il balsamo. Oh mamma, oh babbo! ch'io ve lo possa portare questo balsamo costà, io in persona, e gettarmi un poco fra le vostre braccia! Forse mai come quando si compiono i più grandi doveri, si sentono i grandi amori, gli intensi desideri le enormi rinunce: questo forse per aumentare e nobilitare di più la virtù del sacrificio che spontaneamente compiamo... E Giorgio, il soldato modello, non scrive? Credo che la Patria non possa lamentarsi di noi per ora. Se domani vorrà anche questa pelle gliela daremo volentieri. Credo fermamente ora che chi muore e chi specialmente muore a vent' anni per una causa simile non possa assolutamente morire, ma vivere ancora in una radiosa eternità dello spirito. Troppo meschino sarebbe il mondo! Il sangue sparso sulla terra vaporosa e le sue esalazioni vitali colorano le nubi altissime e si fondono col cielo vicino. Oggi a tanti piagnucoloni qui che non si commuovono e temono, dico che è più umano, più morale suicidarsi che farsi mettere la dove credono di non rischiare la pelle... Vi abbraccio e vi bacio con tutto il mio trasporto più grande. ROMANO Modena, 3 Agosto 1915 Carissimi
Ho ricevuto ora il D'Annunzio e le vostre care lettere. Voi non potete immaginare tutta la mia felicità. Stasera, tomo del resto ho fatto molte altre volte, non uscirò e potrò finalmente solo e raccolto pensare e commuovermi a, piacere. Dunque andremo a Poretta; e tu, babbo, t'immagini con quanta felicità, e credo anche tua, ti vedrò arrivare come mi hai promesso? Molte volte, le domeniche specialmente, quando alle inferriate che circondano il giardino di questa caserma posticcia, vedo sporgersi volti di mamme e di babbi che sono lì da ore ad attendere che esca il figlio, il nipote (c’è talora la nonna tremula che piange, piange, senza, dice lei, senza saperne il perchè) per abbracciarlo, soffocarlo in una stretta che sembra non finire, e vedo l’ufficiale di picchetto e qualche soldato di guardia volgersi altrove tossire.., per un po' di fumo andato a traverso... mi sembra che il cuore mi si apra lentamente ma spaventosamente, mentre gli occhi cercano attraverso il cielo lontano le vostre immagini care e brillano di lacrime per il pianto che anch'io non so più trattenere. Oh, mamma! oh babbo! Mai come allora ho sentito la durezza della lontananza e l’esilio della mia casa sotto questo cielo immoto, sotto questo sole affaticante che prostra e confonde. E sono fuggito di caserma, via per le strade bianche scottanti, volgendo il capo altrove, per non vedere, per non sentire, irato quasi per quella felicità, che io più d'ogni altro desideravo. E talvolta la sera in caserma nella camerata, prima di andare a dormire, diventavo perfino sgarbato contro l’essere tanto invidiato. Ma Dio, credo, perdona perché questa invidia, deriva da troppo amore. … “e mai come oggi ho tanto amato....mai forse come oggi ho avuto l’anima cosi pura e libera di ogni altro sentimento estranea a quello che è realmente caro nella vita: la Patria, voi e la casa”. Con la Patria nell’ora nostra più grave e più alta, mentre ci lega a se con legame indissolubile rende più bello e nobile il sacrificio che noi compiamo per lei, per la grande nostra Vittoria. Che Dio ci guidi con occhio benigno e ci dia il dono meritato in questo ultimo e divino amore... Credo che tu faccia bene a telegrafare a Giorgio, se non scrive: egli tanto buono, tanto timoroso di recar noie o dolori che sarebbe capace di nascondere qualche cosa. Ma io ritengo sia la sua solita pigrizia a scrivere. Oggi sono stanco e ho assai da fare: pulizia specialmente del fucile, che da quando ho sparato non ho più voluto tormentarlo (per non tormentarmi e sporcarmi) con la bacchetta. E anche la baionetta reclama i suoi diritti. Chi mi avrebbe mai detto ieri che avrei fatto tutto ciò? Guardo, e non so se fui o se sono. Vi bacio con tutta l'anima. ROMANO
Io non temo nulla oggi. La morte è quasi indifferente come la vita oggi viviamo troppo intensamente per pensare a noi! Ci sono le Alpi che attendono e che chiamano con tanta sonorità di voci lontane; di giorno in giorno il desiderio di essere lassù cresce enormemente, i feriti che arrivano acuiscono il desiderio e la brama della vendetta sangue vuoi sangue è inutile! Gli occhi non vedono più come prima, il cuore non ha che un palpito la Vittoria o la Morte! Mai fummo così sinceramente e pienamente altruisti come ora. La vita, quell'altra vita, se deve venire, verrà dopo, dopo la sosta buona del ritorno che vi auguro ed anche se è possibile mi auguro. Allora ci riorienteremo, ripenseremo, ma non riapriremo libro che interrompemmo partendo, facendo in fretta un orecchio ai margini della pagina; ne cominceremo uno nuovo, completamente nuovo. Babbo, mamma, credetemi mai sono stato sincero come oggi, come in questo momento lieto. Forse è la giornata superba di sole, ma è anche il sole che è nella mia anima, così che mi pare che essa risplenda. E siate lieti anche voi, Partecipate anche voi di questa grandezza. Se voi aveste un figlio che andasse al macello oh allora!..ma voi accompagnate con lo spirito tutta la mia gioia, tutta la mia baldanza fresca e viva come le Alpi nostre che la devono accogliere: non è morte questa, mai: è vita, è immortalità. Ne sono sicuro: voi mi direte lieti, baciandomi, con gli occhi lucenti, la parola del commiato: va, sii forte; fa il tuo dovere, qualunque cosa avvenga, qualunque sorte tu debba incontrare. Ed io sarò forte, e sarò fiero. E verrà anche il mio fratello buono che per tutt'e due c’è la gloria con in tutt'e due c'é la nobiltà dello spirito acceso di amore sacro. Nella mia libreria c'è il libro di Serra, velatelo con tricolore, attraversato da un nastrino nero di lutto: lo farete? Grazie. Un bacio, mamma. Babbo, stai allegro se no, il pensiero che tu mia triste, mi rende più dolorosa questa lontananza. Ed io lo sento se tu sei lieto o no; capisci? Il tuo ROMANO DAVIDE PERRONE NATO IL 27 NOVEMBRE 1892 S. TENENTE DI COMPLEMENTO NELL'ARMA DI FANTERIA CADUTO SULLE PENDICI DI MONTE MERZLI IL 28 GIUGNO 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA AL V. M. 24 maggio 1915 ALLA MADRE
Mi sono affidato alla Provvidenza Divina, fiducioso in essa ciò che sarà la Sua volontà sarà anche la mia, sarà anche la vostra. Ritornare, ritornare sano, importa ma soprattutto importa conservarsi puri, importa compiere fino all'ultimo il proprio dovere. Per questo mi sento tranquillo, perchè Iddio mi darà la forza di compierlo questo dovere, mi farà capace, come Gli chiedo, di compiere anche il supremo sacrificio. Voi non dovete piangere per me; per me dovrete soltanto pregare, come abbiamo pregato e sempre preghiamo assieme per il babbo, caduto anche lui sulla breccia, compiendo il suo dovere di padre cristiano. Mamma, forse Iddio ha stabilito che dobbiamo rivederci e ringraziarlo uniti alla sua benevolenza; ma se così non fosse, sappi che nell'estremo momento penserò soltanto a Dio come a scopo, al babbo come esempio, a te come conforto e come soddisfazione dell'immane debito di gratitudine che ho verso di te. Arrivederci, o mamma; non rattristarti. Tutto questo ti ho scritto perchè lo dovevo. GIOVANNI BELLINI NATO A FIRENZE NEL 1891 SOLDATO DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO IL 7 LUGLIO 1915
Dal diario Il vestimento
Sul telo da tenda disteso in terra ci piove: un vestito di panno - due paia di scarpe - pantaloni di tela Io zaino - due paia di cravatte - due camicie - la borsetta di pulizia - la gavetta la borraccia - il tascapane - la spazzola — due paia d'aghetti - due berretti - le stellette - la scatola per il lucido il farsetto a maglia - due pezzuole - due cravatte — le mutande - la cinghia - le mostrine picchetti e bastoni da tenda, tutto nuovo, non manca nulla. Evviva il massaio Salandra. Dopo venti minuti da ognuno dei cento teli dove il caporalino ha buttato alla rinfusa codesta roba si leva un soldato; un soldato italiano. Toscani Tutti questi compagni miei piovuti qui per caso mi paiono già tutti fratelli. Avrei da insegnargli tante cose, ma non gli dico nulla; mi piacciono troppo così. Ognuno ha già preso il proprio posto sulla paglia e nell'idea degli altri. Dopo la noia del vestirsi ci siamo sdraiati un po' sulla paglia e rispogliati perchè faceva un'afa asfissiante; s'era in un bagno di sudore. Già molti dei più pieni di sé traboccano un po' d'anima nella camerata ampia che puzza d'uomini, di naftalina, di brodo.
EDMONDO FLORA NATO A CARIFE (AVELLINO) SERGENTE DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO NEL GIUGNO 1915
Plava, 9 Giugno 1915 AMATO PAPÀ,
La presente viene da me scritta alla vigilia della grande impresa, alla quale prenderò parte unitamente al mio reggimento, ai primo battesimo del fuoco, e quando la riceverete è il seguo della mia morte. Il dolore per voi è grande ma non piangete, perchè muoio, per la grandezza e la salvezza della cara Patria e del Re. Non piangete, anzi ne dovete essere orgogliosi di aver dato anche voi un figlio per la Patria, e poi, siete anche voi vecchi e dovete pensare alla vostra vecchiaia, alla cara sorella, che tanto mi raccomando, sperando che anche il fratello vorrà interessarsene. Io muoio ma il mio nome vissuto sarà! Come diceva un poeta “chi per la Patria muore, vissuto per sempre sarà”. Non piangete, ma bensì perdonate e benedite il vostro amato che ha sparso il suo giovane sangue sul campo di battaglia! Sì, perdonate, ogni piccola mancanza che ho commesso involontariamente, ed anche ai miei cari zii chiedo perdono ed altri, che da me siano stati offesi. La mamma cosa dirà? Poveretta! Quanti e quanti sudori e lacrime non avrà sparso sin da quando ero nelle fasce, e che ora ha la nuova della mia, morte per mezzo del piombo nemico, ma per la grande impresa della quale anch'essa deve essere orgogliosa e la supplico di non addolorare ancor di più papà. La presente, dopo scritta, la metto nelle mie tasche affidandola a qualche generoso che verrà a guardare nelle mie vestimenta con la fiducia che voi la possiate avere. Chiudo i miei scritti, col pensiero che l'ora della grande impresa s'avvicina, alla quale ci accingiamo tutti, uniti e compatti. Addio a tutti ed arrivederci all'altro mondo. La presente non è solo apportatrice della nuova, ma anche degli ultimi miei saluti a tutti gli amici e lontani parenti. Apportatrice di caldi baci ai zii tutti ed ai mei cari ed amati cugini. In ultimo a voi, col resto, ricevete, sì, ricevete gli ultimi miei baci ed abbracci e pur morendo contento ho un, dispiacere ed è quello di non averli potuto rinnovare personalmente. Addio papà, mamma, fratello e sorella Aff.mo figlio, anche dopo morto. EDMONDO (morto nel fiore della gioventù) La presente la scrivo ai piedi della Bandiera del mio Reggimento alla quale son comandato e che devo difenderla EUGENIO VAINA DE PAVA PROF. NEL R. GINNASIO DI AOSTA S. TENENTE 4° REGGIMENTO ALPINI CADUTO IL 21 LUGLIO 1915 Scrisse alla vigilia della morte: 20 luglio 1915,
Sette morti sono rimasti nel nostro primo attacco all’imboccatura del canalone, fulminati dalla mitraglia. L'attacco passò oltre rombando, rompendosi: ondeggiando, piantandoci fino a sera in una Improvvisata trincea. Io ebbi l’ordine di trattenermi con uno stormo di feriti che solo la notte sì sarebbero potuti sgombrare, sotto rocce arroventato dal sole, contro rocce saccheggiate dallo Sharapnel, all'imboccatura del canalone della morte. I feriti tacevano serrando le labbra; tante tante ore; eravamo veramente soli, io e loro, i sette morti del nostro primo attacco. Mi chinai strisciando per 1' ultimo dovere di capo, li palpai ansante, sollevai l’orribile peso, l’orribile rigidità, staccai la piastrina di riconoscimento dalle giubbe, ritirai le cartucce, l’armi, il portafoglio, l’orologio, le carte personali. Attorno ai morti aleggiava un mondo invisibile del quale soltanto ora io raccoglievo la voce. Diceva una mamma fra i suoi cari spropositi di vecchia contadina “Mi piace di sentire che sei così aperto e leale e ti vanti di essere alpino e vuoi andare avanti finchè puoi, perchè vincano gli italiani. Ricordati però di non arrabbiarti mai e di non bestemmiare, di dire ogni sera un'Ave Maria e di portare questa, medaglina che tua madre vecchia ti affida”. 'Narrava una moglie tutti i fatterelli di casa e del vicinato, i piccoli dolori, gli incidenti, le gioie, consolava e benediceva, poi cedeva la penna al figliuolo grandicello e questi scarabocchiava al babbo un lungo racconto di gita presso i nonni, di giornata chiassosa trascorsa con altri cuginetti sulle rive del Lago Maggiore. Dietro la terza di quelle ombre era un piccolo mistero, forse una tragedia ignorata. La donna si scusa quasi di essersi recata dai suoi parenti e di aver loro lasciato per qualche tempo la bambina: «ma io son troppo fiera, sai, soggiungeva, son troppo piena di rivolta e alla prima parola amara non avrei risposto nulla e sarei venuta via. Ma son diventati, molto buoni ora e parlano di te con gran gentilezza”. Tutte le penombre della vita risaltavano più spiccate attorno a quei cadaveri cui già circondava un ronzio crescente di mosconi d'oro. Io non potevo più seppellire quei cadaveri, come non potevo sfuggire al quesito personale che m'inchiodava più della mitraglia e del sole all’imboccatura del canalone della morte: Non sono essi un poco le mie vittime? Non li venivo io, per il mio vacuo sogno, lentamente assassinando da dieci mesi? Non sono stato io a spezzare con le mie mani, col mio pensiero, Con tutto il mio sforzo di questi ultimi tempi tante soavi trame di vita, a disseccare tante fonti di attiva, umile e buona per non so che mania morbosa di grandezza? La mia opera mi stava davanti imponendomi il mio supremo esame dì coscienza: ho passato anch’io, è ben vero la medesima tempesta ho sfidato anch’io forse più cosciente di loro la morte che passava, potevo bene io essere al posto di costui che si è aggrappato al mio piede ad un tratto, ha detto ahi... ahi... come per a piccola puntura di spillo, quasi sotto voce, ha cominciato a scivolare, ha rotolato, è rimasto colla bocca aperta, la testa all’ ingiù, le braccia aperte in croce. Ho cercato di pagar di persona quanto era possibile le mie affermazioni, questo era pur vero; ma era ancor poco davanti a quella conclusione enormemente muta, davanti ai quattordici occhi sbarrati, alle sette bocche aperte dove già entravano le formiche. Morire? Volevo allora sinceramente morire? E sarebbe bastato? O vivere ancora ed agire? Passava in me un pallido riflesso di quella divina agonia che solamente un Dio potè portare in una notte mortale, sopra una montagna terrestre, gravato di tutto l'umano affanno. Il sole disparve dietro i calcari roventi di monte Kozliak e di Pleca; tremò la stella polare sull'anonima quota duemila cinquantadue, sbrecciato baluardo dell'Austria; sbocciò Cassiopea la sua M simbolica entro il canalone della morte, sul fosco violaceo Rudeci Rob, sull'aguzzo profilo del Moznik, contro cui avevamo gettato l'onda dei battaglioni alpini che vi si era rappresa, aggrappata disperatamente a mezza costa in attesa dell'ultimo slancio. Il timo odorava acutissimo in mezzo a quel nero, sparso di tenui sospiri; la neve s'adeguava alle rocce in una sola sfumatura indistinta. Che pace nelle cose, che stanchezza mortale nelle nostre ginocchia! Uno strido di allocco insistente. Qualche grillo trepidando arrischiava a filare la sua esile nota. Vedevo e non vedevo i sette cadaveri. Ero nelle loro case adesso bocche bramose attorno una gran tavola, fronti chine sul rosario; fatti e pensieri semplici come l'eternità. Anche la loro morte rientrava in un ritmo infinito. Qualche cosa di più grande di me, di loro, del mondo stesso la riassorbiva con una grande serenità. Io ero giustificato; la mia vita sullo stesso piano della morte, come domani la mia morte per altre vite, per il trionfo dr altri ideali sopra uno stesso piano provvidenzialmente ascendente. Soprattutto io sentivo il legame che unisce le universe cose nel cuore dei cuori, onde la vita fluisce sempre più abbondante: “Ell'é ne l'umanità piena infinita, e trasfigurerà anche la morte”. Mortificato e pieno nella mia superbia, nella mia, tenerezza, nella parte caduca, nel mio stesso sogno, accettava la parola del Profeta: La, guerra è penitenza. Chi l'ha meritata deve a qualunque costo soffrirla suggerendone e l'amaro sino alla feccia. — Dal male, almeno nell'intimo nostro, deve ancor rizampillare prepotente il bene, dalla violenza scaturire una giustizia migliore, dall'ordine infranto che fu basso machiavellismo germinare un ordine stabile che risponda meglio nulla segreta logica delle cose. Per questo accettare la morte, la nostra e (quel sembra più arduo) anche quella degli altri, colla confidente sommessione ad una, divina necessità. I sette morti erano composti in pace: l'iride tricolore apertasi la sera innanzi sulla montagna nemica, era forse arco del loro trionfale ingresso nella Pace. Iride tricolore di Italia sotto cui vogliamo abbracciare tutte le giustizie, avviarci per una strada terrena alla Città senza tempo, tu benedicesti per sempre il Vallone della morte co' tuoi santi presagi. Eugenio Vaina GIOSUÈ BORSI NATO A LIVORNO IL 10 GIUGNO 1888 LAUREATO IN LETTERE TERZIARIO FRANCESCANO S. TENENTE DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO AD OSLAVIA IL 10 NOVEMBRE 1915 DECORATO DA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Ultima lettera alla madre. 21 Ottobre 1915 MAMMA,
Questa lettera, che ti giungerà soltanto nel caso che io debba cadere in questa battaglia, la scrivo in una, trincea avanzata dove mi trovo da stanotte coi miei soldati in attesa dell'ordine di passare il fiume e muovere l’assalto. Volevo scriverla con minor fretta e con più calma, oggi, se, come tutto faceva credere, fossimo rimasti ancora accampati per un giorno a Zapotok. Ieri sera già, disponevo ad addormentarmi sotto la mia tenda, e pensavo con vera gioia che oggi avrei avuto un'intera giornata tranquilla per prepararmi al grande cimento: all'alba avrei ascoltato la messa e mi sarei comunicato, poi ti avrei preparato questa lettera di commiato, e finalmente, in pace col mondo, con me stesso e con Dio, avrei atteso la sera meditando e pregando, parlando a miei soldatini, pronto a tutto, ben preparato ad ogni evento, pienamente distaccato da tutti i legami terreni. Invece giunse l’ordine repentino di levare le tende e prepararci alla marcia d'avvicinamento. Ci guardammo, io ed il tenente Maltagliati, mio compagno di tenda: Ci siamo!...Ci stringemmo la mano con quella dolce effusione fraterna che solo chi è stato in guerra può capire. In breve fummo tutti armati ed in ordine; riunito il mio plotone, feci l'appello, e corremmo al comando di battaglione per riepilogare attentamente tutto il piano d'attacco con le carte topografiche alla mano. Poi il colonnello ci disse qualche parola, ci strinse la mano ad uno ad uno. Finalmente ci siamo messi in marcia sotto la luna, abbiamo salito il monte, siamo discesi dall'altro versante e, giunti sulla riva dell'Isonzo, ci siamo disposti in linea. Fino all'alba ho lavorato coi miei soldati a scavare la nostra trincea, vi ho disposto tre delle mie squadre e ne ho condotto una quarta con me, in questa trincea coperta, lasciata dagli avamposti. Sotto questa trincea scorre l'Isonzo, che vediamo dalle feritoie in tutta la sua incantevole bellezza. A monte, sulla nostra sinistra, è il punto della riva dove sarà gettato il ponte per il nostro passaggio. A valle si trova la testa di Ponte di Plava, con due reggimenti pronti a rincalzare la nostra avanzata. In faccia a me, sulla riva opposta dei fiume, si stende un bel paesino ridente. E' Desela, uno degli obbiettivi dell'azione affidata a noi. All'alba di stamani é cominciata la battaglia, col fuoco delle nostre magnifiche e formidabili artiglierie. Lo spettacolo è stato terribilmente superbo e maestoso. Tutte le posizioni nemiche sono state bombardate da una gragnola di proiettili d'ogni calibro. Tutte le trincee degli avversari sono state sconvolte ad una ad una, feritoia, per feritoia, con una precisione matematica, inesorabile. Una pattuglia austriaca che occupava una trincea sulla mia destra, s'è vista rimanere sepolta, e due soldati sono stati, scagliati in aria come fuscelli. L' artiglieria avversaria ha risposto debolmente e senza risultati. Sui camminamento coperto che conduce alla trincea occupata da me, e dove forse i nemici hanno scorto qualche movimento di soldati, caduta una quarantina di granate, di cui soltanto cinque o sei sono scoppiate, senza recare il minimo danno. Presso la nostra trincea ne sono cadute una ventina, di cui una sola ha colto nel segno ferendomi un soldato e spezzando un fucile. Adesso, siamo arrivati al pomeriggio. Sulle nostre ali s'é impegnato un fuoco di fucileria violentissimo e rabbioso, mentre l’artiglieria continua l’opera propria. Poco sappiamo di quel che accade presso di noi. Io ho mangiato poco fa, ho scambiato qualche parola e qualche biglietto con gli ufficiali dei due plotoni che, mi fiancheggiano, Maltagliati, del primo e Viviani del terzo. I miei soldati sonnecchiano, l’attesa si prolunga, ed ho pensato di cominciare a scriverti, nella speranza che il tempo non mi manchi per dirti almeno una parte dei pensieri e degli affetti che mi traboccano dall'anima per te, mamma mia. Sono tranquillo, perfettamente sereno, e fermamente deciso a fare tutto il mio dovere fino all' ultimo da forte e buon soldato, incrollabilmente sicuro della nostra vittoria immancabile. Non sono altrettanto certo di vederla da vivo ma questa incertezza, grazia a Dio, non mi turba affatto e non basta a farmi tremare. Sono felice di offrire la mia vita alla Patria, sono altero di spenderla così bene, e non so come ringraziare la Provvidenza dell'onore che mi fa, offrendomene l’occasione in questa fulgida giornata di sole autunnale, in mezzo a questa incantevole vallata della nostra Venezia Giulia, mentre sono ancora nel fiore degli anni, nella pienezza delle forze e dell'ingegno, e combatto in questa guerra santa per la libertà e per la giustizia. Tutto mi è dunque propri-zio, tutto mi arride per fare una morte fausta e bella il tempo, il luogo, la stagione, l’occasione, l’età. Non potrei meglio coronare la mia vita, sento tutta la compiacenza di farne un uso buono e generoso. Perciò mamma, perchè in verità offenderesti la mia sorte, non voglio che tu pianga, non piangere per me, mamma, se è scritto lassù che io debbo morire. Non piangere, perciò tu piangeresti sulla mia Io non debbo esser pianto, ma invidiato. Tu sai quali speranze ineffabili mi confortano, perchè sono anche e speranze in cui anche tu hai riposto ogni tuo bene. Quando tu leggerai queste mie i parole, io sarò già libero, sciolto e al sicuro, ben lontano dalle miserie del mondo. La mia guerra sarà finita ed io sarò alla pace. La mia morte quotidiana sarà, morta, ed io sarò giunto in alto, alla vita senza morte. Sarò in faccia al Giudice che ho tanto temuto, al Signore che ho tanto amato. Pensa, mamma, che quando tu leggerai queste parole, io ti guarderò dal cielo, a fianco dei nostri cari, sarò con babbo, con la mia Laura, con Dino, il nostro angioletto tutelare. Saremo lassù tutti, uniti ed in festa ad aspettarti, a vegliare su te e su Gino, a prepararvi con le nostre preghiere il luogo della vostra gloria sempiterna. E questo pensiero non deve bastarti solo, ad asciugare tutte le tue lagrime e a riempirti d' una gioia indicibile? No, no, non piangere, mamma mia santa, e sii forte come sei sempre stata. Anche se non ti basta la compiacenza di avere offerto alla nostra adorata Italia, questa terra gloriosa e prediletta da Dio, il santo sacrificio della vita d' uno dei tuoi figli, pensa in ogni modo che non devi ribellarti neppure per un istante ai decreti divinamenti sapienti e divinamenti amorosi del nostro Signore. Se egli voleva serbarmi ad altro, poteva farmi sopravvivere: se mi ha chiamato a sé, è segno che quello era il migliore dei partiti e il maggior bene per me. Egli sa, quel che fa a noi non, resta che inchinarci e adorare, accettando con giubilo fiducioso la sua altissima volontà. Non rimpiango la vita. Ne ho assaporato tutte le ebrezze malsane, e mene sono ritratto con insormontabile fastidio e disgusto. Potevo ora, piccolo figliuol prodigo tornato dopo tanti smarrimenti nella casa del Padre, sperare ragionevolmente di gustarne le buone gioie, quelle del dovere compiuto, del bene praticato e predicato, dell'arte professata, del lavoro, della carità, della fecondità. A fianco della bella e buona giovinetta che tu conosci ed apprezzi, che ho sempre, sempre così teneramente, timidamente e fedelmente amata, anche attraverso i miei errori e trascorsi colpevoli, potevo sperare di riuscire un buono sposo ed un buon padre. Vi sono al mondo tante sante e nobili battaglie da combattere, per l’amore, per la giustizia, per la libertà, per la fede; e per qualche tempo, lo confesso, mi sono anch’io, povero presuntuoso, creduto predestinato, e designato al compito arduo e terribile di vincerne qualcuna. Tutto questo era bello, era lusinghiero, era desiderabile, ne convengo, ma non vale la mia sorte d' ora, ecco la verità, e davvero non so se sarei veramente contento di aver scritta invano questa lettera. La vita è triste, è penoso e increscioso dovere un lungo esilio nell'incertezza della propria sorte. Perché la vita mi trascorresse a seconda dei miei, desideri e senza offrirmi mille amari disinganni, occorreva un concorso di circostanze troppo rare e difficili. E poi sono e mi sento debole, non ho la, minima fiducia in me stesso. Tutta la lotta contro l’ingratitudine e l’iniquità del Mondo non mi avrebbe spaventato come la lotta contro me stesso. Meglio dunque come é avvenuto, mamma. Il Signore, nella, sua infinita bontà, chiaroveggente mi ha riserbato proprio il destino che occorreva per me; destino facile, dolce, onorevole, rapido morire per la Patria in battaglia. Con questo bel trapasso encomiabile, compiendo il più ambito tra i doveri dei buon cittadino verso la terra che gli diede i natali; ecco che io mi distacco, tra il rimpianto di tutti coloro che mi amano, da una, vita di cui già troppo sentivo il fastidio e disgusto. Lascio la caducità, lascio il peccato, lascio il triste ed accorante spettacolo dei piccoli e momentanei trionfi del male sul bene: lascio la mia salma umiliante, il peso grave di tutte le mie catene, e volo via libero, libero, finalmente libero, lassù nei cieli dove è il Padre nostro, lassù dove si fa sempre la sua volontà. Figurati, mamma, con quanta esultanza accetterò dalle sue mani anche i castighi che mi imporrà la sua giustizia per i miei peccati. Egli stesso li ha tutti pagati coi suoi meriti sovrabbondanti, Dio di misericordia e di pietà, riscattandomi coi suo sangue prezioso, vivendo e morendo per me quaggiù. Soltanto per sua grazia, soltanto con Gesù Cristo, io ho potuto ottenere che i miei peccati non fossero la mia morte eterna. Egli ha visto le lacrime dei mio pentimento, egli mi ha perdonato per bocca della sua sposa illibata la Chiesa. Spero che la Madonna, così pietosa e benigna per noi, mi assista col suo potente aiuto nell' istante in cui si deciderà di tutta la mia eternità. E poichè sono a parlare dì perdono, mamma, ho una cosa da dirti con tutta semplicità: perdonami anche tu. Perdonami tutti i dolori che ti ho dato, tutte le angosce che ti ho fatto patire, ogni volta che sono stato verso di te sconoscente, impaziente, smemorato, indocile. Perdonami se per negligenza ed inesperienza non ho saputo procurarti una vita più agiata e tranquilla, col mio lavoro, dal giorno in cui mio padre ti lasciò affidata a me con la sua morte prematura. Vedo bene ora quanti torti sono sempre stato colpevole vergo di te, e ne sento tutta la stretta, il rimorso e l'angoscia, crudele, ora che morendo sono Costretto ad affidarti alla provvidenza del Signore. Perdonami infine quest'ultimo dolore che ho voluto darti, forse non senza leggerezza ostinata e crudele, offrendomi volontariamente al servizio della patria, affascinato d alle lusinghe di questa bella sorte. Perdonami anche di non aver mai abbastanza riconosciuto, adorato, cercato di ricompensare, la nobiltà impareggiabile del tuo animo, del tuo cuore immenso o sublime, madre mia veramente perfetta ed esemplare, a cui debbo tutto quanto sono e quanto ho fatto al mondo di meno male. Troppe altre cose avrei da dirti, ma non basterebbe un poema. Non mi resta che raccomandarti ancora una volta al nostro Gino, sulla cui serietà, sulla cui probità, sulla cui forza d'animo, sul cui tenero amore filiale, faccio il più alto assegnamento. Digli a nome mio che serva volenteroso la patria finchè la patria avrà bisogno di lui, che la serva con abnegazione, con ardore, con entusiasmo; fino alla morte, se occorre. Se il destino riserba a lui una lunga vita di lavoro, l'affronti con serenità, con fermezza, con amore indomito alla giustizia e all'onestà confidando sempre nel trionfo del bene, con la grazia di Dio. Sia un buon marito e un buon padre, educhi i figli all'amor del Signore, col rispetto della Chiesa, alla fedeltà verso il nostro Re, verso le leggi, al culto geloso della patria nostra diletta. Pensate spesso a noialtri quassù, parlate di noi tra voi, ricordateci e amateci come vivi, perchè noi saremo sempre con voi. Tu prega molto per me, perchè ne ho bisogno. Abbi il coraggio di sopportare la vita fino all'ultimo senza, perderti d' animo, continua ad essere forte ed energica come sei sempre stata in tutte le tempeste della tua vita, e continua ad essere umile, pia, caritatevole, perchè la pace di Dio sia sempre con te. Addio, mamma, addio, Gino, miei cari… miei amati. Vi abbraccio con tutto lo slancio del mio amore immenso, che si è centuplicato durante la lontananza in mezzo ai pericoli e ai disagi della guerra. Qua, staccato dal mondo, sempre con l'immagine della morte imminente, ho sentito quanto sono forti i legami col mondo, quanto gli uomini abbiano bisogno di amore reciproco, di fiducia, dì disciplina, di concordia, d'unità, quanto siano necessarie e sacrosante cose la patria, il focolare, la famiglia, quanto sia colpevole chi le, rinnega, le tradisce, le opprime. Amore e libertà per tutti, ecco l'ideale per cui è bello offrire la vita. Che Dio renda fecondo il nostro sacrificio, abbia pietà degli uomini, dimentichi e perdoni le loro offese, dia loro la pace, e allora, mamma, non saremo morti invano. Ancora un tenero bacio. Giosuè
DECIO RAGGI NATO A SAVIGNANO m RIGO IL 29 SETTEMBRE 1884 LAUREATO IN LEGGE DALLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA TENENTE DI COMPL. DELL' 11° REGGIMENTO FANTERIA. CADUTO COMBATTENDO A PODGORA IL 19 LUGLIO 1915 DECORATO DALLA MEDAGLIA D' ORO DI MOTU PROPRIO DI S. M.
Testamento Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III con animo paterno pensa a unire tutta nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini, da Capriva il 2 luglio 1915 faccio noto ai miei cari queste ultime mie volontà. O gioventù Italiana, invidia la mia sorte fortunata! Nel nome Santo di Dio e nella speranza di una vita migliore, per la grandezza, per l'unità, per l'onore cella Patria, per la libertà e l'indipendenza dei fratelli oppressi, nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'amore di tutto ciò che è italiano, io muoio beato. Nè le fatiche, nè i pericoli, nè la fame, nè la sete, nè le veglie, nè i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle nostre giuste aspirazioni nazionali, l'amore degli Italiani oppressi, l’odio contro i vecchi e nuovi tiranni nostri oppressori. Quindi voi che mi volete bene non abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me, come l'animo mio sì nutrirà ancora di un tale amore per voi. Chiedo perdono a tutti coloro cui feci del male come ne chieggo a chi potè farmene. Se il mio attendente adempirà all'incarico affidatogli di portare fuori del campo di battaglia il mio corpo morto o moribondo, — sì che io non resti in mano dei nemico — si abbia una giusta, regalia per la sua fedeltà. Il mio corpo se è possibile, riposi nel mio paese presso gli altri miei cari. Date pure fiori a chi mori per la Patria. GIUSEPPE TELLINI NATO A FUSIGNANO IL 16 ACOSTO 1884 DOTTORE IN SCIENZE COMMERCIALI. S. TEN. DI COMPL. NELL' ARMA DI FANTERIA. CADUTO SULL' ISONZO IN AZIONE VOLONTARIA IL 21 LUGLIO 1915 DECORATO DI MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
(Il giorno stesso della morte). 21 Luglio 1915
CARO GIULIO, Ricevo oggi 21 la tua del 14. Non c’è male rispetto al ritardo, dato che la posta, oggi è stata distribuita fin nelle ultime trincee, da dove il soldato romagnolo oggi all'ufficiale austriaco che urlava «Cani italiani» rispondeva «Ven avanti vigliaca... » Perché devi sapere che quando il 280 va all’assalto si sente prima l’urlo selvaggio «Savoia… poi una fila, un diluvio di bestemmie rabbiose, conio «bassa Romagna). Giulio, ieri per la, prima volta, finalmente, (7 attacchi di cui l’ultimo durato dal 17 al 20) il tricolore ha sventolato sulla cima... inespugnabile di P.... Prima abbiamo fatto l’assalto metodico, palmo, palmo, a mezzo trincee e camminamenti, avanzando 5, 10, 20 metri al giorno facendo prigionieri circa 200 Austriaci. Ma i reggimenti composti solo di romagnoli hanno fatto capire d'essere sul punto di perdere la pazienza! Non è questo il metodo di guerra atto al temperamento nostro! E ieri i nostri bravi soldati romagnoli hanno buttato via vanghette, picconi e badili e si sono scagliati come leoni contro il fuoco, ed il piombo del nemico che da posizione alta e blindata li fulminava. E migliaia di baionette hanno scintillato al sole insieme e un urlo selvaggio, mille urla disperate, mille cuori forti palpitanti, mille animi sublimi come Dio si sono mischiati si sono fusi in una cosa sola sovrumana ineffabile, terribile, irresistibile. C'era forse corrispondenza fra il Creatore e gli eroi? Ambo le artiglierie che prima parlavano hanno taciuto perchè c'era la, mischia. Ho detto mischia: ho sbagliato. Il nemico sorpreso da, an impeto, sbalordito dalle urla, è uscito al contrattacco ma è stato travolto; chi è rimasto nelle trincee a far fuoco è stato ucciso lì dentro, altri 200 prigionieri gettavan l'armi e alzavan le braccia! «Ven cun me!» si sentiva per intorno. Il romagnolo che trionfava sull' austriaco e sul tedesco; perchè devi sapere che la maggior parte dei graduati nemici li ha mandati Guglielmone e inquadrano le squadre. In questa apoteosi di gloria il sole s'è conato ed è scesa la rotte. Viva l'Italia! Ora s'aspetta il contrattacco in forze. Ben vengano! Davanti scorre l'Isonzo, al di là biancheggia Gorizia. Altri ossi duri. Ma Dio e la ragione sono con noi. Io sono incolume, ma ho i pantaloni in brandelli. Baci! La censura, mi perdoni. Fafino NELLO FIORAVANTI NATO A PRATO INTAGLIATORE IN LEGNO CADUTO SUL MONTE SEI BURI IL 28 LUGLIO 1915. DECORATO DI UNA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M. E DI UNA CROCE DI GUERRA. ALLA MOGLIE Ogni quando in quando mi prende la nostalgia, penso a te, a Mariuccio ai miei vecchietti e prego Iddio che mi dia la gioia di rivedervi. Penso, penso e mi trovo nella chiesa a Firenze col signor Riviera «laggiù dove regna la pace» poi a Prato in casa mia, nella prima stanza ove il signor Riviera ha tante volte parlato del nostro Signore. Mi ricordo caramente le passeggiate sul poggio con le signore B... ed il buon B.... lassù in alto ove spira aria libera, pura che sembra essere a contatto con Dio. Prego continuamente il buon, Gesù che interceda per me il Signore acciocché perdoni i peccati che di volta in, volta faccio, poiché sono in mezzo alto bestemmie ed alla corruzione e non posso fare a meno di arrabbiarmi. Il mio benchè modesto grado non mi permette dì star tranquillo, poiché sono spesso comandato ed anche rimproverato e sono spesso a gridare, comandare e passar ordini, che se poi non vengono per disgrazia eseguiti, sono io che ne soffro le conseguenze; e ciò succede spesso, poichè, vi è disciplina e dall' altra parte confusione e spessi servizi. In certi momenti, se non avessi la certezza che il Signore mi aiuta e la, fiducia in lui, mi prenderebbe la tristezza estrema. Quando mi trovo solo e son certo che nessuno mi vede, guardo la fotografia di te e di Mariuccio e mi viene da piangere, ma mi consola presto il Signore, egli mi asciuga le lacrime affacciandomi l'idea che state bene, che la vostra salute è buona e che pregate per me. Anche Mario vero? Prega? Insegnagli una preghiera, anche corta che Dio gli conservi suo padre, che egli possa uscire e tornare salvo dal conflitto e possa riabbracciarlo e baciarlo ancora. Il nostro Signore ascolterà certo una preghiera, un cuoricino così puro. Povero Mariuccio, non la paura di morire, ma l'idea che io non potessi più rivederlo e non rivedere te, i miei vecchi, i miei fratelli in carne e fratelli della chiesa di Firenze e di Prato mi fa paura, e mi viene le lacrime come in questo momento che ti sto scrivendo. O Signore, dammi la forza di bere questo, calice, poichè tu lo vuoi. Questa è certo una espiazione dei miei falli passati... Scrivi subito e a lungo... che io possa leggere un'ora intera in, mezzo ad un campo e piangere di gioia... GIUSEPPE RICCIARDO CERASA NATO A FRANCOFONTE (SIRACUSA) IL 4 MARZO 1890 STUDENTE IN GIURISPRUDENZA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA S. TEN. DI COMPL. DEL 31° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL CIVARON (VAL SUGANA) IL 14 AGOSTO 1915 PROPOSTO PER LA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. 8 giugno 1916
CARISSIMO ZIO Rispondo con ritardo alla sua carissima del 21 del trascorso mese. Sono di ritorno da un'altra posizione di prima linea: Castelloni di San Marco a, circa 2000 metri, sempre in Valsugana. Però quivi non c'eran trincee, né alcun'altra, opera di difesa eravamo annidati tra rocce altissime e tra foltissimi abeti caratteristica vera dell'alta montagna. Credo che la fantasia dei disegnatori dei giornali illustrati esulasse di molto dalla realtà delle scene di guerra; eppure Le posso assicurare che se ne può avere davvero un'idea, dando uno sguardo alle fantasmagorie di tali illustrazioni. Quanta gente disseminata, sperduti fra questi boschi e questi picchi inaccessibili, vigili, eroici guardiani delle nostre posizioni! Lassù trovammo la neve, molta neve e, come se poca fosse quella ammucchiata, la sera del 5 ora scorsa, ne imperversò una gran bufera, una vera tormenta! Tante e tante impressioni, caro Zio, mi sfuggono ma son compreso dell'ineffabile piacere di aver sperimentato quanto non avevo nemmeno sognato! Durante l'azione sul S. Osvaldo, che ebbe inizio il 16 aprile, la Domenica delle Palme, e che, se avrò fortuna avrò molti motivi da ricordare, sotto un intenso grandinare di artiglieria, provai anche la sete. Acqua non ce n'era: eravamo quasi sulla vetta, a 1200 metri le pallottole fischiavano, incrociantisi incessantemente nel vallone. Non era prudente mandare ad attingere acqua laggiù come fare? Le tribolazioni aguzzano il cervello, fa dire il Manzoni al povero Renzo, ed è verissimo: l’ho sperimentato a mie spese! Sa come ho fatto per bere qualche centilitro di acqua? Approfitto d'una tenuissima pioggia, e raccolgo a poco a poco dentro una tazza le goccioline depositatesi sulle foglie degli alberi. D'Annunzio fa dire a Tullio Hervill: “la grandezza morale risultando dalla intensità dei dolori superati, perché ella avesse occasione di essere eroica, era necessario che avesse sofferto quello che io le ho fatto soffrire” e ciò trovo che è ben detto anche per me. Con assai soddisfacenti effetti, ho messo a dure prove il mio organismo; e quella stessa calma di fronte al pericolo che io dubitavo dì poter avere, l’ho saputo mantenere e ne ho riportato un conforto sublime! Ritornando a parlare di Castellone S. Marco, il freddo vi era intenso. Una mattina (la notte precedente ero andato a riposare completamente fradicio bagnato, sopra un soffice letto di rami di pino) trovai tutti i miei panni gelati nel vero senso della parola, tesi e duri come se fossero stati passati all'umido. Un po' di buon fuoco li fece ritornare alla morbidezza primitiva ma restaron sempre bagnati. Avrei dovuto subire almeno una piccola faringite e certo, da borghesi, si avrebbero avuti dolori reumatici, artritici, nevralgie, pleuriti, che so io? qualcosa, al certo, dei suoi non confortanti libri di patologia. Invece, niente di tutto questo! Anzi, aggiunga, ad onta di tanto gelo, di tanta umidità, e di tanti strapazzi, il mio famoso ginocchio è completamente ristabilito, guarito. Perciò corre da noi un frizzo, attinto da Bisleri: «Volete la salute? Venite qua in guerra! Da quanto ho scritto rivelerà che il mio buon umore, come quello di tutti i miei compagni, si mantiene sempre alto; anzi, con piena fiducia che le cose andranno sempre bene! Godo che il papà, ignorando ogni cosa, non è niente preoccupato, e che sta discretamente; tenendogli nascosti tutti i miei movimenti, continuerà a star tranquillo. GIOVANNI GALEOTTI NATO A CHIUSI IL 19 FEBBRAIO 1895 STUDENTE IN GIURISPRUDENZA NELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA S. TEN. DI COMPL. DEI CAVALLEGGERI ALESSANDRIA CADUTO COMBATTENDO IL 13 SETTEMBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
(Alla vigilia della morte)
Mio CARO PAPA In questo momento ricevo l'ordine di compiere un'impresa pericolosissima e che forse mi costerà la vita, tra queste erte ed orride montagne. Addio, papà mio, su questa terra! Ricordati di me che ti amai tanto. La mia, vita passò Come un sogno. Arrivederci in paradiso. T’invia mille baci e ti chiede la santa benedizione il tuo Giovanni.
12 agosto 1915
MIA CARA MAMMINA Abbiamo avuto l’ordine dì partire per Tomino, dove avremo parte principale. Io sono comandato di avanguardia. Iddio mi concederà certamente di rivederti; ma può essere anche che sia scritto ch'io non debba tornare. Parto con animo tranquillo, come andai via da Livorno, come sono stato sempre in questi mesi di guerra. Questa lettera ti è destinata, caso mai io non debba tornare, perché ti sia sempre presente, perchè ti ricordi e ti dica cosa pensava il tuo Giovanni alla vigilia di morire. L'impresa è ardua, saremo forse molto esposti; i Cavalleggeri di Alessandria, per primi, prenderanno parte a un'azione veramente importante. Sta sicura che, tranquillo dopo la confessione e la comunione stamane avute, la mia mente, durante i pericoli più gravi sarà rivolta a voi; l'ultimo mio pensiero sarà per te, per papà, per i miei fratellini! Morirò da forte, lieto di fare il mio dovere, e nell' ora suprema mi sentirò vicino, vicino a voi! Sentirò i tuoi baci, le espressioni affettuose de miei cari, e in un lampo passerò in rassegna tanti che mi amano e che forse mi piangeranno. Povero amor mio! chi ti avrebbe detto che avresti dovuto tanto soffrire! Eravamo nati in un tempo in cui le guerre sembravano allontanate, ed invece la carneficina si avvicinava nascosta dietro l’eleganza ed il benestare per mandare orrendamente in rovina uomini e popoli... Che Dio salvi l’Italia! Tu non ricordarmi con tristezza; non piangere troppo sulla mia morte, che in ispirito sarò sempre con te, e presto raggiungerò la nonna! Mi dispiace che il mio corpo non possa riposare con lei e con gli altri parenti! Sarà fra queste gole alpine, dove comincia la nostra bella patria, dove i buoni contadini ricorderanno tanti giovani visti passare e non più ritornati! Non ricordarmi quando vedi un morto, ma abbimi presente quando ero in sottanine, quando cominciai a vestirmi da uomo, nella distinta divisa di Collegio e poi da borghese, finalmente vestito da volontario e nella grande uniforma da Ufficiale. Tanti luoghi, specialmente i nostri posti, ti ricordino me, ivi sono sempre presente!..: ancora ti accompagno in chiesa, ancora rido e scherzo con i miei fratelli, ancora faccio delle gite con voi, i cavalli e tutte le mie altre bestie, palazzo di Piero, Poggio >Piglia sono stati i miei divertimenti da piccolo e Io sarebbero ancora, se vivessi. Vi ho dato delle consolazioni, avrei continuato; Vi avrei voluto felici! I miei fratellini vi compenseranno e saranno sempre le vostre colonne. Maria sarà sposa felice, glielo auguro, Enrico lo stesso. Allora non Più guerra, allora non più brutalità, ma il ricordo lontano di questi tempi. Parlino rispettivamente alla propria sposa, al proprio marito di me; ed ai futuri nipotini di tu quanto li avrei amati, racconta loro quanto bene volevo alla loro nonna! Non mi considerare perduto, ma sempre presente con voi; al Palazzo di Piero nelle preghiere della sera; a Roma nelle lunghe serate invernali, come quando eravamo raccolti e felici; e ciò sempre, fino all'ultimo giorno della tua vita. I parenti, gli amici salutameli tutti e dì che Giovanni anche da morto apprezza chi pensa a lui. La mia memoria vi attenderà quando verrete a trovarmi, lasciate le vostre occupazioni, la cimitero. Ivi ascolterò sempre le vostre preghiere, i vostri baci i vostri palpiti. Non abbandonate mai un minuto il ricordo di me, che deve sempre aleggiare nella vostra vecchia casa. Ho scritto in fretta, mamma ma ha scritto il mio cuore. Arrivederci, non addio, mammina mia; arrivederci papà, Enrico, Maria! Vi bacio un milione di volte, vi chiedo la Santa Benedizione Il vostro GIOVANNI
LUIGI POCATERRA NATO A ROMA IL 20 MARZO 1893 S. TEN. DI COMPL. NEL 3° ARTIGLIERIA FORTEZZA CADUTO COMBATTENDO A DOLJE L’11 OTTOBRE 1915 DECORATO DI MEDAGLIA D'ARGENTO AL V.M. MAMMA. FRA Poche ORE sarò partito: è sogno della mia vita, è l'ideale finalmente raggiunto. Io vado, vado entusiasticamente, risoluto a fare tutto il mio dovere, Pronto a soffrire tutto a provare tutto. Una palla di fucile o una scheggia di granata mi colpirà, mamma, ma io ti proibisco di piangere, di piangere l'eroe, il soldato morto sul campo dell’onore, per la, grandezza della Patria. E’ questo l'ideale bello della mia vita, ch’io cullai nel mio animo dolcemente fin da bambino, che tu, mamma, sapesti infondermi nei latte che ti succhiai, ideale bello, nobile, grande come nessuno altro mai. Mamma, io ti proibisco di piangere. Se morirò sono lieto di morire e benedirò la mano austriaca che m'avrà colpito, perdonerò i nemici d'Italia che m'avranno dato così dolce ebbrezza. Mamma, io ti proibisco di piangere. I miei nonni, i miei zii, rischiarono la vita, combatterono per Italia io, nipote non degenere, voglio anche io combattere per una più grande Italia, pronto a sacrificare per essa tutti i miei ideali grandissimi, le mie speranze, il mio avvenire luminoso, il mio amore, la mia vita. Tutto è piccino innanzi, Alla Patria! Mamma, io ti proibisco di piangere. Se avrò l'onore di morire, tu saprai della mia vita e della mia anima dalle poesie molteplici che troverai nei miei cassetti. E' lì tutta la mia vita e la mia anima, perchè da esse sperai la gloria. Altro non so dirti sto in pace con Dio e con gli uomini e muoio senza, rimorsi. Non ho mai fatto male a nessuno e bene a molti, sono stato sempre come meglio potevo, solerte, buono, affettuoso, onesto; ho fatto sempre come meglio potevo il mio dovere. Addio mamma, addio fratelli e sorelle! Ricordatevi di me, vogliatemi bene, che io fino all' ultimo ve ne ho voluto tanto e se esiste una vita seconda migliore di questa, ci vedremo di là. Vi bacio tutti ad uno ad uno. Vostro Luigi MARIO FUSETTI NATO A MILANO IL 16 AGOSTO 1893 STUDENTE NEL R. LICEO TORQUATO S. TEN. DI COMPL. DEL 81° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO IL 18 OTTOBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D'ORO AL V. M. Testamento scritto il 16 ottobre 1915, antivigilia della morte.
Con mano sicura esprimo colle parole che seguono non le mie ultime volontà, ma quei miei pensieri che desidero sopravvivano, per quelli che mi amano alla mia morte. Sono alla vigilia d'una azione d'ardimento, dal cui esito dipendono in gran parte le sorti d'una vittoria. A me, ai miei compagni d'arme, non manca gran copia dì fede: l'esito, con la vita, con la bella morte, sarà degno del nostro imperturbabile amor per la Patria. Se cadrò, Papà, Gina, angelo mio, amici e parenti, che mi amate, non abbiate lacrime per me: io, la morte, la bella morte, l'ho amata. Non pensatemi col petto squarciato nell'ultimo spasimo, ma dal fervore d'un impeto eroico svanire in una beatitudine suprema. Io ho sognato, nelle peregrinazioni del pensiero, nelle grandi questioni umane e cosmiche, un avvenire di perfezione nelle cose morali e fisiche. Ho amato la Patria mia, nell'intimo delle sue divine bellezze, delle sue tradizioni. Ho amato sopra, ogni cosa l'uman Genere, campo ove è possibile e necessaria la lotta, dov'è desiderabile e probabile il pacifico trionfo delle idealità non sacrileghe. E appunto perchè ho stimato necessaria la lotta io mi sono volenterosamente, serenamente battuto. Che il mio povero corpo riposi semplicemente dove sono caduto, io desidero; inumato coll'onore delle armi, fra i miei commilitoni. Che il sacrificio mio umile fra tanta gloria, sproni, se c’è l’ignavo e dia sangue al codardo. Babbo mio, Gina mia, angelo mio, parenti e amici voi che tanta parte siete dell'anima mia colla memoria adorata della mamma, in alto i Cuori! Con tenerezza serena, con fede, nella pace dell’anima cristiana: sul campo, al cospetto del nemico, che non temo, mi firmo MARIO FUSETTI CESARE PECCHIOLI NATO A FIRENZE IL 23 MARZO 1895 STUDENTE DEL 4° ANNO DEL. R. IST. TECNICO GALILEI DI FIRENZE S. TEN. DI COMPL. DEL 17° REGGIMENTO DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SULLE COLLINE DI VERMIGLIANO IL 21 OTTOBRE 1915 DECORATO CON MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
19 ottobre 1915. Lettera,
Il bombardamento è incominciato da ieri sera, centinaia e centinaia di bocche da fuoco sparano di tutti i calibri, noi ne siamo circondati, il rumore mi assordisce! Di qua vediamo le trincee austriache saltare per aria, è una cosa terribile. Domani, forse stanotte, incomincerà l'azione della fanteria; del mio reggimento, solo il 3° Battaglione, solo la 2a e 9a Compagnia. Sia fatta la volontà di Dio! Il compito non è facile tutt'altro: nostri soldati Io sanno, ma sono calmi; ciò mi fa bene sperare. Sento il dovere, adesso che ho questi brevi momenti di tempo, scrivere; affiderò queste poche righe a persona fidata, che certamente, se sarà il caso, li spedirà a casa mia; li dovrà solo spedire nel caso che io non ritorni, e che sia sicuro che sia rimasto lassù. Ho molta fiducia in Dio e non temo per la mia vita, perchè la espongo per un nobile scopo, santo e bello. I miei piangeranno, Ciò mi spezza il cuore; non hanno che me, la loro unica speranza, la loro unica gioia. Tolto ciò, il mio animo è tranquillo; se dovrò rimanere lassù sulle colline, Dio penserà a loro e io nella vita eterna sempre sarò con loro, nella loro anima, nel loro Cuore. Di Renzo non ho notizie, ma so che la sua compagnia è di rincalzo; Dio lo protegga! Gli ordini del giorno, vibranti di alte parole, intesi ad entusiasmare il soldato, piovono da tutte le parti, e ci promettono la gloria. Spero che gli Italiani saranno contenti di noi; sono sicuro che faremo il nostro dovere, ed ancora una volta Austria ci, volterà le spalle. Chi resiste alle nostre baionette? Sei miei amici mi ricorderanno qualche volta, sarò loro riconoscente dal Cielo. Sono contento di esporre la vita per la Patria e i miei cari amati genitori e la mia buona sorellina, fra il dolore di avermi perduto, dovranno gioire di sapermi caduto sul campo dell’onore su quel campo ambito dove tanti altri fratelli perirono per la giustizia. Ricordo tutti i parenti: essi mi rammentino con affetto. Raccomando ai miei cari di farsi coraggio che la volontà di Dio, era quella, e Iddio non vuole che il nostro bene e la nostra salute eterna! Pregate tutti per me. Vi bacio tutti e Viva l’Italia Cesare Pecchioni MARIO MURGO NATO A MONTEMILETO (AVELLINO) IL 30 AGOSTO 1893 ACRONOMO SERGENTE D’ARTIGLIERIA DA CAMPAGNA CADUTO COMBATTENDO IL 22 OTTOBRE 1915 IN VAL POPENA DECORATO DELLA MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M. 15 agosto 1915
Dal diario di guerra: Un soldato austriaco, sotto l’impulso della propria audacia, postato sul ciglio di un precipizio, solo con il suo fucile e il suo valore, cerca di ostacolare avanzata dei nostri; ma un nostro caporale con un colpo preciso lo fulmina. Il cadavere del valoroso precipitando, rimane sospeso, in tragica Posizione, sugli alberi sottostanti con la faccia stravolta, fissa ai cielo, come in un ultimo gesto di implorazione disperata. Più in alto verso lo stesso ciglio, attraverso un sentiero, altri tre nemici, sfracellati da una mia granata, giacciono in pose tragiche. Poi ancora altri cadaveri, circa duecentocinquanta, di fronte alle nostre trincee, sono di nemici Periti in contrattacco e danno l'impressione di un vero canaio. Ho pietà di loro. In questo momento mentre con raccapriccio guardo la scena macabra, la mai mente si sovviene di un verso di Giorgio Byron “gli spiriti nobili non fanno guerra ai morti”. Giacete in pace, voi che foste sacrificali dalla ferocia del vostro lurido imperatore, poveri morti! Verso sera, dalle carogne incomincia a levarsi un fetore, insopportabile. Durante l'audace contrattacco anche da, parte nostra abbiamo avuto dei morti, tre ufficiali caduti gloriosamente, cioè un tenente colonnello che, uscito fuori dalla trincea, incitava, i suoi uomini al grido di Savoia! Viva Italia! e che con la rivoltella in pugno fece fuoco, fino all'ora estrema, su quanti nemici gli si paravano davanti; un capitano che in piedi, ritto sulla trincea, gridava al nemico di arrendersi un tenente mentre con la parola e con l'esempio incitava la sua compagnia. Sono morti anche pochi soldati, tre o quattro in tutto. Zona di guerra, 6 ottobre 1915
Da una lettera alla famiglia Questo è il mio orgoglio; avere un padre come te, una madre, la mia adorata mamma, la quale anch'essa mi incita nelle sue lettere, soffuse di santo amor di patria, a fare quel che posso. Ed è anche per questo che combatto con pura fede d'italiano, questa nostra santa guerra. Vi penso, vi sogno in ogni ora, in ogni momento. In tutte le imprese difficili e pericolose vi ho sempre avuti presenti, perciò mi pareva così di potermi meglio difendere dalle insidia nemiche. Il pensiero di mamma mi infonde nuove energie, mi pare di essere, pensando a lei, piú audace. Quando partii per Messina piansi nell'abbandonarvi; nel distaccarmi da voi per venire quassù non una lacrima rigò il mio volto, nessuno singhiozzo mi fece groppo alla gola. Partii sicuro di me, sicuro di riabbracciarvi e di vivere a voi insieme tutta la mia vita. CARLO SAINT CYR NATO A ROMA L' 8 AGOSTO 1893 LAUREANDO IN LETTERE S. TENENTE DI COMPL. IN FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL PODGORA IL 28 OTTOBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D'ORO AL V. M.
4 settembre 1915.
E tuttavia la guerra venne e io partii, non per amor della guerra ma per semplice amor del dovere; non cercai se altri, Compiva ugualmente il proprio dovere; io mi curai del mio e partii. Volli essere forte e nessuno forse dei miei cari suppose il mio dolore, la mia angoscia. Partii quasi serenamente e non ignoravo i pericoli, le fatiche, i disagi, a cui andavo incontro. E i giorni si sono aggiunti ai giorni e più d'un mese ormai è trascorso dal mio arrivo al fronte. I miei superiori sanno se mai io mi sia lamentato per i disagi e se mai io abbia indietreggiato dinnanzi ai pericoli; nessuno mai avrà bisogno d'insegnarmi quale sia il mio dovere. Ma la mia anima non, è mutata, o, meglio, in un solo senso è mutata: più dolce le parrà la vita dopo i pericoli trascorsi.
17 ottobre 1915
. . . . Che mattina d'incanto! Dopo la difficile notte di ansia terribile fino alle prime ore di luce, quando ormai si potè ritenere poco probabile un attacco nemico e potè rallentarsi la vigilanza, che mattina meravigliosa! Questa notte vigileremo ancora ansiosi, con le armi pronte e l'anima tesa, ma ora è bello vivere questo trionfo di cielo, di sole, di luce, ora è bello tutto dimenticare, la guerra, i nemici, le armi per vivere solo questi attimi di pura gioia estetica. Soldati, deponete le armi ai vostri piedi e ammirate con me questa solennità della natura. Se i vostri occhi sono ancora velati dal sonno non dormito nella notte trascorsa, la luce, il sole ve li faranno ancora limpidi e sereni. Dimenticate e ammirate. Nel cielo azzurro si libra, immenso sono de uccello maestoso, un aeroplano, e attorno a lui sono nuvolette biancastre lasciate dai colpi di cannoni. Riprende la musica delle fucilate per un istante dimenticata. La guerra, la guerra é su di noi, attorno a noi e vano è lo sforzo di dimenticarla. Soldati, vigili alle armi! E certo, il più bel giorno della mia vita sarà, quello in cui mi sarà, dato passare ancora le soglie della mia vecchia casa se, il mio cuore non vacillerà, per l’impetuosa, indomabile commozione. E piangerò allora un pianto lungo di gioia avvolgente ed ineffabile e si vedrà allora l’ufficiale, che di fronte ai pericoli nemici non ha battuto ciglio, tremare di piacere di fronte ai volti amati. Dio è troppo buono perchè non mi conceda la gioia di quel giorno indimenticabile: ho sofferto ho lottato o fatto il mio dovere perchè non dovrei rivedere le persone a me più care, perché? PIETRO ONOPERA NATO A SENIGALLIA IL 17 GIUGNO 1895 STUDENTE IN GIURISPRUDENZA NELL' UNIVERSITÀ DI ROMA SOLDATO VOLONTARIO DI ARTIGLIERIA CADUTO COMBATTENDO DINNANZI A GORIZIA, IL 3 NOVEMBRE 1915
(Memoria trovata indosso al cadavere).
Ore 6 del mattino — Siamo stati piazzati per quattro giorni tra S. Lazzaro e Villanova, in una pianura: dal davanti e dalla sinistra le grosse artiglierie ci bersagliavano ma senza effetto. Ieri sera abbiamo cambiato posizione: siamo su una collinetta (quota 121) a pochi passi da Gorizia. Abbiamo lavorato tutta stanotte per cercare di ripararci il meglio possibile, ma temo tutto sia inutile. Siamo in una conca sul pendio della collina: qualche frasca nasconde in parte i nostri pezzi alla vista del nemico: i ripari di terra sono bassissimi, incompleti, poco resistenti, senza copertura e i pezzi restano fuori per metà: Poco più giù sono le nostre trincee di fanteria, poi quelle austriache. Dobbiamo parlare sottovoce, non accendere fiammiferi, non alzarci in piedi, per non essere scoperti e fatti bersaglio della fucileria. Di fronte a noi, a un chilometro e mezzo o poco più, si erge maestoso e terribile il Monte Sabotino: sulla cima sono piazzate le grosse artiglierie nemiche e son quelle che ci batteranno. Abbiamo shrapnels e granate a centinaia, ma temo che ne spareremo poche: appena spareremo i primi colpi saremo scoperti senza dubbio e la nostra batteria offre uno splendido bersaglio. La nostra posizione è insostenibile: in pochi minuti i nostri pezzi salteranno in aria e, quasi certamente, noi insieme ad essi. E sia!. Ho la certezza di non vedere l'alba di domani, e non tremo: confesso però che sarei stato più contento di morire dopo aver fatto qualche cosa di più: sono stato al fuoco solo quattro giorni! Ma non fa nulla: ho la coscienza di aver fatto il mio dovere ed ho il fermo proposito di adempierlo fino all'ultimo: non mi allontanerò dai mio pezzo, finchè avrò un filo di fiato. Scrivo queste righe seduto al mio posto di puntatore, Con il cannone già pronto per il fuoco: sono calmo e sereno della freddezza di chi sa i propri minuti contati, senza remissione. Se vivrò, tutto di guadagnato, ma ormai non ci spero più. Evviva l'Italia! Evviva la Repubblica! PIETRO BONOPERA
GUIDO SCAPECCHI NATO A PORTO MAURIZIO, IL 19 OTTOBRE 1885 LICENZIATO DAL REGIO LICEO GINNATIO DI AREZZO APPLICATO DELLE FERROVIE DELLO STATO CAPITANO DI COMPL. 7° FANTERIA CADUTO COMBATTENDO A OSLAVIA IL 12 NOVEMBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
2 agosto 1915
Dal diario: Si prepara una notte d'inferno e penso ai miei soldati nei piccoli posti avanzati, gruppetti di anime trepidanti, cuori che ricevono scosse ad ogni piccolo movimento ora sotto la sferza, degli elementi che si scatenano sopra di loro. Penso ai poveretti che stanno nelle trincee„ fermi sopra ai Canale d'acqua che scorre nel fondo della trincea, sotto la pioggia nel buio, inchiodati la senza conoscere altro che il proprio dovere. da una lettera al fratello Alla sera assistiamo ai fuochi. Sono razzi bellissimi che innalzano e illuminano. Segnalazioni notturne e richiami. Il buon Dio ci concede dello splendide giornate e nottate straordinarie al chiaro di luna. Sotto un cielo così bello, mentre il nostro piede calca il terreno che la mia compagnia ha conquistato senza, una goccia di sangue sotto le ombre proiettate dalle rocce splendide, nella loro maestosa grandezza, inaccessibili, a piede umano, imponenti nelle loro forme e dettagli, in cui la fantasia può soffermandosi, sbizzarrirsi e vedere, in esse, magari la forma di un uomo che dorme, o dì un capriolo arrampicato; in mezzo a tanta gioventù allegra e forte, che può avere un momento solo di esitazione quando si organizza un'impresa alquanto pericolosa, prodotta da tanti pensieri che attraversano la mente, ma che poi scacciano nel tempo materiale che occorre per una leggera scrollatina di testa per dedicarsi completamente al proprio dovere, cosa vuoi che rappresentino i troppo scarsi pericoli della Guerra? Caro Tito, quanto pagherei comunicarti con questa mia un po' del mio buon umore. Sento che la mia salute è buona, sento le forze che vanno aumentando nel disagio, sento l'affetto vostro che tutto mi circonda, vivo con voi in un ambiente reso puro, quasi celestiale, perchè lontano da tutto ciò che di brutto può amareggiare, ed il dolore, o meglio il dispiacere di non potervi stringere in un amplesso materiale, è largamente compensato dall'unione delle anime nostre. Sono contento anche perché so che voialtri pregate per me e le vostre preghiere volano a Dio perchè sono fervide e sentite. Anch'io prego, ma forse troppo poco ed ò il difetto di pregare di più quando sono sotto l'incubo di un pericolo maggiore. Io credo che questo sia un grave difetto, ma Dio mi perdonerà. Gino mi ha scritto che presto avrai la visita. Sento ancora che stai bene. Continua a star sano e contento. Progi i miei rispettosi ossequi al Signor Rettore. Abbiti tanti, tanti bacioni dal tuo Guido ENRICO CARLOTTA NATO A MINERVINO l'URGE (BARI) SOLDATO DEL 73°REGGIMENTO FANTERIA CADUTO NEL DICEMBRE 1915
4 dicembre 1915
Ai MIEI CARI CHE AMO TANTO Con la fede nell'anima, di sotto la tenda che lascerò fra breve, nell’attesa del crepitio delle moschettate, col sorriso nell’anima, con voi tutti nel cuore, negli occhi, nel pensiero, io vado verso il destino che m'attende. Benedicimi, o madre, in quest'ora di solennità e di vittoria. Il mio coraggio, fatto più forte dalle tue preghiere e dalla tua fede, lo faranno degno di quello che sento. Non paventare, quindi temere; la via è tracciata, il sentiero è fatto, ed io lo varco con la fede nell'anima, con tutti voi nel cuore, ardente di affetto, sicuro di fare ritorno un giorno fra voi, a godere la, pace che si avrà in cambio delle fatiche e degli sforzi che ora facciamo per la gloria e la grandezza della nostra Patria. Padre mio benedicimi in quest’ora solenne, mamma benedicimi con il tuo grido d'amore che sarà la mia protezione, la mia sicurezza, la, mia guida. Sorelle mie, beneditemi con il vostro bacio ardente di affetto e con la preghiera che rivolgete al Signore per me. Con le vostre benedizione vado a battermi: il mio coraggio è immenso e la mia fede è grande. Vi abbraccio e vi bacio tutti, fino a stancarmi. Enrico SCIPIO SLATAPER NATO A TRIESTE NEL 1888 LAUREATO IN LETTERE NELL' ISTITUTO SUPERIORE DI FIRENZE SOTTOTENENTE 1° FANTERIA MORTO COMBATTENDO AL PODG0RA IL 3 DICEMBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. Alla moglie ...Dalla guerra, Come ti dissi più, volte, ho più impressioni laterali che centrali. Mille piccole cose importanti che si scrivono poco volentieri, essendo in mezzo ad esse. Già, io non capisco il discorso lungo sulla guerra di chi sta combattendo. Forse perchè anche in guerra - pare impossibile - sono pigro. Ma è certo ch'io vedo quasi, tutte, le cose coi miei occhi e ora porto nelle cose nuove la vecchia retorica della città. Se tu badi bene quasi tutte le lettere dei combattenti sono scritte non da chi combatte ma da chi le riceve. Quasi tutti vedono le cose che s'erano preparati a vedere. Viceversa, io al contrario di tanti altri, ho della guerra tutt'altro senso che quello giornaliero di piccole miserie e debolezze che hanno in generale gli stessi che poi scrivono le lettere di fuoco. E questi tali considerano novellini e illusi tutti quelli che credono alle parole di gloria e vittoria, magari da loro stessi scritte. Io no. Io vedo che siamo uomini e che la guerra esige di più che le forze umane, che ha in sé qualcosa di superiore e troppo più spaventevole che un uomo possa dare o sopportare. Ma è la comunità degli uomini che riesce, è lo sforzo collettivo, di collegato aiuto, di rinforzo, di coordinazione quello che innamora è che è la vera guerra. Questo senso ha la disciplina militare, per cui procede come in qualunque lavoro umano, ma in un'opera e in condizioni che trascendono l'umano. Scavare un tunnel è cooperazione e ordine rincalzantesi come le squadre di turno ma espugnare una posizione è una cooperazione disperata e sacra, che pare i versi ritmici di una invocazione, in cui nessuno ragiona più, ma ognun agisce come se tutti assieme si fosse ispirati di terrore sacro. Si sente ch'è vicino Dio sul campo di battaglia. Ed è questo ch'io non trovo in Tolstoj, il quale era troppo impressionista per essere religioso. Cara piccola, ora sai circa quello che penso e sento in questi giorni di riposo accanto ai combattenti. E ho una grande calma e una fede quasi di tornare a te, perchè non ho mai avuto ancora il senso della mia morte fra le morti altrui. Cara, chiama il figliolo come desideri. Dimmi sempre di te, magari niente, ma scrivimi. Ormai sono abituato a ricevere una tua ogni giorno. Non piangere piccola mia, sta sempre bene. Arrivederci.
Dal libro “Il Mio Carso” ...E anche noi obbediremo alla nostra legge. Viaggeremo incerti e nostalgici, spinti da desiderosi ricordi che troveremo nostri in nessun posto. Di dove venimmo? Lontana è la patria e il nido disfatto. Ma commossi d'amore torneremo alla patria nostra, Trieste, e di qui cominceremo. Noi vogliamo bene a Trieste per l'anima in tormento che ci ha data. Essa ci strappa dai nostri piccoli e ci fa suoi, e ci fa fratelli di tutte le patrie combattute. Essa ci ha tirato su per la lotta e il dovere.... Ah, fratelli, come sarebbe bello poter essere sicuri e superbi, e godere della propria intelligenza, saccheggiare i grandi campi rigogliosi con la giovane forza, e sapere e comandare e possedere! Ma noi, tesi d'orgoglio, con il cuore che ci scotta di vergogna, vi tendiamo la mano, e vi preghiamo di essere giusti con noi come cerchiamo di essere giusti con voi. Perchè noi vi amiamo, fratelli, e speriamo che ci amerete. Noi vogliamo amare e lavorare. ALESSANDRO BUSCAROLI SOTTOTENENTE NEL 3° ALPINI BATTERIA SUSA CADUTO IN GUERRA
Testamento. In caso di morte in compagnia desidero: che nessuna ricerca, sia fatta della mia salma, nè che siano fatte pratiche per ottenere il trasporto, dato che si conosca il luogo dove essa è sepolta, intendo io riposare accanto ai compagni d'arme in vita, come in morte; Che della mia morte sia dato pubblico annunzio affinchè ne Vengano a conoscenza, quanti mi conobbero, ed i miei compagni di Modena specialmente, omettendo qualsiasi espressione di dolore, dichiarandosene invece orgogliosi. Che una mia fotografia, velata in nero, si trovi sempre nella camera dei miei genitori ed in quella di mia sorella; Che tali fotografie siano ornate da una fascia tricolore ad ogni anniversario della mia, morte e a nessuno, la mia famiglia compreso, sia portato il lutto per la mia morte, rappresentando essa un onore per chi mi fu parente e non un dolore; per voi, genitori e per te sorella tanto amati, per la Patria per la quale è dolce morire è l’ultimo pensiero del vostro Alessandro. EDGARDO MACRELLI NATO A CESENA IL 5 MARZO 1892 STUDENTE DI GIURISPRUDENZA ALL’UNIVERSITA’ DI FERRARA SOTTOTENENTE DI COMPLEMENTO DELL’11° FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL PODGORA IL 25 NOVEMBRE 1915 DECORATO CON MEDAGLIA AL V.M.
Perchè si dove morire giovani? Qual è la sorgente di questa contraddizione che martella la vita? E perchè sì muore per quelli che verranno, per un sogno, per una chimera? Ieri mi scavai la trincea. La terra scavata mandava il suo acre odore: si scava curvi o distesi con la febbre della velocità. Poi mi sono giaciuto sulla mia, fossa. E là, su, si morirà, cosi.. la morte ci irrigidirà così mentre l'occhio cerca e il polso è saldo e a coprirci basterà, la terra che ci siamo scavati per il riparo: ignoti soli dimenticati. E l'amico passerà livido di strage senza riconoscere. Mia madre che m'ha fatto, che mi ha cullato e ha pianto e mi voleva per sè, mia madre che veniva a vedermi la, notte o mi diceva le sue cose umili e grandi e la sua, carezza era un'affannosa protezione, mia madre mi attenderà invano nei giorni e nelle notti muta di dolore...
24 agosto A mio padre perché la lontananza sia un orgoglioso rimpianto... a mia madre che è madre del sangue dello mie vene... dei cieli della mia anima, degli orizzonti della mia fede, a mia madre che m' ha insegnato il bene, il sacrificio, i' amore, la ribellione perché mi ricordi con una carezza di protezione e di speranza...
9 settembre 1915 ... Sono qui a dormire sul freddo della terra, fra pareti umide di terra, e ho :43 carne ruvida e sporca e i capelli incolti e la divisa lacera: sopra la testa poche tavole sconnesse aperte al cielo e alta morte: e mangio sulle mie ginocchia e una candela infilata in un fiasco è la mia lampada, una feritoia, il mio balcone. E all’imbrunire comincia la triste bisogna. Si esce dalle trincee: cauti silenziosi curvi perchè non si profili l’ombra e non c’è un sorriso non c'è una carezza per questo giovinezze che si battono qui. E all'alba mi vado a giacere quando il cannone tuona: e il cannone mi desta. Ma sulla mia pelle sporca passa il brivido della mia fede e il sorriso delle stelle entra per i miei balconi e io mi affondo nel cielo e abbraccio i monti e lo spazio, e questo gioco innanzi alla morte mi dà, la vertigine dell'esaltazione
7 settembre 1915
CARISSIMA MAMMA, Sto bene e vivo nella speranza di vederti presto. Tu sei il mio unico pensiero, l'unica freccia confitta qui nel mio fianco e cito mi punge con dolcissima nostalgia del tuo viso, quando la solitudine è più intensa. Io t'ho chiesto troppo, è vero, mamma e ora ti chiedo di sopportare il sacrificio per io stesso amore che ti dà il tuo dolore e per quell'altro amore che traversava, come luce di stella, l'anima alla madre dell'apostolo. E poi passerà il membo e nulla ci separerà mai più. E scrivimi e proteggimi. Edgardo
Dalle sue lettere Siamo alle prime linee. Non c’è timore di pericoli. La guerra non è come immaginate da lontano e come la dipingono i giornali. Non è una cosa eccezionale; una vita, nuova, nuovissima, divenuta normale naturale in poche ore. Non v’è meraviglia, di nulla, c'è allegria, c’è vino c'è mangiare c’è una giovinezza sana, e un'anima aperta agli spazi e una fede dagli orizzonti infiniti, poi sopra tutti i più secolari convenzionalismi con i quali gli uomini han creato le servitù, le disarmonie, i privilegi, oltre tutte lo forme misere di potere, povere effimere appariscenti senza volto nè, anima, c’è l’idealità pura e incontaminata e immacolata della patria, dell’umanità. «il verno della barbarie ha spezzato la patria, ha insanguinato l'umanità… quelli che morirono innanzi al sole, quelli che morirono legati alla gleba maledicendo, quelli che si consumarono nelle galere, quelli che donarono la giovinezza a una speranza, tutti i morti tutti i secoli per la libertà, tutti i soldati dalle catene, i strozzati dalle forche, i percossi, gli impiccati, e le madri che consumarono gli occhi nel piante e protesero invano le mani giunte al vecchio impiccatore, tutti i forti che attesero il loro sole e i bimbi dalle mani mozzate e le fanciulle violate; tutto il dolore; il gemito, il sangue gettato dal barbaro ha chiamato disperatamente e noi siamo corsi. «Mamma, ci sono nel mondo altre tue sorelle che piangono come te: e l'egoismo e lo scetticismo ancora non hanno ucciso la maternità. Mamma, e io ti chiedo il tuo sorriso: io ti chiedo la tranquillità, del tuo bene e non la tua rassegnazione: ma che tu mi segua per i monti o nelle trincee e sia presso di me con la voce tua, con la tua carezza, con la tua anima, Con la tua, solidarietà. Chiedo alla tua maternità d'innalzarmi fino alle stelle e di benedirmi. Tuo EDGARDO
Altri frammenti: Non si torna più di qui... il mio sacrificio non è come quello di tutti. Io voglio essere il volontario garibaldino La vita m'é cara, l’amore ancor di più, ma per la libertà li do entrambi.
(poco prima di morire) ,...Parto per l’avanzata. Sono immutato di fede, di coraggio, di entusiasmo. Solo un pensiero: la mamma. Ed un altro l’umanità – la vittoria. Un sogno.
20 novembre 1915 Tutta la mia Romagna è sepolta qui... 'La mia giovinezza con i suoi sogni, con i suoi desideri, con, le sue follie, calerà in questa tomba. Per l’Italia e per l’Umanità. GINO GINNASSO NATO A MILANO IL 19 MAGGIO 1894 ASPIRANTE UFFICIALE DEL 28° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL CALVARIO DEL PODGORA IL 20 NOVEMBRE 1915
CARISSIMI MIEI, Sono per oggi capoposto di un piccolo posto isolato tra i boschi e le montagne. Uno strettissimo e faticosissimo sentiero corre tra i burroni e gli ostacoli artificiali che i nostri soldati hanno costruito a scopo difensivo, e conduce alla lunghissima linea degli avamposti. Un graticcio sospeso nel burrone costituisce il nostro corpo di guardia. Una roccia altissima s'erge sopra la capanna ed ivi sta la vedetta attenta. Per salire fino ad essa il capoposto deve insanguinarsi le mani, perché non c'è sentiero. Sotto la tettoia per 24 ore nove uomini ed io dormiamo, o meglio vegliamo, stretti l'uno all'altro per non sentire il freddo che c'è di giorno e di notte, sbadigliando dal sonno che è forte e dalla fame che è di mille doppi più forte. Giù nella valle, tende, trinceramenti, il lavorio intenso, diuturno del grosso da noi protetto, costruisce le opere dì fortificazione, degli ospedali, delle brigate intere, che noi, appollaiati in questo cocuzzolo, difendiamo. Ed il fiume verde chiaro scorre tranquillo come se la guerra non lo interessasse, mentre noi invece tanto ci interessiamo di lui, che il suo nome corre sulle bocche di tutti; l'artiglieria grossa e picchia tuona incessante (un mese domani!) e dalle impervie cime alpine, biancheggianti di neve, giunge l'esasperante picchettare delle mitragliatrici, il rado, ma continuo fuoco di fucileria. Lassù i nostri alpini si battono indefessamente. Ed il sole, un sole scialbo ed anemico, a fatica fa fumigano i nostri abiti, i nostri mantelli inzuppati d'acqua e dì mota. La guerra è ancora ai ancora ai suoi inizi, siamo ancora, ai combattimenti di avanguardia, eppure cominciano a circolare per tutti gli accampamenti voci che non dovrebbero circolare. Nessuno I’ha letto, nessuno sa, dire da chi l'ha, saputo, eppure tutti sono persuasi che la guerra, dovrà durare poco, anzi che il giorno 26 dovranno Cominciare le trattative di pace. Questa persuasione deleteria, che a lume di logica appare ridicolmente infondata, perché nulla fa credere che vi siano su tutto il vasto teatro europeo tali novità da rendere imminente la pace, chè anzi la guerra mi pare abbia preso un aspetto così lento da poter durare ancora degli anni, questa persuasione speriamo si sradicherà, senza far troppo male, dagli animi dei nostri soldati, e che, se il giorno 26 dovremo dare addosso ai nemici, lo faremo con la stessa forza, se non con forza maggiore, perchè più il tedesco sarà presto fiaccato, più presto verrà il giorno nel quale si potrà parlare di pace. Per ora sono vane illusioni, per ora pensiamo a fare tutto il nostro dovere. Baci infiniti. GINO
FELICE FIGLIOLIA NATO A FOGGIA IL 31 AGOSTO 1885 PUBBLICISTA SERGENTE NEL 131° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO SUL MONTE SAN MICHELE, L'11 NOVEMBRE 1915 DECORATO DI MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
21 luglio 1915
ANGELINA CARISSIMA Ancora nel supremo cimento in, prima linea di fuoco. Nel suo orrido, é bella, fortemente emozionante, la guerra. Tra una fucileria e l'altra, cantiamo la bellissima canzone garibaldina ed il nono notturno di Chopin, che è cosi vibrante di passione che fa fremere, fa piangere. Al mio ritorno, me li farai sentire al pianoforte. Ti tratterrai a Napoli? Fai i bagni? Baciotti con Michelino ed i tuoi demonietti. Saluto D. Concetta. aff.mo fratello FELICE
Giorno dei morti del 1915
MAMMA MIA BUONA E ADORATA, Una tua breve, ma tanto eloquente cartolina, ha prodotto in me una forte, acuta, profonda emozione ed una commozione immensa! Benedico la tua trepidazione, le lacrime che versi per me! Cosa posso fare io per esprimerti tutta la mia gratitudine e fervida riconoscenza? Il pericolo supremo, la lontananza acerba, e fonte d intensificazione di amore tenero e filiale. Come benedico, questa santa e giusta guerra, mediante la quale ho potuto constatare quale grandezza di amore materno giganteggia sovrumanamente nel tuo cuore! Oggi sono triste assai, il mio pensiero corre verso i nostri morti, verso i caduti per la Patria, in questo momento di redenzione eccelsa. Il tempo è rigido e plumbeo, tutto è tristezza infinita, ed io sono di umore nero; tutto influisce per le anime che sentono, che lottano e che sperano! Ti bacio e ti stringo al cuore. L' aff.mo figlio tuo FELICE LUIGI EPIFANI NATO AD OSTUNI. CADUTO IL 1° NOVEMBRE 1915
Ottobre 1915
MAMMA ADORATA, Sono in, linea di fuoco e si aspetta una avanzata. Se non ti scriverò più, il tuo figlio è morto sul campo dell'onore. Coraggio, e scusami e perdonami dei dispiaceri che ti ho recato durante la mia vita. Baci a tutti gli Ostunesi e a te e al mio caro Pietro i più affettuosi baci. Il tuo sempre aff.mo figlio LUIGI ROCCO STASSANO NATO A CAMPAGNA IL 4 MAGGIO 1889 LAUREATO IN GIURISPRUDENZA NELLA R.UNIVERSITA’ DI NAPOLI S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 132° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 27 NOVEMBRE 1915. Dalla trincea – 25 novembre 1915 ore 17
CARO ZIO, La giornata è passata in relativa calma. Duello d'artiglieria molto intenso. Il Prof. Venezian é morto eroicamente il mattino del 20 quasi nelle mie braccia. Era un illustre giurista, professore a Bologna e maggiore nell'esercito. Non poteva tenere comando di battaglione, perchè di riserva, era addetto al comando; ma quando vide il mio plotone che ansiosamente aveva accettato l'urto con una compagnia nemica, si fece avanti, e venne incontro alla morte, alla gloria. Esalò il suo eroico spirito, guardando in direzione della sua Trieste Martire. Rocco
CARO ZIO, Domani al giorno daremo l'assalto. Son pronto a tutto, e il mio animo è più saldo del macigno del Carso. Per farvi ricuperare la roba che ho con me e i soldi che mi spettano (stipendio dal giorno 5 e indennità del giorno 4) vi mando il mio testamento olografo, altrimenti in caso di disgrazia questi soldi andrebbero perduti. Vi abbraccio. Rocco
GIOVANNI CUCCHIARI NATO A FORLI' STUDENTE ALL' ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI RAVENNA SOLDATO DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO A PODGORA IL 24 GIUGNO 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ORO AL V. M.
S. Vito, 9 aprile 1915
MAMMA MIA, Mamma mia, credo che s' avvicini il momento sognato d'andare avanti. Ho desiderio immenso, intenso di rivedervi; baciarvi per un minuto solo ricevere ancora una volta la vostra benedizione prima che il fuoco mi battezzi! Dopo, se morissi morirei contento!... Non piangere, mamma mia, scherzo, sai! non ascoltare le melanconiche pazzie che mi frullano per la mente, ma promettimi dì non stare avvilita mai, ma esser fiera che il tuo Nanni compia con entusiasmo il suo dovere. Viva l'Italia!...
S. Vito, 5 maggio 1915
CARO PAPÀ, Mi chiamano all'improvviso come disegnatore di fortezze all'ufficio fortificazioni di Udine. Tale incarico mi avvilisce moralmente, e ne sono scontento al massimo grado. Difenderò con tutta energia la mia causa, finché, vedrai, mi lasceranno tornare fra le file del mio reggimento. Voglio combattere anch’io l’odiato nemico: devo dalla patria, diletta tutta l’operosità del mio giovane braccio; e quando la vecchiaia mi sorprenderà, allora con orgoglio narrerò ai miei figli e nipoti le vicende gloriose di questa fulgida pagina italiana. A tutti i costi voglio partire pel fronte! Non chiedo perdono a voi che lascio per breve, perché; so quali sentimenti patriottici vi animano: ma chiedo solo il ricordo affettuoso, l’augurio tenero che accompagni sempre e ovunque...
10 giugno 1915
MAMMA MIA, "Fra poco ci sarà un pericoloso attacco. Vi mando prima il mio pensiero tenero, affettuoso. Tutto arrischieremo, anche la vita s'é necessaria per la grandezza d'Italia! Beneditemi... Prima di avanzare, baderò mille volte, come faccio sempre, innanzi al pericolo, i vostri ritratti. Sono un talismano per me; mi parlano di voi lontani che adoro, mi infondono coraggio mi rasserenano il cuore!
13 giugno 1915
ARMANDA MIA CARA, Ti scrivo sopra un tamburo abbandonato che mi serve da tavolo. Tuona il cannone, piove a dirotto, son tutto bagnato... Siamo in una verde collina, nascosti in profonde trincee. Sacrifici non mancano, ma mai il mio morale si fiacca. Solo la nostalgia di voi amatissimi, dell'Italia bella, della mia Forlì talvolta mi assale. Passerà anche questa momentanea debolezza d'animo, come son passate tante altre cose tristi... Tornerò vittorioso, spero e con orgoglio, e con più affetto allora bacerai il tuo Nanni che ti vuole tanto bene. ETTORE ARDUIN NATO A CICCANO (ROMA) IL 25 FEBBRAIO 1894 S. TENENTE EFFETTIVO NEL 4° REGGIMENTO BERSAGLIERI CADUTO COMBATTENDO A S. LUCIA DI TOLMINO IL 26 NOVEMBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA. D'ARGENTO AL V. M. BABBO CARISSIMO,
13 ottobre 1915
Profitto ancora dell'andata a Torino di un altro bersagliere del mio plotone per farvi rapidamente avere mie notizie. Nulla di invariato, sempre in attesa di finalmente impegnarci in un'operazione che sarà certamente brillantissima. Giornalmente si eseguiscono ricognizioni ufficiali per conoscere (a distanza) il terreno, ed io ne rimasi soddisfatto pur dovendo constatare la perfetta e dispendiosa, preparazione nemica. Il 290 Battaglione sarà il primo a cimentarsi, e ti assicuro che le speranze del Sig. Colonnello sono ben riposte. Sarà difficile passare l’Isonzo, ma ti assicuro che riusciremo almeno ad aprire il varco per gli altri due battaglioni e se sarà destino di non riuscire noi nell'impresa, ti assicuro che gli altri battaglioni sapranno vendicarci. Ieri parlai ai mia plotone spiegando l'impresa e vidi un bagliore in quegli occhi belli, sufficiente a togliermi ogni dubbio sul loro conto dato che ne avessi avuto. Assegnai ad ognuno il proprio incarico, lancia bombe, esplora-tori, pattuglie dì combattimento, brillatori di tubi, stato maggiore mio, porta ordini e in tutti vidi il desiderio vivissimo di rimanere con me, di essermi vicini, di distinguersi. Buoni e generosi bersaglieri! che conta la vita per loro quando, possono con il disprezzo di essa, riuscire nell' impresa e, giova notarlo, fare cosa gradita al loro Tenente? Non so se il mio plotone sarà il primo a passare il ponte, ed a cozzare contro il reticolato del nemico, ma se così fosse sono certo che il Battaglione passerebbe, potrebbe rapidamente arrampicarsi sulle scoscese falde del Monte, tutto distruggendo, tutto sorpassando. E riusciremo certamente, dato che da questa azione dipendono la caduta definitiva di Tolmino, Santa Lucia, e del Carso, e noi consci di quello che da n oi si vuole e si attende, non ci risparmieremo. Se la fortuna ci assiste e ci arride tanto meglio, saremo fieri del dovere compiuto, se invece il piombo nemico e le difese accessorie ci sopprimeranno, saremo ugualmente fieri di morire per la patria e moriremo sorridendo, sicuri che i colleghi che ci seguiranno sapranno vincere. So di scrivere a mio Padre, e per giunta a un vecchio soldato e non lo faccio per impressionare ma bensì perchè voglio che tu pure prenda parte a questa festa, alla nostra gioia, e col pensiero, alla nostra operazione. Qui si il 40 ebbe il primo ferito; un bersagliere del 260° Battaglione che stava lavorando sull' Isonzo e preparandoci una via di accesso ai fiume, veniva colpito da una scheggia di granata, peccato, era un abile ed audace lavoratore. Scrivetemi a lungo e ditemi come state e come ve la passate. Mamma lavora sempre? e Maria studia sempre? Vi bacio tutti caramente e colla certezza di farvi presto un bel regalo vi abbraccio affettuosamente. Vostro RINO PASQUALE DEL PRETE NATO A NAPOLI NEL 1890 LAUREATO IN ELETTROTECNICA SOTTOTENENTE DI FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL S. MICHELE IL 25 NOVEMBRE 1915.
10 Novembre 1915
ZIA ADORATA, Fra poche ore parto per il fronte, So che questa notizia ti recherà molto dolore, ma io te la partecipo così senza preamboli, fidando nella fortezza del tuo animo. Verserai delle lacrime, molte lacrime, ma sono lacrime appunto quelle che ai miei occhi rendono più doverosa e più bella la partenza. Sono le tue lacrime che mi accendono di un entusiasmo sacro ed inestinguibile, sono le tue lacrime che mi impongono di fare il mio dovere. Fra poche ore il treno mi porterà verso l'ignoto, mi porterà là dove lo straniero distrugge, devasta, incendia le nostre belle contrade ed io finalmente, dopo tanti mesi di inoperosa attesa, divento la molecola dell'immensa forza che lo ricaccia oltre i confini. Piangi, ma pensa quante e quante madri ha fatto piangere il nostro nemico per più di mezzo secolo. Piangi, ma pensa come è stato più triste il pianto delle madri di coloro che l’Austria ha imprigionati, ha torturati, ha fucilati, ha impiccati! Pensa a, questo e ti convincerai che solo in questo momento fatale io incomincio ad essere cittadino e soldato, che solo ora la mia vita acquista un valore, in quanto io soffro alla mia Patria. L'offro sorridente e beato e l'unico cruccio mio è il dolore che tu ne risenti. Ma non temere per me. Io farò il mio dovere senza temerità e senza imprudenza. Ho avuti affidati cento soldati del mio stesso Reggimento, tutti richiamati e padri di numerosa famiglia. Io non mi esporrò e non li esporrò ad inutili pericoli, ma quando lo reputerò necessario faremo il nostro dovere fino all'ultimo. Ora, zia, ti lascio, mi inginocchio dinanzi a Te, prendo le tuo sante mani e me le pongo sul capo. Benedicimi. Benedicimi con l'affetto d'una madre nei nome santo dell'Italia. Benedicimi nei nome di mio padre, cui non è dato vedere la Guerra di Redenzione. Benedicimi ed invoca sul mio capo la benedizione e l'assistenza degli spiriti eletti che nel nome santo d’Italia sono morti. Benedicimi e sii sicura che in ogni caso tu potrai sempre andare orgogliosa di chi ti venera e ti adora, come una mamma. Ti scriverò l'indirizzo mio non appena l'avrò saputo. Ti raccomando di scrivere fedelmente e ben chiaro indirizzo! Abbracciami tutti i cari parenti, salutami tutti i cari amici. Ti stringo forte forte al mio petto o ti bacio tanto tanto tanto...PASQUALINO ARNALDO CORNELIO NATO A ROMA STUDENTE DI LEGGE NELLA R. UNIVERSITA’ DI ROMA S. TEN. DI COMPL. 1° GRANATIERI DI SARDEGNA CADUTO COBATTENDO DINNANZI GORIZIA IL 18 NOVEMBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. GENITORI ADORATI,
1 luglio 1915
Riprendo oggi la lettera interrotta ieri sera. Mi sembra che debbano essere le dieci o le undici o non sono che le cinque. Ho passato tutta la notte a guardare i nuvoloni vagar gravemente pel cielo piovoso stanno dietro una trincea di sacchi a terra irta dì baionette pronte a slanciarsi avanti ove il nemico avesse avuto la menoma velleità.... E' bello, di una bellezza tutta particolare, esser solo, innanzi a tutti, coi propri soldati pronti, aguzzano lo sguardo nella notte buia, tendendo l'orecchio ai fruscio, sentirsi il primo baluardo, sottile, ma vigile dietro cui riposano migliaia di uomini! Ogni tanto nel cielo vagavano i fasci di luce con cui essi frugano inqueti la notte: ogni tanto si alzavano i palloncini luminosi con, la loro argentea scintilla, e poi buio e silenzio. Nottata calma, anche la pioggia che da giorni ci perseguita ci ha lasciato questa notte in pace. E fu ventura perchè ieri sera nell’andare, a riconoscere il posto assegnatomi, una specie di cucuzzolo brullo, avevo veduto che purtroppo non v'era il minimo riparo. Ora veglierò fino allo sette, poi. Vacchini mi darà il cambio. Mentre scrivo tuona lontano il cannone. Chissà hanno chiamato le vedette perché si vedono gli austriaci. Ho guardato nella direzione indicatami sulla collina di fronte: nulla scorgevo. Inforco il binocolo e ne vedo una dozzina, grigi fra gli alberi, grigi che scavano la terra: seppelliscono morti o pongono mine. Mistero! E' più facile sia la seconda versione. Lo sapremo quando saremo lassù. Questa sera riposerò in un, letto finisce il turno d'avamposti. Dormire una notte comodamente in fondo non mi disgusta... Lascio per scrivere al nostro Granatiere. Vi copro di baci. ARNALDO
3 novembre 1915
GENITORI MIEI CARISSIMI, Venne a un certo momento l'ordine di andare all'attacco di un fortino. Avanzammo risolutamente ancora salendo fra le piante e fra le rocce. Il terreno era già cosparso di morti caduti, in precedenti attacchi e non potuti riprendere e non vi dico l'orrore di quei cadaveri contratti in atteggiamenti disperati, alcuni di più antica data, già sfigurati nei volto e gonfi sotto i panni. Quelle pietre militari del faticoso cammino ammonivano come la morte attendesse in agguato ad ogni passo. Ed andavamo egualmente, cercando la copertura nel terreno, in un masso di roccia, in un tronco d'albero, mentre intorno vedevo, cadere nuove vittime ed aumentare il numero dei morti senza sepoltura. Ho ancora negli occhi la visione di un plotone che doveva attraversare una radura. Era quel tratto di terra martellato di proiettili ad ogni pallottola sprizzava dall'erba come uno zampillo dì terriccio grigio e fumante: guardando si aveva l'impressione dell'acqua sferzata da una pioggia, dirotta. Quelli che passavano erano falciati tutti. Correvano con lo slancio della disperazione cercando di superare il tratto di terreno sfuggendo ai colpi e Si gettavano contro un muretto a sostare a trovar anche piccolo, un riparo. Ma no! le pietre schizzavano faville con scoppettio sinistro… anche quelli che non cadevano nella traversata trovavano la morte inchiodata contro la maceretta. Quella, vista durò qualche istante, ma non la dimenticherò più. Fu dato l'assalto al fortino. E capitano Duca, colpito al Cuore, cade. Una granata a mano scagliata da dietro ai reticolati prende in pieno viso Franza, che rotola in un crepaccio di roccia. Un'altra granata uccide Bertucci, una fucilata ferisce Lorenzini, due ufficiali della mia compagnia. Oltre a questi, quanti altri! Ma a che continuare il doloroso elenco? Io era calmo, della calma atona che si prova quando si vive fra la morte. Vedendo da lassù per la prima volta Gorizia, placidamente bianca nella vallata verdeggiante ebbi la forza di dire ai granatieri guardate Gorizia come avrei detto «guarda che bel tramonto» dalla terrazza del nostro villino. Ad un certo momento, alla mia destra non ho più la compagnia. Mi muovo per ricercarla seguito da, due portaordini e dall'attendente. Uno scroscio di fucilate ci accoglie, due vampe calde mi sfiorano il viso con rabbioso schianto. Un grido: Lotti, il mio attendente, mi cade ai piedi. Freddato da una palla in fronte, resta supino sui sassi col viso rosso di sangue. Dopo il primo istante di orrore facciamo per avvicinarci per riprenderlo, ma una seconda scarica accoglie il nostro tentativo. ARNALDO FRANCESCO SALADINI NATO IN ARQUATA (ASCOLI PICENO) CAPITANO DI COMPLEMENTO DEL 1° REGGIMENTO BERSAGLIERI CADUTO COMBATTENDO SUL CARSO IL 2 NOVEMBRE 1915 DECORATO DI MEDAGLIA AL V. M. Ferito gravemente prima di morire scrive:
Non credo; non vedo oltre la terra e neppur l'agonia mi farà mentire. Se Dio esiste e riserva un premio a chi vive e muore con onestà, questo premio io l'avrò; ma non per speranza di un premio io ho fatto il mio dovere, sempre dovunque... PIETRO BERNOTTI CAPITANO DI COMPLEMENTO NELL' ARMA DI FANTERIA CADUTO IL 22 OTTOBRE 1915, DOPO AVER CONQUISTATO LA SELLA DI SAN MARTINO PRESSO IL MONTE DI S MICHELE DEL CARSO DECORATO DI MEDAGLIA D'ORO AL V. M.
Alla sorella — Alla vigilia della morte. SIAMO in attesa di attaccare: o morti o vincitori domani! Addio, sta sana, ti penso e ricordo quale che sia l'ora. In alto i cuori e speriamo vittoria. GIOVANNI CASTALDI NATO A S. REMO L' 8 DICEMBRE 1894 STUDENTE IN GIURISPRUDENZA NELL' UNIVERSITÀ DI GENOVA S. TENENTE DI COMPLEMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SU MERZLI (TOLMINO) IL 22 OTTOBRE 1915
17 ottobre 1915 Se gli eventi vorranno ch'io per l’Italia muoia, senza rimpianto io sarò giunto all'estremo sacrificio. Sempre amai la patria mia come madre alma e diletta; per ossa è dovere far rinuncia alla propria esistenza. Quel Dio che Italiano mi fece nascere non vorrà disconoscere, nell'imperfezione dell'uman vivere, la necessità dell'olocausto. Nell'onnipotenza, nell' infinito sapere ed amore divino io sempre con animo sincero confidai Nella trascorsa gioventù, con lungo lottare, incontaminata mantenni la mia purezza: a Voi, o mio Dio, io offro il perdono ultimo o purificatore; la luce dei Cieli rischiari l'eterno ed ultraterreno mio cammino. GIOVANNI CASTALDI ALBERTO VERDINOIS STUDENTE DEL R. LICEO TORQUATO TASSO S. TENENTE DELL’82° FANTERIA CADUTO COMBATTENDO IL 28 OTTOBRE 1915 DECORATO DI MEDAGLIA D'ORO AL V. M
La fede nella vittoria finale delle nostre armi é grandissima nei soldati e negli ufficiali, perchè siamo certi di essere ben guidati e bene organizzati; siamo certi di essere forti. Ma è anche certo che le vittorie non si acquistano se non a caro prezzo. Conosco il mio temperamento facile ad esaltarsi, ad entusiasmarsi. Chi sa che non sia io una vittima, fra le tante che ne farà, la guerra? E se così fosse, perchè rattristarsi? Perché disperarsi? Ah, no, cara madre! Se ti accadrà di leggere fra le colonne di un giornale o fra le liste funebri, che tuo figlio Alberto è morto combattendo, no, non piangere; pensa che era quello il suo dovere di cittadino e di soldato; pensa che quella è la morte degna di ogni italiano; pensa che tuo figlio è felice perché, in un sublime momento di attaccamento al dovere ed alla patria, ha, saputo suggellare con la morte sul campo di battaglia la sua giovine vita. PIETRO BOERI CASCINO NATO A PIAZZA ARMERINA IL 16 SETTEMBRE 1894 STUDENTE UNIVERSITARIO S. TENENTE DI COMPLEMENTO NEI BERSAGLIERI CADUTO COMBATTENDO IL 2 NOVEMBRE 1915
Da, una lettera allo zio 31 ottobre 1915 E che dire dei Lamarmorini? Sono uomini molto consci del loro dovere, sono seri, prudenti, ubbidientissimi, lavorano sempre: hanno già belle barbette e nei momenti di riposo lustrano il, fucile e discutono. Ognuno vuol raccontarmi la sua storia, il suo episodio; e come vi si immedesimano!... Io mi faccio raccontare tutto, li lodo, mi seggo con loro nelle tane, domando una cosa, ne chiedo un'altra. Sono un po' da tutte le parti: accanto alla mia buca sono due di Caltanisetta: stamane uno di essi diceva: so potessi diventare oceddu (uccello) farei una volata pel mio paese e poi tornare qui, oppure farei la strada tutta di corsa fino a casa, mia!... Abbracci. PIETRINO CARLO BOREA-REGOLI NATO A LUGO IL 23 SETTEMBRE 1893 STUDENTE IN INGEGNERIA NELL’UNIVERSITA’ DI BOLOGNA S. TENENTE DI COMPLEMENTO DEL 37° REGGIMENTO ARTIGLIERIA DA MONTAGNA CADUTO COMBATTENDO L' 11 NOVEMBRE 1915 A MONTE S. MICHELE DECORATO DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V. M.
Zona di guerra, 4 agosto 1915
CARA MAMMA, Ti voglio raccontare quello che mi è successo ieri: Io mi trovavo dunque, nella mia trincea, quando è incominciato a piovere; uno di quegli acquazzoni come solo vengono qui, e me la godevo a trovarmi là, sottoterra al riparo delle intemperie, quando quasi per punirmi di questa mia soddisfazione: tac! una goccia più grossa di un punto ammirativo cade dal «plafond» proprio in mezzo alla mia testa. Alzo gli occhi adirato e vedo appunto che da una fessura del mal connesso legno filtrava acqua. Appoggio allora un dito alla fessura e facendolo scorrere lungo la pendenza della tavola, mi tiro dietro l’acqua che filtrava, venendo così a formare una specie di ruscelletto capovolto che portava l’acqua all’orlo della trincea, in modo da non avere più nulla da temere. Aveva appena ultimata questa piccola operazione idraulica che da tutte lo altre connessure e forellini comincia a gocciare abbondantemente, ed io dovevo godermi quella doccia inattesa ed abbastanza abbondante. Mi avresti dovuto vedere allora volgermi a destra e a sinistra per correre dietro ad ogni goccia e portarla a buon porto! E come fa il cane quando è assalito da uno sciame di mosche, che ora volge a destra, ora a, sinistra il capo facendo scattare le mascelle, così facevo io dietro quelle goccio pazzerelle, finchè non credetti di averle tutto ridotte all'impotenza di nuocermi. Soddisfatto mi caccio a sedere nella mia poltrona, ma.... rimbalzo in piedi come mia molla. Cosa era successo? Un rigagnoletto silenzioso ed impertinente, aveva lasciato cadere, inosservato, l'acqua al centro della poltrona, cosìcchè sedendomi, ebbi la sgradita sorpresa di un inatteso semicupio, mentre dall'alto seguitava a farmi una lavata di capo. Quando finalmente tutto era effettivamente a posto l’acquazzone smise e così anche la doccia. Non ho potuto così nemmeno godere il frutto dì tante fatiche. Io scrivo tutti i giorni e spero che tutte le mie lettere vi giungano. Cara mammona, io ti mando tanti bacioni ed abbracci; altrettanti al papà ed ai fratelli Zona di guerra, 15 agosto 1915
CARO PAPÀ, Dunque, come ti ho scritto, sono di nuovo in trincea! Fu cinque o sei giorni fa che questa batteria ebbe fuori servizio tutti tre i suoi ufficiali. Uno era stato ferito, l'altro ammalato di nevrastenia, il terzo all'ospedale per dolori reumatici. Così fu estratto a sorte chi del nostro gruppo sarebbe andato ed è toccato a me. La postazione di questa batteria è vicino a dove ero prima e in questi ultimi giorni era stata battuta in modo orribile; in una sola giornata sono venuti ventidue 305 causando il ferimento di un tenente e di un soldato. Così io la mattina arrivai al gruppo dove trovai l’altro tenente che mi descrisse quei giorni tremendi. Andai poi a prendere il sottocomando della batteria. I soldati erano molto demoralizzati. Un sol uomo però era uscito ad animarli un po'. E' questi il sign. Blum come tutti lo chiamano: volontario di guerra alla verde età di 61 anni. Io non potrò mai finire di ammirare questo canuto soldato pieno di coraggio e sprezzante della morte e che ha saputo infondere animo a tutti. Figurati che i soldati sapevano che ogni volta che sparavano, un fuoco d'inferno sarebbe venuto a trovarli. Puoi immaginare come i soldati accolsero l'ordine di sparare che io diedi loro la mattina che venni. Ma Blum appena sentito che si sparava è corso al pezzo indicato e lui stesso, in piedi, faceva sparare il cannone: ciò animò moltissimo i soldati. La risposta venne ma, era un po' a sinistra di 50 metri con quattro 305. Così lui era sempre fra i soldati e ora raccontando barzellette, ora facendo dei discorsi patriottici, teneva sempre alto il loro spirito combattivo e di sacrificio. Zona, di guerra, 29 agosto 1915
Cara mamma Dunque sei stata sul monticino ed io non c’ero! Erano bei tempi quelli la quando c’ero. Ora invece dò il mio braccio alla Patria affinchè essa non scivoli nella faticosa scalata alla gloria. Un po' per uno, é vero? Tanti bacioni dal tuo. Carlo
BALDUCCI ALBERTO NATO A FIRENZE IL 16 LUGLIO 1894 STUDENTE DEL R. LICEO MICHELANELO DI FIRENZE S. TENENTE DI COMPLEMENTO DELL' 82° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL COL DI LANA IL 10 NOVEMBRE 1915
30 Ottobre 1915
MIO CARO BABBO, MIA CARA MAMMA, Sono quasi le undici di sera e sono solo con me stesso, con i miei pensieri, Con voi. E se mai ho fatto appello alla vostra serenità, al vostro affetto così grandi per me, ora lo faccio con tutte le forze della mente e del cuore. Ho aspettato la mia ora con ansia, con trepidazione, con desiderio, con timore di un non so che di vago, d'ignoto, ma con tanto entusiasmo anche se bagnato dalle lagrime che mi da il pensiero di voi, delle persone a cui voglio bene. lo ero solo e avrei dovuto essere la vostra consolazione, il vostro sostegno, il vostro conforto: credo di non esserlo mai stato. Non ho rimorsi di cattiveria, ma rimpiango di non avere avuto un carattere più calmo e più obbediente. Vi ho disobbedito spesso, forse vi ho disobbedito sempre, ma sempre Con la certezza anche se sbagliata del mio bene. E vi ho dato dei dispiaceri in questi ultimi anni, del dispiaceri non di cattiveria certo e che non hanno altra ragione forse Che la diversità, dei nostri caratteri: pure mi pento, o vi chiedo ora perdono sicuro che il vostro affetto non saprà, negarmelo. Ho mancato in altro? Non so, non ricordo ma può certo darsi anche di questo io chiedo a voi e a tutti perdono. Dio mi è testimonio che mai la cattiveria: m’ha spinto a qualcosa. Voi non avevate, non avete che me ecco io ora sono la particella di un ideale che vive sempre, ma che chiede anche il sacrificio: è la mia volta: nelle mani di Dio la risposta a voi non altro che delle preghiere l'espressione dei miei desideri. Domani l'altro mattina io partirò pel fronte: andrò all'810 o all’820, é già un privilegio sapere dove andrò: i reggimenti sono nella zona del Col di Lana non so precisamente dove. Non mi manca niente. Non altro. State tranquilli che io parto con salute ottima e animo sereno. E penserò sempre ogni giorno a voi. Tu specialmente, mamma, se mi vuoi quel bene che dici, devi essere sempre forte, calma per me, per il babbo, e vedrai che il Signore non mi abbandonerà mai parto contento perché son certo che voi pure sarete contenti e sereni. C' è qualcuno che guida il nostro destino. Ne altro ho da aggiungere. Di nuovo una esortazione alla serenità, un desiderio che mi scriviate ogni giorno: voi e gli altri. Pensate a me se ancora vi avrò dato dispiacere perdonatemelo e pregate Dio per me: a te babbo, a te mamma, la custodia dei miei affetti, della mia memoria. Dio mi farà ritornare per la vostra felicità, ma tutto che sia, dato da Lui accettatelo contenti ora è l'ora dell'Italia e io son contento di dar ogni forza, ogni pensiero per Lei..... Non ho altro da desiderare, altro da chiedere io vi ringrazio di tutto quello che avete fatto per me: non dubitate mai che io ne sono memore e grato. State dunque tranquilli: tu mamma se ti domandano di me sii fiera e non afflitta che io sono in trincea; tu babbo sii contento che anch'io dia il mio contributo per quell'ideale che hai tu pure tante volte difeso. Appena a posto vi riscrivo non state in pensiero perché sapete che la posta ai fronte funziona orribilmente. Dite a tutti che mi scrivano, mi scrivano. E voi pure ogni giorno, anche se non avete posta da me. Vi bacio stretti con affetto imperituro e con fiducia. P. S. Mi raccomando di non darmi il dolore di sapervi afflitti per me. BERTACCHI MARIO NATO A CIVITELLA DI ROMAGNA (FORLI') LAUREATO IN GIURISPRUDENZA S. TENENTE DEL 4° REGGIMENTO ALPINI BATTAGLIONE IVREA CADUTO COMBATENDO IL 25 NOVEMBRE 1915 PROPOSTO PER LA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M. 24 Novembre 1915
Sono arrivato quassù nuovo e mi son, sentito già vecchio. Dio mi aiuti sempre così e sia fatta la sua volontà. Io sono calmo, calmo; il cuore mio non ha avuto un, sussulto, nemmeno la notte, quando bisogna vegliare attenti e le mitragliatrici ci battono la trincea continuamente. Essi hanno paura e sprecano tanti colpi inutilmente. Noi no, invece; che abbiamo la forza e la volontà di vincere.
Senza data.... Cadrò morto, non prigioniero, sarò prudente, non vile. Nessuno degli uomini che mi saranno affidati sarà esposto inutilmente, ma se bisogno vi sarà di dar la vita, io la darò per il primo », EMILIO VITTA ZELMAN NATO A BIELLA IL 26 AGOSTO 1892 DOTTORE IN GIURISPRUDENZA S. TEN. DI COMPLEMENTO NEL 19° REGGIMENTO FANTERIA CADUTO COMBATTENDO SUL SAN MICHELE IL 29 NOVEMBRE 1915
(Per l'azione in, cui cadde, non essendo stato possibile assegnare individualmente ricompensa al valore, fu assegnata la medaglia d'oro alla bandiera del Reggimento). Mio padre sa essere mia ferma opinione che la mia vita appartiene sì prima a lui che a me, ma, prima ancora che a luì, al nostro paese. Se io morrò in guerra, non avrò fatto che il mio dovere d'italiano e di soldato, e non merito perciò nè lodi, nè postumi onori. Ciò m'insegna la mia dottrina nazionalista, che io credo in politica assolutamente vera. Sulla mia tomba sia scritto solamente questo Emilio Vitta Zelman — Studente in Giurisprudenza, — Soldato nel 60 Reggimento Artiglieria da Fortezza — nato a Biella il 26 agosto 1892 morto in guerra il… ALBERTO CARONCINI NATO NELL' ANNO 1893 CADUTO SUL PODGORA NEL NOVEMBRE 1915 Dal suo testamento: Credo nella Patria, e muoio per ricordare che alla Patria la vita del cittadino è dovuta — senza ragione, senza speranza, per il compimento di un rito civico immortale, per l'edificazione degli italiani che saranno. Questo, e non altro. DOMENICO AGOSTINUCCI NATO A GUBBIO IL 29 OTTOBRE 1893 RAGIONIERE S. TENENTE DEL 54° BATTAGLIONE BERSAGLIERI MORTO IL 13 DICEMBRE 1915 DECORATO DELLA MEDAGLIA D' ARGENTO AL V. M.
Posta militare, 22 giugno 1915
CARO ULISSE Come è bella la vita! quante nuove emozioni!...quante indescrivibili soddisfazioni ! Col pensiero e col cuore rivolto a voi tutti a me cari e col petto verso il nemico, io marcio sorridente e sereno sulla via del dovere. Baci. MENCO.
28 luglio 1915
Dalla trincea, al fratello Io tornerò, sì, sento che tornerò vittorioso tra voi tutti perchè le preghiere della mamma mia mi seguono ovunque: i vostri pensieri, i vostri cuori mi sono vicino ed anche io, nelle lunghe interminabili notti insonni corro a voi e rigusto, rivivo, sulle ali della mia fantasia, la pace e la gioia domestica. Credimi, o mio fratello adorato: la più bella, la più santa concezione, della famiglia si ha qui nel pericolo, nelle tenebre notturne rotte dal tuonare dei cannone, dal crepitare della fucileria, dal gemere dei feriti: è qui che si invidia la santità del focolare domestico, è qui che si desidera quell'angelo consolatore che è la mamma, quel grande confortatore dello spirito che è il babbo, quei teneri confidenti che sono i fratelli e le sorelle e qui, in quei momenti in cui uno è sospeso tra la vita e la morte al tuonar della mitraglia, che uno diventa buono diventa uomo l’animo, il cuore si purgano di ogni cattivo pensiero.. vengono i rimpianti i pentimenti i proponimenti. Credimi o mio caro Ulissetto mai prima, d'oggi, la vita mia era apparsa così bella, mai la sua essenza tanto utile!
Dal fronte X settembre 1915 Dopo una vita logorante di trincea siamo nuovamente a riposo! Fino a quando? Chissà? Tanto per riposarci qualche giorno, lavarci pulirci, e poi nuovamente là dove il dovere ci chiama. Credimi, o fratello caro, dopo un po' di tempo ci si affeziona alla trincea, piena di bei ricordi di profonde emozioni: quel buco, scavato nella roccia, divenne la cameretta che conosce le gioie e le trepidazioni, quel po' di foraggio da letto conosce i nostri sogni... quante volte udii il nome dei nostri cari lontani!... E nei momenti di riposo si lavora con lena instancabilmente per rendere più bello, più comodo il nostro ricovero, si gira per razziare nelle cose abbandonate l’oggettino che servirà a trasformarlo in un salottino! ci contendiamo la poltroncina, la statuina, il tavolinetto e qualche volta... te lo dico piano fotografia, di, Francesco Giuseppe! Ma poi... viene il cambio, si parte, e Si deve tutto abbandonare: addio frutto di tante fatiche. Se non piove, se il tempo è bello tutto va, bene, la pioggia è terribile, penetra da ogni parte nella trincea, non c'è riparo... ci bagna, ci inzuppa, dalla testa ai piedi e si trema dal freddo; senza poterci asciugare. Sono stato sei giorni bagnato fino alle ossa, tremando freddo, agognante un raggio di sole che potesse asciugarmi un po'. Ma, non importa, che cosa, il sacrificio in confronto della infinita, della sovrumana soddisfazione che dovrà, come aureola di gloria, coronare di grande successo la fine di questa santa guerra di redenzione? qui si impara ad apprezzare il pericolo, si scherza con la morte, che miete giornalmente tanti giovani esistenze, s' impara ad odiare il nemico che ci teme e si sente la grande, la profonda, nostalgia della Patria, della famiglia lontana! Quante lunghe, interminabili lotte trascorse sognando il Paese... la famiglia;... dalla riva dell'Isonzo gorgogliante e gonfio dalla pioggia, dalle belle acque rispecchianti la, pallida luna mentre tuona il cannone e strepita la fucileria!
LUCIANO COEN S. TEN. DI COMPLEMENTO NELL' ARMA DI FANTERIA MORTO IL 30 DICEMBRE 1915
10 Novembre i 91 5
Ad un amico — Romano Orsi ROMANO, Scrivo due idee, pensando che tra poche ore andrò in prima linea dove non è difficile morire. Falle leggere ai miei, e tu o loro conservatele: le ultime cose scritte da una persona hanno sempre qualche cosa d'interessante non è vero? E poi, in queste ho voluto riassumere molti pensieri che mi passano per la mente. Non ho paura. Un bacio. LUCIANO Sic volere fata — sic itur ad astra prope et procul nunc et semper usque dum vivam et ultra Non mi dispiace di morire. Non credo che sopravviverò come Coscienza, perciò nel morire cesserò di pensare, Non avrò più la idea delle cose, e non le giudicherò, ma sopravviverò senza saperlo. Resterà il sogno della mia vita nelle cose che ho toccate, e la mia immagine nell'anima di quelli che mi hanno conosciuto. Ho il rammarico di terminar così presto, che ancora sia troppo lieve la mia traccia, sì che forse non possa suscitar delle azioni buone e utili da parte di altri. Se avessi vissuto ancora, avrei saputo scolpirla più profonda e sicura, in modo che fosse feconda. Pure mi basta che quelli a Cui voglio bene e che me ne vollero, sappiano che se non compii azioni notevoli (forse neppur mediocri) fu perché sempre ad ogni istante combattei me stesso, per giungere ad esser tale da compierne migliori. Questo è il vero, e tu, Romano, Io sai perchè anche tu travagliasti nella medesima lotta. Anche Piero lo sa. Sono contento di non aver mai dubitato, e sempre aver avuto fede che potesse raggiungersi il meglio. Mi piace un tipo di uomo che sia uomo veramente, nel suo secolo; non c'è che un modo solo di essere uomo. Che senta le bellezze delle cose passate, anche più lontane, ma viva nella sua vita presente, rivolto alla futura. Comprendo che lo studio profondo e ardito delle cose e degli atti ha valore non solo perché ad ogni istante gli dà nuove abilità e rende più vasto il suo spirito, ma perchè lo avvicina all'universo e gli fa meglio comprendere che cosa egli stesso sia in mezzo agli altri uomini, e in mezzo all’infinito, e nelle azioni non abbia come fine ultimo la cosa, ma l'atto: si che l'uomo ne risulti più perfetto.