4 giugno La Brigata Spezia viene disciolta a Salonicco.
15 giugno Il Comando Supremo italiano ordina l’immediato rimpatrio del Corpo di Spedizione. Viene pertanto disposto che la Brigata Cagliari si concentrasse a Burgas, la Ivrea a Varna ed il 61° Fanteria a Salonicco. Da questo porto, alla fine di luglio, iniziarono le partenze per l’Italia. In Oriente rimanevano soltanto il 62° Reggimento fanteria di stanza a Costantinopoli con un Battaglione in Dobrugia.
Articolo dell'Avv. Luigi Panini sulla campagna di Macedonia (Secolo XIX) “…..Sono assai noti i contrasti che la spedizione italiana di Oriente aveva avuto in Italia. La spedizione d'oltre mare richiedeva un'enorme immobilizzazione di tonnellaggio dedicato all'approvvigionamento di un grande corpo di spedizione; l'Intesa e particolarmente l'Italia era assai povera di navi e il percorso dei mari che separavano le nazioni dell'Intesa era estremamente ricco di insidie sottomarine, non solo, ma non pochi erano coloro che facevano propria la umoristica espressione del generale tedesco Mackensen e chiamavano i corpi di spedizione d'oltre mare “armate prigioniere « di loro stesse”. L'armata orientale ha avuto una grande importanza sulla economia generale della guerra: operando una ferrea linea di sbarramento tra l'Albania, la Grecia e la Macedonia ha impedito agli eserciti degli Imperi centrali di giungere a Salonicco, ivi costituendo una tremenda base per i sottomarini che avrebbero compromesso i traffici dell'Egitto, delle Indie, dell'Australia, tagliando così varie delle più preziose fonti di rifornimento. Il contingente italiano, la 35° Divisione, che tanto si era distinta nel Trentino, sbarcata nell'estate del 1916 a Salonicco al, comando del gen. Petitti di Roreto, non vi rimase gran tempo a fare bella mostra dei reggimenti perfettamente equipaggiati e delle belle batterie da montagna fornite di uomini giganteschi; un mese dopo era già alla fronte il lago di Doyran occupando una linea di oltre 48 km difesa da due divisioni bulgare. Il meraviglioso fante italiano col suo spirito di adattamento che non conosce rivali si era immediatamente affiatato colle rudi barriere di montagna che si trovavano sul settore balcanico: creò difese formidabili, linee di approccio al nemico, appostamenti per batterie, sterminate linee di comunicazioni; ma per un uomo come il generale Petitti di Roreto, per uomini che avevano conosciuto la guerra nel settore trentino, era troppo meschina cosa essere di fronte ad un nemico inattivo, non da altri falcidiati che dalla malattie. Nella parte piana stendentesi sulla Cerna verso Monastir; non essendovi alcuna difesa naturale che difendesse dalle posizioni dominanti nemiche, gli italiani avevano dovuto scavare delle trincee così profonde che i soldati erano costretti a vivere letteralmente sottoterra. Gli accessi alle posizioni, si facevano a mezzo di profondi solchi e camminamenti e solo di notte, la vita delle truppe era resa estremamente disagiata d'inverno dalle inondazioni e d'estate dalla malaria che falcidiava senza tregua le nostre file. L’incredibile l'ingegnosità con cui ufficiali e soldati riuscivano a sistemarsi in una situazione addirittura insostenibile. Sepolti sotto terra o aggrappati ad una montagna nuda, la cui cresta era dappertutto occupata dal nemico, che dominava ogni punto d'accesso o di rifornimento, che spiava ogni nostro movimento, con un clima variabilissimo, artico d'inverno e tropicale d'estate, quando il sole spietato piombava sulle rocce infuocate, la lania tremenda e inesorabile infestatrice di quelle lande acquari del Doyran. Il gen. Petitti chiese ed insisté presso il gen. Sarrail allora comandante in capo degli eserciti alleati d'Oriente, per un mutamento della fronte per la divisione italiana e dopo una serie di contese, qualcuna delle quali, piccatissima, spinto anche dalla necessità di coprire il settore di Monastir sul quale pareva imminente un'offensiva bulgara in forze, il gen. Sarrail acconsentì che il contingente italiano andasse ad occupare uno dei settori più importanti del campo trincerato di Salonicco, il settore che nell'ansa della Cerna a oriente di Monastir si collegava al settore di Makovo occupato dai franco-serbi e che conteneva il saliente della orrida e gloriosa quota 1050. La fronte macedone che il gen. Petitti di Roreto, si era aggiudicata, se sì dimostrava sotto un certo grado meno disastrosa per la malaria imperante sul Dojran, era peraltro un intrico di rocce, di burroni e di valli in mezzo alle quali si ergeva massiccia la famosa quota 1050. Oltre a questa, sempre in un irto mare di rocce si delineavano le creste delle altre posizioni da noi tenute e su di esse malauguratamente sovrastavano quelle del Piton Brulè e del Piton Rocheux. Vita in tali condizioni sembrerebbe intollerabile. Eppure i nostri soldati, vi rimasero quasi due anni affrontando un nemico sempre superiore di numero e di mezzi, oltrechè di posizioni. Ma i nostri sapevano che quello era uno dei settori più vitali di tutta la fronte, una delle chiavi del settore macedone, e che se si cedeva colà, crollava ogni difesa e l'armata alleata in Macedonia rischiava di essere ricacciata in mare. Dopo il gen. Petitti fu il gen. Ernesto Mombelli che diede un assetto definitivo alle opere di difesa della fronte macedone. Al gen. Ernesto Mombelli, uomo di alto valore e dotato di particolare senso politico, si devono anche i numerosi tentativi di sempre maggiormente valutare la nostra grande spedizione d'oltremare. Il gen: Mombelli avrebbe voluto che la nostra divisione macedone, avente un contingente di truppe superiore ai corpi d'armata francesi, fosse trasformato in un corpo d'armata organico ed autonomo e fosse collegato per territorio frontale, al XVI corpo d'armata che agiva in Albania. Se tale disegno fosse stato attuato, si sarebbe abbandonata l'arida fronte macedone e la spedizione nostra balcanica avrebbe potuto agire sulla frontiera a occidente di Monastir... Nel periodo dell'armistizio le truppe italiane, sempre al comando del gen. Mombelli, ebbero occasione di dimostrare a tutte le popolazioni dell'Oriente europeo, quanto fosse alto il senso di umanità del soldato italiano che cosi prode in guerra; seppe apparire agli occhi dei popoli vinti, generoso e dignitoso ad un tempo. Nessun incidente spiacevole, sia in Bulgaria, che in Turchia turbò i rapporti fra la truppa e la popolazione, ma allo stesso tempo i nostri mantennero il loro riserbo nei rapporti con nazioni ancora di fatto nemiche. Per di più gli italiani compirono tanti di quegli atti di gentilezza e bontà versò gli abitanti che alla loro partenza le truppe furono oggetto di numerose dimostrazioni di simpatia, dimostrazioni che, chi aveva interesse a mettere l'Italia in cattiva luce, cercò di travisare, ma che non erano altro che un riconoscimento da parte del nemico vinto della nostra civiltà superiore”.