Dal primo gennaio 1917 ci inseguivamo nel turno della fronte insidiosa, ora accoccolati nei bassi scavi del piton Brulé, ora aggrappati alle rocce di quota 1050, ora impastati nella palude della Cerna. Pareva che lì si dovesse compiere il nostro destino di soldati in una lontananza dalla Patria, aggravata di solitudini, di silenzi, di abbandoni che riempivano l'anima di tristezza e di nostalgie più terribili della lunga trincea che non dava riposo. Due anni di tormento sconosciuto. La nostra vita aveva lì le sue prove, solamente per noi. Da Brod a Jaratok, da Orehovo a Suhodol a Bilianik, i piccoli cimiteri si ampliavano di volta in volta, e proiettavano nell'aria le loro croci di abete sempre più numerose. Andando o ritornando dalla linea, si passava pensosi dinanzi a quelle are del nostro sacrificio, ampliate ancora di più dalla visione dello sconforto in cui sarebbero cadute un giorno... Le vittorie di Francia ci scossero..(omissis)… le notizie…affluirono dalle retrovie alla trincea. Erano informazioni catastrofiche sulle condizioni interne della Bulgaria: ora di sommosse popolari, ora di tentativi bolscevichi, ora di ammutinamenti di soldati, ora di movimenti antidinastici, ora di rivolte contro i tedeschi. Non erano informazioni sbagliate. Infatti alla fine di agosto ultimo, un disertore riferì che due compagnie del nono reggimento fanteria bulgaro erano a Dobrushovo in istato di arresto per essersi rifiutate di andare ad occupare il settore della quota….(omissis).. Poi non si parlò più di trattative, ma di una offensiva generale. La faremo anche noi. Andremo a Prilep. Toglieremo a Monastir il martirio dei bombardamenti quotidiani. …(omissis)… Di giorno e di notte le retrovie, come nel maggio eroico, sentirono di nuovo il moto intenso dei camion, dei carreggi e delle salmerie. Scariche improvvise tambureggianti, ora su di un punto, ora su di un altro della linea, ci avvisarono della imminenza dell'attacco. Sapemmo che lo sforzo maggiore sarebbe stato sostenuto dai serbi alla nostra destra. Quasi tutte le batterie francesi durante le notti lasciarono il nostro settore, e si trasferirono su quello serbo. Si disse che sul punto da sfondare si sarebbero concentrati cinquecento cannoni. Noi rimanemmo con le nostre artiglierie da montagna e con le bombarde che, con continui fuochi infernali, mascherarono Io spostamento. Si assisteva febbrili a questa preparazione, quando il primo fonogramma ci annunziò che le truppe serbe si erano impegnate violentemente, che avevano sfondata la linea e che procedevano rapide e risolute a nord di Gevgeli. La sera del 13 settembre venne l'ordine di operazione. Compito della 35° Divisione era di attaccare il nemico nelle sue posizioni, superarne la resistenza ed inseguirlo decisamente in direzione di Prilep, mantenendosi collegata a destra sino al monte Visoko con la II° D. I. C. francese e l’Armata serba, ed a sinistra con la 156° francese operante a quota 1248. La Brigata Cagliari aveva la zona fra la Cerna a ovest e la strada Meglenci-Musa Oba a est. La Brigata Sicilia doveva operare ad est dei limiti suindicati. La Brigata Ivrea in riserva divisionale. I servizi si spostarono in avanti, i comandi raggiunsero il posto di combattimento, gli ordini per apparecchiare lo scatto dalla trincea si succedettero frequenti come spinti dal timore di non arrivare in tempo. Il fante fu spogliato di ogni ingombro. Zaini, seconda coperta, materiali inutili, furono raccolti indietro. Bisognava essere leggeri per un movimento rapido. E nella sera del 21 settembre l'ordine venne. Il nemico aveva iniziato il ripiegamento generale delle sue truppe. Inseguirlo, attaccarlo senza tregua, trattenerlo, non dargli agio di sfuggire alla sorte……(omissis)….. In fondo, lontano, bagliori immensi di depositi in fiamme indicavano la via del nemico... Dobrushovo, coi suoi accantonamenti che bruciano, comincia a darci lo spettacolo della ritirata. I reggimenti, ora in colonna, ora in linea di combattimento, avanzano e spazzano la pianura. Scariche furiose di cannonate dalla riva destra della Cerna non ostacolano l'avanzata; un tentativo di resistenza a Topolcani è superato d'impeto. I tiratori, nei fossi e sui margini delle strade, rimangono rattrappiti sul loro posto di morte. In due giorni abbiamo lasciato indietro di circa 30 chilometri Monastir, ove il nemico a quota 1248 resiste con accanimento alle truppe senegalesi. La Cagliari ha ordine di convergere a sinistra alle spalle di Monastir…(omissis)… Covi di mitragliatrici falciano in tutti i sensi, cannoni bene appostati sulla montagna seminano senza tregua schegge di ferro sulla nostra via. Pare non si possa avanzare. Ma i fanti del 63° fanteria, che sono a sinistra a contatto coi francesi, ricevono ordine di attaccare. Attraversano l'inferno, s'arrampicano sulla montagna, e per due giorni attaccano il presidio quattro volte più forte che accanitamente difende la strada che da Buchi, lungo la Cerna, va ad innestarsi a Pribilci alla grande arteria Monastir-Gostivar. Giunge notizia intanto che Prilep è stata occupata dal nostro reparto di assalto e dalla Sicilia….(omissis)… Il 63° continua la lotta a Bucin. Gli attacchi sono frequenti, risoluti, violenti. È la battaglia della vittoria finale….. Il nemico contrattacca tenace, rabbioso, finchè minacciato da un lato dalla Sicilia e dalla Ivrea e dall'altro dai francesi, che sono riusciti a superare la resistenza di quota 1248 e avanzano fino a Murgas, non cede alla Cagliari. I depositi di munizioni scoppiano in un rombo terribile; fiamme e colonne nere di fumo avvolgono la stazione della decauville di Bucin. La Divisione italiana poggia ancora a sinistra sulla catena dei Baba, sulle vie di ritirata verso l'Albania….(omissis).. La via di Pribilci, lungo la Cerna, è ingombra di materiali abbandonati: munizioni, cassoni di artiglieria, automobili, compressori stradali, fracassati contro le rocce o precipitati nei burroni. I ponti di legno bruciano, i ponti in muratura, che la dinamite ha squarciati, rotolano ancora le loro ultime pietre nel fondo del fiume. Si marcia di giorno e di notte. Si mangia quando si può, si dorme poco, si respira un'aria grave di fumo appestata da un numero infinito di carogne insepolte di cavalli. A Pribilci i prigionieri italiani che lavoravano i campi, si liberano…(omissis).. Comincia l'alba quando il 28 settembre, per vie diverse, la divisione converge nella valletta davanti a Sop…(omissis)… Gli uomini di punta sono caduti. Le pattuglie di avanguardia sono a contatto del nemico. Alcuni prigionieri, pallidi, emozionati, quelli che han dato l'allarme, ci dicono che abbiamo raggiunto i bulgari, che son li, sulle montagne che chiudono in fondo la breve valletta. I reggimenti si spiegano e avanzano all'attacco del Kruska Balkan, obbiettivo Sop che difende le rampe della via di Kicevo: La Cagliari nella piccola pianura da Tsrsko a Tser, a cavaliere della strada, la Ivrea da Tser a Kar Kruska..(omissis). I battaglioni avanzano. I bulgari tacciono. Ci domandiamo se i prigionieri non hanno mentito, quando l'artiglieria nemica ci fa sentire i suoi sibili sonori. Aggiusta i tiri, poi mano mano li intensifica fino alla violenza. Il terreno, piano e scoperto, non offre riparo. Le compagnie scompaiono nelle nuvole di fumo…(omissis). Le mitragliatrici cantano le loro canzoni di morte, ma le compagnie si avventano all'assalto su le montagne insidiose, fitte di boscaglia. Ogni ciuffo di felci ha una mitragliatrice, ogni solco del terreno argilloso ha un gruppo di uomini che spara..(omissis). L'artiglieria da montagna, francese e italiana, che appoggia l'azione, è assolutamente insufficiente. Ha pure i proiettili contati e non può farne spreco. I fanti non devono contare che sulle proprie forze, ed essi le prodigano senza risparmio. La lotta cessa, ripiglia, cessa, ripiglia ancora. Nella notte i feriti passano, si allineano in un fossato, dietro un muro, dietro un roccione. Hanno le carni lacere, bruciano di febbre, ma reprimono il dolore. Non vogliono far sentire al nemico il loro spasimo. I prigionieri ci danno notizie. Abbiamo di fronte la migliore Divisione bulgara. Molte mitragliatrici, parecchi cannoni, molte munizioni….(omissis). All'alba del 29 la lotta ricomincia. Il 63° fanteria, rinforzato da un battaglione del 64°, torna ad avventarsi contro l'insidia. A palmo a palmo il terreno è conquistato. Si combatte a corpo a corpo. Il nemico si difende e contrattacca con una disciplina meravigliosa. Piccole squadre disseminate di fronte ed in profondità nell'anfiteatro di Sop, scaricano i loro fucili a comando. Una squadra cede, l'altra dietro interviene. Reparti nostri, eccitati, si spingono troppo oltre. Sono accerchiati, e la lotta diventa furibonda. Le canne dei fucili sono roventi, le mitragliatrici hanno un ritmo di motore. I portatori di munizioni, neri di terra solcata di sudore, alimentano muti, aridi, la lotta. Un gruppo di ufficiali dell'artiglieria francese raggiunge il Comando del 63° fanteria. Ha assistito dagli osservatori a quello slancio magnifico di soldati, a quella sublime tenacia combattiva, e non ha saputo trattenersi dal manifestare la sua ammirazione. Nella notte la lotta rallenta. Le prime ore del 30 passano quasi calme, mentre si prepara febbrilmente un nuovo attacco di tutte le forze per le ore 10. Nella notte sono giunti medi calibri francesi che si postano dietro i roccioni all'ingresso della valletta, e si sono accumulate le munizioni…(omissis). Si attende, quando un fonogramma urgente annunzia l’armistizio, ordina di sospendere ogni azione…(omissis)..Si domanda ripetutamente a telefono la conferma della notizia. ….Si mandano portaordini e ufficiali di collegamento perché si accertino bene. …(omissis)…Non vi furono esplosioni di gioia. La notizia era stata troppo improvvisa. Si rise forzatamente. I nervi erano ancora tesi e vibranti per la lotta che si apparecchiava….(omissis). Le bandiere bianche si sollevarono su tutta la linea. Rettangoli di segnalazione, triangoli di medicazione, camicie che ancora conservavano un vago colore chiaro, fazzoletti... Tutto ciò che v'era di bianco sventolò sulla punta di un bastone o d'una baionetta inastata. Il nemico cessò il fuoco; ma nessun movimento ci rivelò la impressione del nemico. …(omissis). Il nemico, che non aveva saputo spiegarsi lo sventolio delle bandiere, restò sorpreso dell'armistizio e più, delle sue dure condizioni. Non aveva notizie dalla patria da circa un mese. Non aveva notizia di ciò che era accaduto e accadeva sulla restante fronte. Aveva il compito di proteggere ad oltranza il grosso dell'esercito che si ritirava su altre posizioni. Questo sapeva. Non aveva conoscenza dell'armistizio, non aveva ricevuto ordini ancora in proposito. Arrendersi, per un soldato che ha fatto il suo dovere, è doloroso. Un vecchio colonnello, prima di dare una risposta, stette a lungo con la testa chiusa nelle mani, abbandonato su una pietra. Aveva il viso disfatto quando disse: permettetemi che attenda ordini. …(omissis). Il generale Freri, Comandante la Brigata Cagliari, andò personalmente a conferire col Comandante le forze bulgare a Kicevo. La mattina del 2 ottobre, mentre il sole a traverso una pioggerella sottile colorava de l'iride il cielo come in un trionfo di bandiere, il primo nucleo di cinquemila uomini sfilò, nella valletta di Sop, dinanzi al generale Freri e ad una compagnia del 63° fanteria che rese gli onori. Urrah.... Urraaah... Urraaaah.... Il generale Marinoff, nel consegnare le sue truppe, disse che, nel dolore della sconfitta, provava il conforto di arrendersi a soldati che, per lo slancio sublime di cui avevano dato prova nel combattimento, e per l'accoglienza senza spavalderia e senza rancore che facevano ai vinti, avevano dimostrato e dimostravano di essere degni della vittoria...
In quello stesso giorno un umile fante scrisse alla madre che la guerra coi bulgari era finita: “..E adesso i bulgari sono qui con noi. Ho diviso la mia pagnotta con un bulgaro. Mi guardava e mi ha fatto pena. Ha detto che sono buono, che tutti siamo buoni.”