Vi arrivo da Sofia dopo un viaggio lungo, lento, di tre giorni, a traverso la Bulgaria, la Tracia, la Macedonia, per Filippopoli, Adrianopoli, Kululi Burgas, poichè la linea del Vardar è stata distrutta dalla guerra. Viaggio senza gioia. Pianure immense incolte. Paludi, acquitrini, boscaglia bassa. L'occhio si stanca, lo spirito si deprime allo spettacolo dell'abbandono di tanta fonte di ricchezza. Rari vigneti, rare colture. Pastori sperduti nella solitudine. …..Binari divelti e contorti, vagoni bruciati che protendono i loro scheletri di ferro come ad uniformarsi ad un ambiente di morte; ponti distrutti, boschi sacrificati alle necessità della guerra, fili telegrafici spezzati. Nelle piccole stazioni incendiate, ufficiali francesi controllano la ferrovia. Dopo la bianca Xantie, ricca di minareti e di tabacco, è la linea d'armistizio interdetta ai greci. In capo a un ponte, una sentinella bulgara guarda sprezzante la sentinella greca che dall'altro lato mi pare a disagio. (omissis). Nella notte le sentinelle al confine sono venute alle mani: i bulgari hanno picchiato sodo.... Una ispezione minuziosa al convoglio, e il treno lento, che si riposa a lungo in tutte le stazioni, ripiglia la via come affaticato dal suo peso: i viaggiatori si pigiano negli scompartimenti e nei corridoi, sono aggrappati ai predellini, sono accoccolati sopra le vetture.(omissis). Gare militaire. Il treno depone il suo carico inglese. Guardiamo intorno i binari ingombri di tut-to il materiale rotabile tolto ai bulgari. Gare orientale. Siamo giunti. Una folla di soldati si riversa sul breve piazzale. Italiani, francesi. Gente che va in licenza, gente che va in congedo. Chiassona, rumorosa, carica di fagotti, si spinge all'uscita tra una moltitudine di turchi e di greci, fra un ingombro di bagagli e di balle enormi. Un signore piglia posto in una automobile francese. Ufficiali francesi l'ossequiano, pigliano in consegna il bagaglio, Io caricano sulle spalle di sudici albanesi, e danno un indirizzo…. Un artefice dell'intrigo. Mancavo da Salonicco da circa tre anni. Dallo sbarco. Non ebbi allora una bella impressione della città. L'anima si oppresse subito di nostalgia per l'Italia lontana. Oggi ritrovo la perla dell'Egeo in un ammasso di rovine. Non una casa si è salvata dall'incendio del 1917. Tutto è distrutto! Cumuli di mattoni, di pietre, di rottami; un contorcimento di travi metalliche, di spranghe e di inferriate; serrande divelte accartocciate, sventrate; muri disfatti, case sgretolate, pilastri che s'ergono nella rovina a contemplare il danno immenso; comignoli e minareti stroncati; colonne infrante; volte dirupate; balconi e finestre spalancate come occhi presi di terrore allo spettacolo fantastico; facciate bianche annerite di fumo, come listate di lutto. Dopo due anni nulla è rifatto! Fra le calcine di via Franca ancora giace una cassaforte spaccata. La Fiat fila rapida nel polverone e nella immondizia, balza sulle buche ed i fossi. La città è rovinata ma la folla si pigia sempre nelle strade infocate dal sole. Anche questa volta la meta è Zeitemlik…(omissis).. A Salonicco si sono andati mano mano impiantando dei grandi ospedali militari di parecchie migliaia di letti. Dei veri villaggi di legno laccato, ultima tappa dei malarici della Cerna e dei feriti di quota 1050. L'ammalato ed il ferito vi si allogava dopo il lungo, estenuante viaggio, con un senso di benessere, per il conforto che trovava alle sue pene, per il riposo doloroso, ma comodo, che finalmente il buon Dio gli concedeva. …… Nei primi tempi la nave ospedale Palasciano trasportava i poveri martiri in Italia. Dopo, anche i martiri dovettero sottostare alle necessità orientali della guerra e rinunziare all'Italia e alla convalescenza ristoratrice nel conforto della famiglia. I francesi che non venivano rimpatriati, andavano a passare il loro periodo di convalescenza a Corfù o nelle isole dell'Egeo; gli inglesi andavano in Egitto. Gli italiani, al pari dei mori degli eserciti coloniali, avevano Zeitemlik. Zeitemlik aveva il potere di attaccare il fante all'ospedale. E le autorità mediche, per evitare l'affollamento, e per attenuare quest'amore, ricorsero al metodo della cura della fame, come il fante la definì. Zeitemlik, sui primi del 1917 divenne un villaggio di baracconi e di tende, in breve popolato da parecchie migliaia di uomini: i «recuperati» dagli ospedali che avevano un certo periodo di convalescenza. Le superiori autorità divisionali dettero un nome al villaggio, un nome che fa pensare a mille forme di assistenza amorosa: « Convalescenziario di Zeitemlik ». Il fante, però, che, fra le mille forme di assistenza amorosa sentiva nascere prepotente la nostalgia della trincea, lo battezzò più propriamente col nome di penitenziario di Zeitemlik, perché ivi, per quanto in convalescenza, non ristorava certo le sue forze nel riposo. Occorrevano quotidianamente corvé per i forni Veiss, per gli ospedali, per i diversi magazzini militari (vestiario, artiglieria, genio, sussistenza...), per caricare e scaricare i piroscafi, per i lavori più diversi, dalla pulizia delle latrine alle costruzioni di strade e di baraccamenti. Occorrevano uomini per le pattuglie a Salonicco, e per le guardie a tutti gli uffici e magazzini militari nonché agli accampamenti di Zeitemlik stesso. Centinaia e centinaia di uomini ogni giorno. E i convalescenti andavano su e giù da Zeitemlik e Salonicco, e da Salonicco a Zeitemlik, senza posa, come perseguitati da una maledizione. Gli ufficiali, i sottufficiali e graduati addetti al campo, esplicavano uno zelo esagerato a tutela del loro imboscamento. Quello zelo li faceva ritenere indispensabili. E la disciplina acquistava così tutti i rigori dello zelo, e tutte le arroganze che derivano dalla lontananza dalla trincea. Le punizioni fioccavano. Ciò non escludeva, che le camorre non fossero perpetrate su larga scala. Chiunque sapeva fare qualche cosa — l'operaio — trovava modo di esimersi dalle corvé e dalle guardie. I muratori, i falegnami, gli incisori di bossoli, i lavoratori di schegge, i sarti, i calzolai, i cuochi, i dolceri... se avevano la ventura di passare per Zeitemlik, facevano la loro fortuna. Essi, anche finita la convalescenza, non ritornavano al fronte; per essi la disciplina non esisteva; trovavano mille modi di far quattrini a danno naturalmente dell'amministrazione militare, e così potevano pure divertirsi a Salonicco. Ma la gran maggioranza, il povero contadino che non sa usare che la zappa, era in moto perpetuo dalla mattina alla sera. Se brontolava, era punito; se si riscaldava, partiva senz'altro per la fronte anche se la convalescenza non era finita. In tali condizioni il fronte era un vero sollievo pel fante. Pur di non stare a Zeitemlik, ov'egli non aveva il suo zaino lasciato al corpo, per cui non poteva cambiarsi finendo così con l'impidocchiarsi; ove la sua tenuta si sbrandellava nei lavori faticosi, senza che alcuno si curasse di rinnovargliela; ove non poteva mai mangiare ad orario il suo pessimo rancio; ove non riceveva posta, perchè questa, nei lunghi giri dal corpo agli ospedali, da questi al convalescenziario, finiva col perdersi; ove le sue condizioni fisiche, che avevano bisogno di riposo, finivano col peggiorare nello strapazzo continuo; pur di non stare a Zeitemlik, dicevo, il fante preferiva la trincea.(omissis). Finita la guerra, il villaggio di Zeitemlik ha cangiato nome: è divenuto « Centro raccolta dei licenziandi e congedandi del Corpo di spedizione italiano in oriente ». Un nome lungo e pomposo che però non muta i sistemi vecchi. Il fante continua a chiamarlo il penitenziario. Licenziandi e congedandi vi arrivano dalle parti più lontane della Balcania: dalla Romenia, dal Danubio, da Sofia, da Adrianopoli, dal Mar Nero, da Costantinopoli... All'arrivo son tutti a nuovo, o quasi, con la tenuta arrangiata, con l'ingenuo desiderio di fare finalmente un po' di mafia a casa, dopo una attesa così lunga, dopo le infinite sofferenze della guerra, e dopo essere sopravvissuti alla guerra. Quale miracolo essere vivi ancora! E quale gioia, passato il pericolo, poter raccontare la propria vita, i propri episodi! Hanno tutti il loro gruzzoletto: le cinquine conservate in tanto tempo di solitudine macedone, il premio di smobilitazione, la trasferta per il viaggio... E portano tutti nella mente semplice e buona un progetto, un programma, che è andato pigliando forma nel non breve viaggio dai lontani, presidi. Ma il Penitenziario di Zeitemlik sovverte tutto. Riduce a brandelli la tenuta nuova, fa spendere le poche economie, caccia dallo spirito ogni gioia, ponendovi il rancore e la maledizione! Non c'è un servizio regolare di piroscafi. Gli uomini si accumulano, il malumore si accumula anch'esso. Ai congedandi e licenziandi si aggiunge un nuovo reparto: gli ex prigionieri. Sono migliaia e migliaia di uomini scalzi, laceri, affamati, affluiti a Salonicco dalle parti più lontane dell'ex impero degli Asburgo. Molti hanno con sé le mogli o le amanti.(omissis). Passano le settimane e i piroscafi non si vedono. Quando l'impazienza incomincia a non avere più freno l'Intendenza diffonde una voce falsa. È partito da Taranto un piroscafo. Il Nippon, il Cleopatra, il Taormina, il Semiramide, l'Orione.... Sono i nomi di una intera flotta che, mano mano, si diffondono. Ma i giorni passano in una attesa esasperante. Si scruta il mare con ansia appassionata. Finalmente arriva un piroscafo: bandiera della Lega delle Nazioni e bandiera italiana. Ma imbarca serbi per la Dalmazia.(omissis). Arriva un altro piroscafo. Finalmente imbarca italiani. Ma gli uomini al campo sono parecchie migliaia divisi in tante categorie: licenze ordinarie e straordinarie, trasferiti, studenti, congedandi delle diverse classi, prigionieri... Chi parte? Quanti ne partono? I prigionieri aspettano da mesi e mesi, e invocano la precedenza; i congedandi sostengono che gli altri soldati della loro classe in Italia sono a casa da un pezzo e nessuno ha il diritto di trattenerli ancora; quelli che hanno la licenza straordinaria imprecano per la lunga attesa e invocano la urgenza dei loro motivi.... É una vera sommossa! Si cerca di rabbonirli, di indurli alla calma, mentre tanto volentieri ci si metterebbe a capo per la indecente organizzazione, per quell'abbandono che dura fino alla fine per l'esercito d'oriente, come un programma! L'impazienza diventa esasperazione.(omissis). Migliaia e migliaia di uomini hanno aspettato a Zeitemlik, prima di imbarcarsi, la bellezza di tre mesi. Qualche volta i rari piroscafi son partiti vuoti o quasi, per un ordine malamente interpretato; spesso piroscafi che potevano imbarcare oltre tremila uomini, ne hanno imbarcati solo duemila.... E le corvé e le pattuglie, le guardie incombono sempre sull'attesa del fante che invece di portare in Italia la gioia del proprio dovere compiuto, porta il rancore sorto nel «Penitenziario di Zeitemlik ».(omissis). La vita selvaggia della quota, i valloni di Jaratok e di Gniles, aveva per gli i ufficiali un beneficio: il risparmio. I due mesi di linea e la solitudine del riposo impinguavano il portafogli, poiché la misera sussiste non consentiva neppure il conforto di una lauta mensa. Il beneficio, però, in qualcuno dei riposi poteva sfumare con due giorni di breve licenza in questa babele di Salonicco. Erano preparativi febbrili di una settimana, per ripulirsi, per mettersi a nuovo, per togliere dalla pelle l'odore della terra, per dare all'aspetto un'apparenza umana. Fra gli ufficiali era una cooperativa. Nessuno aveva il corredo in ordine. L'impossibilità di fare acquisti sul posto e la puntualità con cui i pacchi dall'Italia non arrivavano a destinazione, avevano determinata una allegra comunione di beni che dava al « tutti per uno » la più pratica attuazione. Non per niente regolamenti impongono lo... « spirito di corpo » e ognuno teneva a che il compagno, che doveva per due giorni tuffarsi nel vortice della vita di Salonicco, rappresentasse bene il reggimento ! Il viaggio era un disastro: un giorno di camion da Brod a Salonicco. Si arrivava ubbriachi di benzina, con le ossa ammaccate, ricoperti di polvere. Ma chi risentiva più i disagi? Una breve fermata all'Hotel Roma, un albergo italiano, per fissare una camera, ripulirsi ancora, e riprendere il contatto con la vita, coll'impeto della giovinezza e con la sete di vivere di chi è stato a contatto con la morte…(omissis). In tempi normali Salonicco non dev'essere una bella residenza per chi ha voglia di divertirsi. Il mondo orientale non è gaio, e Salonicco, con i suoi greci avidi ed ebrei rapaci, non pensa che a far denaro. Ma per chi stava a quota 1050, senz'altra meta possibile, si immagina subito quale sollievo rappresentasse Salonicco. La guerra vi ha portato tutta una baraonda cosmopolita di soldati, con civiltà, abitudini, ed educazioni le più contrastanti. Salonicco è preda di una folla la più varia, abbandonata incompostamente agli istinti. La vita di Salonicco è immutata pur dopo l'incendio. I crocicchi delle strade sono gremiti di soldati: gente che aspetta, gente che ozia, gente del Vardar che gode la sua ora di ricreazione. I piccoli caffè si inseguono. I multicolori vi si rotolano al suono di un pianoforte scordato, o cantano a coro una canzone di moda. Le osterie, dalle insegne vivaci, poliglotte, dipinte sui muri, non riescono a contenere la folla che vi si avventura. In un vicolo è una gazzarra. Una folla in kaki, in grigio verde, in grigio orizzonte, ride, schiamazza, commenta in tutte le lingue. Le automobili militari passano veloci, balzando fra tutta quella gente che, come nelle ore di ansia ha chiesto l'oblio della guerra, oggi glorifica la pace, con una gioia incontenibile e un'ebbrezza di spasimo. I tranvai vanno e vengono incessanti. Una moltitudine discende, altra sale, s'aggrappa, rincorre.... Gruppi di ufficiali passano frettolosi, sbucando sulle vie abbagliati dalla luce viva del sole; si guardano attorno, danno l'ultimo ritocco all'ordine della divisa, e si perdono tra la folla.(omissis). Un turco sulla soglia d'una bottega, mentre fa scorrere fra le dita d'una mano la coroncina di ambra, si avvolge in una nuvola di fumo nauseante girando con calma raccolta un capretto allo spiedo; un mercante di pesci salati rotola le sue botti dai carretti al negozio...(omissis).